giovedì 6 settembre 2012

R.i.c.e.v.o.

Rendere 

Incredibili 
Cose 
Esteriormente 
Vecchie, 
Obsolete


Scegliere un episodio da raccontare nel Blog non è stato facile: volevo qualcosa che racchiudesse le molte emozioni e paradossi che mi ha lasciato questo paese. 

Ho scelto così lavoro sociale del 7 Agosto: i lavori sociali consistono in attività che noi cantieristi abbiamo svolto per dare una mano e conoscere le persone del villaggio che ci ha ospitato. 

Nello specifico il 7 Agosto io, Meri, Stefania, Cristina e Anamaria abbiamo spaccato la legna e spostato delle pietre a casa di una vecchietta del villaggio di Razalai, situato poco più di 100 km a nord di Chisinau, che ci ha ospitato nella seconda settimana del cantiere moldavo. 

Questa è stata un’esperienza molto particolare e toccante, non tanto per l’attività svolta, quanto per i racconti della signora, con cui abbiamo chiacchierato per le 2 ore successive: infatti in un clima surreale e non di completa comprensione, abbiamo visto la sua casa, ascoltato la sua storia, cantato con lei. 

Vive in una casetta circondata dalla boscaglia, composta da due locali. Di questi uno viene usato solo d’estate mentre l’altro, molto piccolo e buio, costituisce la sua casa invernale. In questo locale la possibilità di muoversi è praticamente nulla, tra letto, scorte di cibo in salamoia e stufa che protegge dal rigido freddo invernale. Ci racconta che vive sola, dopo aver perso due mariti, ha problemi a camminare e ormai non può più leggere, non potendosi permettere un paio di occhiali. La sua unica relazione con il modo esterno è il viaggio che compie per andare a prendere l’acqua al pozzo, in cui magari incontra qualcuno e scambia qualche parola. Il giardino intorno alla casa è invaso da erbacce, la legnaia è in gran parte crollata. Insomma, tutto in questo posto traspira un sentimento di abbandono e di tremenda malinconia; di qualcosa che è stato ma che ora lentamente, ma non troppo, sta morendo. 

Tuttavia nei suoi racconti si scorge ancora la gioia dei ricordi e la felicità nell’avere qualcuno con cui parlare, condividere qualche momento, che mi contagia. È un’emozione strana, piena di passione e condivisione, che mi fa dimenticare il contesto e mi fa concentrare sui suoi racconti, condividendo le sue espressioni e sguardi di gioia e passione. 

Uscendo e salutando la vecchietta noi volontari ci scopriamo tutti scossi allo stesso modo, pervasi da una sensazione di malinconia estrema che si mischia con la gioia di un incontro davvero intenso. 

Queste sono in piccolo le emozioni che porto a casa da questa terra: la sensazione è di trovarsi in un paese al tramonto, senza futuro, in cui la generazione adulta è in gran parte all’estero a lavorare, mentre qui rimangono solo bambini e anziani, supportati dai soldi esteri e allo stesso tempo abbandonati alla solitudine di una terra lasciata a se stessa. Insieme a questo però ci sono i bambini con cui abbiamo avuto la fortuna di lavorare, tanto diversi ai nostri occhi e tanto simili nella realtà a qualsiasi bambino di casa nostra. La gioia e la semplicità con cui ci avvolgono sono così naturali da sembrare strane. Eppure è proprio questa la prima sensazione che mi porto a casa dalla Moldova: la gioia ricevuta dall’incontro con bambini, adulti, volontari, con tutte le persone che mi è capitato di conoscere, con cui ho parlato o semplicemente scambiato uno sguardo a tavola! 

Simone, il Galileo!




Nessun commento:

Posta un commento