lunedì 24 ottobre 2011

Siamo passati di lì due giorni fa...

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Kenya, meta turistica privilegiata, paese dell'Africa subsahariana stabile politicamente ed economicamente, punto di riferimento per l'Unione Africana e per i paesi confinanti, paese per il dialogo, mai sceso in campo con le armi: nelle ultime due settimane tutto questo viene messo in discussione.
Il problema del Kenya è la Somalia: la Somalia non ha un vero governo dal 1991, ma un agglomerato di regioni controllate dai signori della guerra o da corti islamiche, e il governo transitorio (istituito nel 2004) non controlla neanche Mogadisho. La capitale e il sud del paese sono controllati infatti da un gruppo di fondamentalisti islamici chiamati Al Shabaab, affiliati ad Al Quaeda. Le numerose incursioni dei terroristi nel territorio keniano mettono in crisi per l'ultima volta la celeberrima diplomazia dei vicini il mese scorso: due operatrici spagnole di Medici Senza Frontiere vengono rapite a Daadab, il campo profughi più grande del mondo, mentre altre due turiste europee vengono rapite su un'isola paradiso del turismo ("X"rossa nella foto), e il marito di una delle due viene ucciso. Il 16 ottobre le truppe keniane penetrano nel territorio somalo (freccia rossa nella foto). Due giorni dopo il Daily Nation (testata kenyana) scrive che i rapimenti hanno portato un “ major blow to the tourism industry “, il Kenya che “safley host tourists and one of the world's largest aid communities” ha secondo le ambascerie occidentali il diritto di perseguire i rapitori, ed al tempo stesso la coscienza che ciò farà del paese un obiettivo dei terroristi...
“Non entrate nel nostro territorio, voi avete grattacieli e ricchezza, noi caos, vi colpiremo nel cuore dei vostri interessi”:questa la minaccia di uno dei portavoce di Al Shabaab. Detto fatto: tra domenica e lunedì due granate sono state lanciate sulla folla a Nairobi, una in un pub, una alla stazione dei pullman ( foto sotto), causando 32 feriti ed un morto. Gli Usa stanno appoggiando logisticamente il Kenya in questa sfida, non si sa quanto pianificata, al terrorismo, e avevano previsto gli attacchi: ora la polizia keniana ha diramato tramite sms i nomi dei luoghi più “caldi”: vie, ristoranti, pub, una decina in tutto. I due attentati non sono ancora stati rivendicati, e a dire il vero anche l'anno scorso dei lanci di granate analoghi si sono verificati a Nairobi, ma forse la prima discesa in campo dell'esercito keniano ha sortito delle conseguenze che non erano state previste, addirittura oggi l'Igad (organizzazione politica commerciale dei paesi del corno d'Africa) ipotizza lo spostamento dei rifugiati di Daadab (500.000 somali) in altri stati, perchè la situazione non è più sicura...

Siamo passati di lì due giorni fa...

Scatta il cantiere, categoria "Attività"

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47 foto (contro le 50 dell'anno scorso, a parità di categoria) da 20 partecipanti dai 9 Paesi, tra cui trionfano le seguenti.

1° classificata

In una bolla di sapone, di Alice Moroni (Moldova)

2° classificata

Scende la pioggia ma che fà, di Lorenzo Raineri (Thailandia)

3° classificata

Tre, due uno via, di Francesca Montanari (Kenya)
 

mercoledì 19 ottobre 2011

Scatta il cantiere, categoria "Contesto"

3 commenti:
A questa categoria han partecipato 29 cantieristi da Bulgaria, Moldova, Giordania, Perù, Thailandia, Kenya, Libano, Bolivia e Palermo, inviando 68 scatti, la cui selezione (insindacabile ed opinabile) vuole un podio per 2\3 boliviano:
1° classificata


Ballo Tinku, di Elena Caramella (Bolivia)

2° classificata


All'ombra dell'ultimo sole , di Camilla Pienzi (Libano)

3° classificata

Chapare, di Sabrina Grasso (Bolivia)

martedì 18 ottobre 2011

In una stanza sconosciuta

2 commenti:


C’è sempre un momento in cui un
viaggio comincia davvero. A volte capita quando si esce di casa, ma altre volte
è molto lontano da lì.

Tre storie, tre racconti, tre momenti diversi della vita della stessa persona. L’amicizia, l’amore, la morte. Le tappe fondamentali della crescita di un uomo vissute e raccontate attraverso il viaggio.
In “In una stanza sconosciuta” il viaggio non è strumento di conoscenza dell’altro che si visita, che si percorre, che si incontra, ma è soprattutto conoscenza di sé proprio grazie all’incontro con altri esseri umani. Le descrizioni dei paesaggi, delle culture e delle società che il protagonista incontra percorrendo diversi paesi (Zimbabwe, Inghilterra, Svizzera, India) sono del tutto assenti: uno sfondo sfuocato sul quale invece si tratteggia con cura e precisione la descrizione dei rapporti e delle relazioni. Molto dell’esperienza che il protagonista fa nel corso dei suoi tre viaggi è conseguenza diretta della relazione che egli instaura con i compagni di viaggio che per caso o per scelta lo accompagnano. La ricchezza del libro sta proprio nell’analisi dei rapporti umani, nello studio delle reazioni del protagonista di fronte ai personaggi che gli ruotano attorno. È infatti il confronto con i suoi compagni di viaggio che gli permette di studiarsi, di interrogarsi e di conoscersi.
Raccontando tre viaggi diversi in tre momenti cronologicamente diversi si narra l’evoluzione e la crescita sofferta di un giovane ragazzo, che viaggiando si fa uomo.
Il viaggio detiene, nel bene e nel male, un potere catartico al quale il protagonista non rinuncia neppure quando è diventato ormai adulto. Gli permette di situarsi in uno spazio diverso da quello della quotidianità, uno spazio nel quale l’intensità dei momenti che vive gli garantisce la lucidità necessaria per analizzarsi.
Allo sconosciuto incontrato su un treno e all’ignoto che accoglie entrando nelle caotiche strade di una città africana è lasciato il compito di stimolare e di intensificare l’esistenza. Gli incontri che il protagonista fa durante i suoi tre viaggi spesso si rivelano più significativi del paese che sta
attraversando.
Non ci troviamo, infatti, di fronte a un racconto di viaggio, alla descrizione di un universo altro dal nostro. Bensì ci troviamo di fronte all’evoluzione di uno stesso uomo che, prima “seguace”, poi “amante” e infine “guardiano”, definisce se stesso e si confronta con i suoi limiti, i suoi fallimenti e le sue delusioni. Il passaggio continuo dalla prima alla terza persona si rivela efficace per rendere il lettore partecipe del dislocamento vissuto dal protagonista. Un dislocamento che non è appunto solo geografico, ma soprattutto interiore. Come se, nei momenti di disequilibrio e di perdita di punti di riferimento, al viaggio e a tutto ciò che il viaggio racchiude in sé venisse affidato il compito di ristabilire un ordine. Il protagonista sente l’esigenza di partire e di rimettersi sulla strada come un imperativo che, per quanto doloroso e terrorizzante, rappresenta l’unico modo di confrontarsi a fondo con se stesso grazie all’intensità e all’energia regalate dall’esperienza del viaggio.


A me non piace lasciare la strada, accentua la sensazione di vulnerabilità. induce una specie di ansia primoridiale. Ma questo è anche uno degli elementi più irresistibili di un viaggio, il senso di terrore che soggiace a tutto, che rende più intense e acute le sensazioni, il mondo è carico di un'energia che nella vita normale non ha.

Olivia

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lunedì 17 ottobre 2011

Vita

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"Vita" in kiswahili vuol dire "Guerra". E anche se ancora di guerra non si può parlare, questo è ciò che la gente pensa di ciò che sta accadendo in questi giorni in Kenya.

Nelle ultime settimane a Lamu è stato ucciso un inglese e rapita la moglie, dopo pochi giorni un francese è scomparso nell'isola di fronte. Questa settimana due donne spagnole sono state rapite poco lontane dal campo profughi di Dadaab, dove lavoravano per Medici senza frontiere. Negli ultimi mesi, passati inosservati dalla stampa, altri civili kenyani e due militari sono stati rapiti.

Queste azioni sono a carico di una cellula di Al-Qaeda chiamata Al-Shabaab.


L'esercito Kenyano è entrato nel territorio Somalo per 100 km alla ricerca dei rapiti e degli estremisti di Al-Shabaab , per garantire una "zona tampone" e evitare ulteriori attacchi sul territorio kenyano. L'aeronautica e la marina militare sono pronte ad intervenire in caso di bisogno.

Il ministro della sicurezza ha dichiarato: "Non si può più tollerare questa situazione e ciò vuol dire che d'ora i poi dovremo perseguire i nostri nemici, ossia gli islamisti somali shebab, ovunque essi siano, anche nel loro Paese"

La risposta di Al-Shabaab non si è fatta attendere: la vita di migliaia di kenyani sarà in pericolo se il governo continuerà questa azione militare sul territorio somalo. ''Il Kenya ha violato i diritti territoriali della Somalia entrando nella nostra terra santa, ma vi assicuro che se ne andranno delusi. I combattenti li obbligheranno ad affrontare la prova delle pallottole'', ha detto ai giornalisti un capo shabaab Sheikh Hassan Turki

Non so se i telegiornali italiani ne parlano, ma se qualcuno fosse interessato, questo è il sito del Daily Nation.

http://www.nation.co.ke/News/politics/-/1064/1256998/-/item/0/-/adyjpxz/-/index.html

martedì 11 ottobre 2011

PENSIERI SPARSISSIMI -gocce nei punti di domanda-

3 commenti:
"Circa 820.000 case sono state distrutte o gravemente danneggiate nelle province più colpite dalle piogge, che si trovano nel centro-sud del paese. Le autorità thailandesi hanno detto che otto milioni di persone – su 60 milioni di abitanti – sono state coinvolte nelle alluvioni e nelle frane a partire da luglio, e che un milione di ettari di terreni agricoli è stato danneggiato"

(da il post: http://www.ilpost.it/2011/10/10/alluvioni-cambogia-thailandia/)

devo sentire i ragazzi thai!

a noi è andata più che bene col clima (sennò mia madre chi la sentiva..)

su google maps Ayutthaya e Ranong non sembrano poi così lontane (tra l'altro anche lì le previsioni non sono affatto buone)...

la Thailandia è un pò come casa adesso

come si sentiranno le persone che hanno perso la casa, gli amici, i figli, i genitori....tutto. oddio mi viene il panico, la tristezza fortissima se solo ci penso!

il 2012 il mondo finirà davvero? sembra che i segnali ci siano già. dovremmo renderci conto di così tante cose!

cosa possiamo fare?? cosa posso fare?? ...facciamo qualcosa??!!!!!!

Ginestra

lunedì 10 ottobre 2011

Una strada che divide la Bolivia

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Da ormai due mesi è cominciata la marcia delle popolazioni indigene contro la strada che dovrebbe attraversare il TIPNIS (Territorio Indigeno Parque Nacional Isiboro Sécure), la maggior riserva ecologica della Bolivia, abitata da 50.000 persone. Il parco è minacciato dalla costruzione di oltre 300 km di autostrada che spaccheranno in due questa zona dell’Amazzonia boliviana, imponendo l’abbattimento di circa mezzo milione di alberi.

Gli scontri sono stati molto forti e la polizia è arrivata a bloccare la marcia il 25 di settembre così che il malcontento nei confronti di Morales è aumentato ancora di più: le popolazioni indigene non si sentono più rappresentate e questa iniziativa ha finalmente fatto cadere la maschera ambientalista e indigenista del presindente. Circa mille dei dimostranti sono stati fermati e dispersi violentemente con gas lacrimogeni e cariche della polizia nonostante fosse una marcia pacifica e tra i dimostranti ci fossero anche bambini e donne incinte.


già ma quali gli interessi in gioco???



L’autostrada fa parte di un progetto internazionale che prevede di collegare la costa est dell’America Latina con l’Oceano Pacifico; i nativi non chiedono la sospensione dell’opera, ma che venga rivisto il tracciato in modo che non venga tagliato a metà il loro territorio, ma che la strada lo tocchi solo in periferia.

Dall’altra parte, a favore della costruzione dell’autostrada ci sono ovviamente pesanti interessi economici, del Brasile in primis. Il Brasile in particolare sostiene l’opera con l’80% dell’investimento , in quanto ha bisogno di uno sbocco sull’Oceano Pacifico per esportare i propri prodotti verso i mercati dell’est asiatico, per non parlare dei coltivatori e trafficanti di cocaina che avrebbero un’importante e comoda via di comunicazione per i loro commerci.

Il presidente Morales ha riassunto il tutto dicendo che sarà una opportunità di sviluppo per la regione e per tutta la Bolivia, tralasciando di parlare delle pressioni economiche esercitate dal Brasile.


I manifestanti chiedono che venga rispettata la costituzione che lo stesso Morales ha promulgato: ogni azione sul territorio della foresta pluviale deve essere presa solo dopo la consultazione con le popolazioni locali. Sotto pressione e dopo le dimissioni di due ministri del suo governo in seguito alla violenza della polizia nel bloccare i manifestanti, il presidente ha momentaneamente bloccato il progetto nell’attesa che si calmino le polemiche, anche se il primo tratto è già in fase di costruzione.

Il 12 di ottobre i manifestanti dovrebbero arrivare a La Paz, in giorni in cui tra l’altro è proibito manifestare, a causa delle elezioni per eleggere i membri della magistratura (in cui tutti i candidati appartengono al MAS, il partito di Morales!).

Le tensioni sono forti…e le preoccupazioni di Morales adesso ancora di più!

Scatta il cantiere, categoria "Primi Piani"

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Ed ecco al grande pubblico i 5 podi della quinta edizione del rinomato concorso fotografico dei cantieri della solidarietà. Iniziamo dalla categoria "Primi piani": 69 foto candidate da 24 cantieristi di 9 Paesi.

Tra tutte la giuria ha selezionato le seguenti:

1° classificata


Muso giallo, di Lorenzo Raineri (Thailandia)


2° classificata

Don't cry, di Daniela Galimberti (Kenya)


3° classificata

Quando basta uno sguardo, di Laura Fratalocchi (Palermo)

Corso di sopravvivenza casalinga

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Ebbene si, nuovi volontari arriveranno dopo di noi, a febbraio. Allora pensavo, ma in formazione, non è possibile organizzare dei corsi di sopravvivenza casalinga?


Qui siamo stati senza acqua per giorni, ma al catino per lavarci ci siamo abituati. Tutto sommato è più comodo della doccia che ci da la scossa ogni volta che cerchiamo di mettere l'acqua calda.








Però siamo senza acqua, e i piatti si accumulano nel lavandino. Si, riempiamo le taniche di acqua dalla parrocchia, ma ad un certo punto bisogna fare una scelta: uso l'acqua per lavare noi stessi o i piatti? 

Naturalmente scegliamo di essere almeno presentabili e attendiamo pazienti il ritorno dell'acqua. 
Che poi ancora non ho capito per quale strana invenzione inglese, l'acqua del bagno arriva da... non lo sappiamo, sta di fatto che abbiamo una tanica sotto il soffitto, e quanto si sente il tin-tin sul metallo urliamo "maji!!!" e speriamo che duri almeno due giorni.
Mentre l'acqua della cucina arriva da una fonte ancora più sconosciuta: o c'è o non c'è. Sta di fatto che non sempre cucina e bagno sono riforniti allo stesso tempo.

Poi per qualche giorno l'acqua torna, uno si decide a lavare i vestiti, tutti quelli rimasti indietro da giorni per evitare sprechi. E naturalmente, come ormai sappiamo la legge di Murphy ogni tanto ci azzecca, piove. Al che la scelta è:
1- lascio tutto sotto la pioggia, tanto bagnati per bagnati
2- tiro i fili in casa e spero paziente che in una settimana tutto asciughi.

Soggiorno
camera mia

Settimana scorsa per forza di cose ho optato per la prima opzione, ma i vestiti inzuppati, tra cui mutande e lenzuola, di pioggia non sono un gran che. Questa settimana abbiamo deciso ancora una volta per le maniere forti, trasformando casa nostra in una lavanderia...



lunedì 3 ottobre 2011

Paese che vai, animale che trovi...

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Si dice che la Moldova sia il paese delle cicogne: in primavera, infatti, i villaggi sono pieni di nidi, c’è chi pratica il birdwatching, le leggende narrano che se si vede una coppia di questo animale appollaiata sul nido ci si sposi entro l’anno.
Molte case vinicole riportano sulla bottiglia il disegno di una cicogna che porta nel becco un grappolo d’uva; vi è perfino un tipo di cognac chiamato “la cicogna bianca”.

Quando però si tratta di portare i bebè nel becco, le cicogne moldave non se la passano molto bene, e la loro vita ricorda un po’ il corto della Pixar. Con l’aggiunta che qui, spesso, non vi è il lieto fine.
Si stima infatti che annualmente vengano abbandonati 400 bambini sotto i 6 anni, e che a fronte dei circa 40 000 bambini nati nel 2009, siano stati effettuati più di 14 500 aborti legali.

Diaconia, in collaborazione con Caritas Ambrosiana, ha recentemente aperto il centro maternale “In braccio alla mamma”. Il centro, in un paese dove 1 donna su 3 subisce violenza in famiglia, si preoccupa di accogliere ragazze sole con i loro bambini, insegnando loro come gestire il rapporto con il figlio e cercando di inserirle nel mondo lavorativo. Attualmente, tra le ospiti, vi è una ragazza di 16 anni. Rimasta incinta in seguito ad abuso, è stata abbandonata dalla famiglia per vergogna.

Oggi è nata la sua bambina. In bocca al lupo a lei, alla sua mamma ed al neo-nato centro maternale. Non alle cicogne!

sabato 1 ottobre 2011

Kenya (che fantasia che ho, nè?)

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Questo è il Kenya, in pochi chilometri il paesaggio cambia completamente...
Lamu con le sue spiaggie e le sue barche a vela...

Lamu con il suo paesino medievale e i suoi asinelli

Malindi e il suo mare dalle spiaggie bianche

La depressione di Marafa, vicino a Malindi, chiamata La cucina del diavolo

Maralal e il suo paesaggio da copertina

Maralal e i suoi campi interminabili

Nairobi, la capitale, che si allarga sempre di più a nord, ma lascia intatto un parco nazionale a sud
Tamugh, villaggio Pokot, immerso nelle montagne e di cui ho parlato in un vecchio post...