mercoledì 30 gennaio 2019

L’Africa, un sogno che si realizza. Diamo il VIA, SCE 2019 è iniziato!

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Sono Greta, ho 25 anni e sto finalmente per realizzare un sogno, il sogno.
Avete presente quando vi chiedono “Quale è il tuo sogno nel cassetto?” oppure “Il sogno della vita?”.
Ecco, il mio è questo: l’Africa. Tra quattro giorni la mia vita si sposterà in Kenya, a Mombasa, per un intero anno di Servizio Civile Estero con Caritas Ambrosiana.
Ma chi è Greta?
Sono una ragazza molto semplice, cresciuta in oratorio e studio Scienze dell’Educazione all’Università Bicocca di Milano.
Ho iniziato ad affiancarmi al volontariato molto presto in vari settori. Oltre che tutte le attività oratoriane, ho speso parte del mio tempo in una casa residenziale per disabili, successivamente in casa di riposo per anziani; poi ho iniziato ad insegnare italiano a stranieri e, ormai da tre anni, sono soccorritrice sui mezzi per l’Emergenza Sanitaria.

Ovunque vada, chi mi conosce, mi definisce “colorata”, forse per il mio modo di vestire (ogni capo di un colore diverso) che mai si abbina o forse per il mio sorriso “smagliante e luminoso” che trasmette colore.
Un giorno una bambina ha fatto il mio ritratto dicendomi “La tua faccia è rosa, ma ricorda un arcobaleno. Tu mi ricordi i colori!”.





Crescendo in oratorio ho avuto la fortuna di incontrare la simpaticissima Suor Amata che, piano piano, mi ha fatto conoscere l’Africa e più precisamente il Congo, le sue abitudine, la sua cultura, le danze e le canzoni, i cibi e gli odori, suscitando in me una grande curiosità di partire e vedere con i miei occhi quella terra, di sentire con il mio naso quegli odori e di trasmettere con il mio sorriso quello che esattamente lei ha trasmesso a me. Il mio sogno.




L’estate scorsa grazie ai Cantieri della Solidarietà organizzati da Caritas Ambrosiana e ho trascorso le mie tre settimane di vacanza in Kenya, sempre a Mombasa, a servizio di bambini e ragazzi. Al mio rientro la sensazione era molto strana: non riuscivo ad orientarmi, sentivo che tre settimane non erano state sufficienti e che avrei preteso di più da me stessa e che avrei voluto più tempo per farlo. 






E per questo, grazie a Suor Amata, agli incontri fatti nella mia vita e al Cantiere a Mombasa ho deciso di candidarmi per il Servizio Civile Estero nella mia Africa.
Diamo il VIA, SCE 2019 è iniziato!
Sensazioni a riguardo? Me la sto facendo sotto!!!!!!
Scherzi a parte, sono super mega gasata e carica, non vedo l’ora di partire e di vivere al massimo questo anno, il mio anno. Allo stesso tempo si intrecciano sensazioni di paura e preoccupazione data l’esperienza delicata che mi aspetta in un contesto per niente semplice.







In bocca al lupo a me e a tutto il gruppo SCE2019!
Ci vediamo, o meglio, sentiamo da Mombasa!
Greta



Il mio fedele amico verde

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Lo zaino è stato il mio fedele amico verde negli ultimi quattro anni, mezzo vuoto, pieno di libri, pieno di vestiti, strabordante di cibo, biscotti, salami, fiori, ricordi, su e giù per l’Europa, a volte per piacere ma anche per dovere.


Adesso, dopo due anni di andirivieni tra Madrid e Padova, finalmente sperava di riposare un po’, di rimanere tranquillo a casa, in Italia, semmai qualche viaggio di piacere ogni tanto per vedere qualche città nuova, qualche amica dispersa qua e là. E invece il mio fedele amico verde non si può rilassare neanche un attimo. Dopo il rientro dalla Spagna eccolo già pieno di altri vestiti, altre emozioni, altre aspettative per una nuova partenza, un nuovo viaggio, una nuova destinazione. In queste settimane l’ho fatto riposare e prendere fiato a casa, perchè so che questo nuovo viaggio lo metterà nuovamente alla prova, con colori, odori e voci completamente nuovi. Dopo essersi abituato allo spagnolo e ai ritmi iberici, adesso dovrà abituarsi ad un Paese e una lingua completamente nuovi per lui, a dei ritmi, a culture e abitudini completamente diversi da quelle a cui lo avevo abituato. Per fortuna sa anche che non sarà da solo, oltre a me ad aiutarci in questa nuova esperienza ci saranno altre tre ragazze con i rispettivi zaini, con i quali il mio fedele amico verde si potrà confrontare, spalleggiare, fare gruppo. Ahilui, però sa anche che in questa avventura non avrà molto tempo per "distendersi", al massimo si riposerà per qualche settimana, ma per il resto del tempo sarà sempre sollecitato, afferrato, sballottato di qua e di là, schiacciato, abbracciato, riempito, risvuotato e riempito ancora fino a scoppiare.


Eh, caro amico fedele verde, ne vedremo delle belle quest'anno! Sarà un anno molto impegnativo, sia per te, che vedrai mille posti nuovi, mille odori e colori nuovi, sia per me, che oltre a tutte queste cose, sarò impegnata in un progetto più grande di me, dove mi sarà richiesto di andare oltre i miei limiti, a spingermi sempre più in là... un po’ come faccio sempre io con te, che ti riempio tutti gli spazi, tutte le tasche fino a tirare al massimo le cerniere, senza mai arrivare al punto di farti rompere.

Sarà un anno bello e impegnativo, ma per fortuna, lo affronteremo assieme. 

Tre parole in movimento

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Un giorno, qualche anno fa, durante una lezione all’università, la prof di sociologia chiese alla mia classe di provare a descriverci, ognuno, individualmente, scrivendo tre parole su un bigliettino. L’obiettivo era quello di riuscire a far capire a chiunque, anche a un fantomatico alieno in arrivo in quell’istate sulla terra, chi fossimo. Tralasciando il fatto che se proprio dovessi dare a un alieno una vaga idea di quello che sono forse opterei per un disegno piuttosto che per delle parole, tra l’altro in lingua italiana, DONNA, EUROPEA, STUDENTESSA, è ciò che scrissi. 

Scrissi queste tre parole con l’intento di descrivermi nell’essere, nella geografia, nelle scelte. 



Non avrei potuto far a meno di descrivermi come donna, come essere umano “dell’altro sesso”, dato che il nascere donna ti permette sin dalla nascita di confrontarti con un mondo fatto di chi è privilegiato dalla nascita e di chi deve lottare un po’ di più, e tu sei dalla parte di chi deve lottare un po’ di più. Giovanni Truppi, cantautore dalla filosofia tragicomica, tendelzialmente stonato e immeritatamente poco conosciuto, in una delle sue ultime canzoni, dice che “l’unica cosa oltre l’amore che dice davvero chi siamo a tutti gli altri uomini come noi, è quella cosa che ci divide tra chi simpatizza con chi vince, e dall'altra parte, ovunque, da sempre e per sempre, chi simpatizza con chi perde”. 
Ecco, credo di simpatizzare con chi perde, da sempre, proprio perché nata donna, e in quanto donna so bene che chi sembra abbia perso, non è detto che abbia perso davvero.

Ma qui entra in gioco la geografia.

Ho sempre considerato la geografia come l’aspetto che principalmente va a definire una persona. Sono fortemente convinta che i rumori di un luogo influenzino le lingue che qui si parlano e che i paesaggi che fanno da sfondo alla sua vita quotidiana ne influenzano lo sviluppo valoriale ed emotivo degli abitanti. Avere la fortuna di ampliare la propria geografia di vita significa per me avere l’opportunità di accedere a nuove parti di sé, ancora sconosciute, ancora da sviluppare, ancora germoglio. 

Lo status di studentessa che sentivo caratterizzante alcuni anni fa, ormai non è più formalmente mio, ma la scelta da studentessa di cercare, ricercare, conoscere, è rimasta invariata.

Come donna allegramente impaurita, come europea in cerca di orizzonti fuori dal continente, come studentessa che studentessa non è più ma che vuole in qualche modo non perderne lo sguardo, mi preparo a prendere un volo che mi porterà fra pochi giorni dall’altra parte del globo, a Managua. 
Con le stesse tre parole, in movimento.

Alessia M

Da peso piuma a peso massimo

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Jambo sana! 
Manca meno di una settimana alla partenza e, dopo mesi dalla selezione e qualche giorno di formazione, finalmente si concretizza l’idea che fra non molto toccherò suolo kenyano. “Parto per il Kenya per un anno, parto per il Kenya per un anno, parto per il Kenya per un anno..”: quante volte avrò ripetuto queste sette parole in diversi modi ad amici e soprattutto a me stesso quasi fossero una cantilena di sottofondo e che, solo adesso mentre scrivo, iniziano ad assumere un peso reale. Tolte la spavalderia e la gasatura iniziali, inizio a provare fremiti d’eccitazione nel sentire come queste parole siano balzate dal peso piuma al peso massimo nel giro di poche righe. E nonostante ciò, nonostante mi sembri qualcosa di insormontabile, emerge un sorriso di sfida nel pregustarmi l'avventura di quest’anno.

..anche la playlist #bloggaconamici su Youtube aiuta a caricarmi un po’ di più..

PASSAGGI

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Novembre 2018
Sono quasi tre mesi da quando mi è stato chiesto: ”Sei pronta a fare le valigie?”. Riaggancio, ricordo di essermi guardata allo specchio e di aver visto molta emozione sul mio viso. Realizzo: vado a Beirut.

Venezia, Via Garibaldi di Castello
Dicembre 2018
Faccio visita a Venezia per recuperare le ultime cose lasciate ormai da mesi da amici. È una città nella quale mi sono immersa qualche anno fa ed è dove ho iniziato ad approfondire l’interesse per le migrazioni internazionali e a scoprire meglio alcuni paesi della così definita area MENA. Tra le calli e i canali ho ridefinito maggiormente me stessa ed è proprio da lì che sono partita per Rabat, dove ho vissuto un anno di scoperta e incontri.
Riguardo questa foto scattata in uno dei primi mesi in una lunga passeggiata alla scoperta della laguna. Mi sento così ora: appesa ad uno di quei fili come fossero mani tese verso di me pronte a sostenermi in un nuovo capitolo che si sta aprendo. Non sono sola, vicino a me ho forme e colori diversi.

Gennaio 2019
Meno qualche giorno alla partenza. Mi rileggo nella parole di Murakami in Kafka sulla spiaggia - che ormai so a memoria. Mi faccio l’augurio che l’incontro con l’altro mi cambi ogni giorno un po’.
"Il mondo cambia tutti i giorni, signor Nakata. 
Tutti i giorni, quando arriva l'ora, spunta il sole. Ma il mondo non è lo stesso del giorno prima. 
E anche lei non è lo stesso Nakata di ieri. Capisce?"

Migrare non è reato

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Hai un contratto a tempo indeterminato, una casa, una macchina e vai in Nicaragua? Ma dov'è? In Africa? In America??? Non è lontano?? Ma non hai paura? Hanno rapito una ragazza! Ma sei sicura? Mille domande per me inconcepibili fatte da persone così imbrigliate nella quotidianità che non hanno voglia di allargare i loro orizzonti, non riescono a vedere oltre il proprio orto, dove il diverso fa tremare le gambe perché è un qualcosa che non si conosce.

 Da sempre ho sognato mondi lontani; il mio vicino di casa iraniano in Italia perché rifugiato politico, un ragazzo polacco accolto in casa, l’amico di famiglia indiano che mi portava in giro con la vespa, tutte persone che raccontando la loro piccola storia hanno insidiato in me il seme della curiosità, della scoperta. Mi sentivo stretta nel mondo che mi ero creata, era ora di partire, di toccare con mano quel mondo sempre sognato e dare concretezza a tutti quei paroloni letti sui libri: sviluppo, cooperazione, aiuti umanitari, sostenibilità, progetti. 

Grazie al Servizio Civile ho l’opportunità di immergermi in un’altra cultura, respirarne gli odori ed essere pervasa dalle sensazioni e nel frattempo, dare un piccolo contributo a persone che hanno avuto la sfortuna di nascere nella parte sbagliata del mondo. L’idea di collaborare in una scuola di un quartiere popolare come Nueva Vida, mi incuriosisce ma mi spaventa allo stesso tempo. Cosa posso fare io? Di cosa avranno bisogno questi ragazzi? Ma poi metto da parte tutte le ansie e penso che a volte anche un abbraccio, un sorriso, delle attenzioni per i bambini di strada con cui entrerò in contatto possono rendere il mondo meno triste.

 “Happiness is only real when shared” 

Un piccolo Supertrump nelle terre selvagge?! Non credo, ma comunque è ora di partire…. 

 Si vola dall’altra parte del mondo!!!

Tra due ritorni

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Febbraio 2012. Avevo iniziato da qualche mese l’università, facoltà di Lingue e Letterature Straniere a Torino. Lingue scelte? Arabo e inglese. Sopravvissuta alla prima sessione esami della vita ricevetti una proposta da un amico: «Vieni con me a Beirut? Devo andare a recuperare la mia valigia e altre cose personali». 

Poco più di un anno prima, un’ondata di manifestazioni e contestazioni di piazza aveva iniziato ad infuocare i territori nordafricani e mediorientali: prima la Tunisia, poi l’Egitto, Libia, Marocco, Yemen, Siria. Gli equilibri geopolitici stavano cambiando in fretta e dall’Italia si guardava con curiosità e interesse a ciò che stava succedendo oltre il Mar Mediterraneo. 

S. era partito per Damasco nel 2010, quando la Siria era ancora una delle mete privilegiate per lo studio dell’arabo. Nell’inverno del 2011 era tornato in Italia pensando di fermarsi solo qualche settimana, ma la crisi siriana era rapidamente entrata in una fase critica acuta e irreversibile. Le ambasciate stavano chiudendo, i pochi studenti rimasti si apprestavano a ritornare – spesso forzatamente – nei propri paesi di provenienza con l’amaro in bocca, lasciando amici e compagni in balia di un futuro incerto. 

Sede dell'EDL (Electricité du Liban) - Beirut
Decisi di partire insieme a lui. Oggi mi piace pensare che in quella decisione ci fu “un misto di incoscienza e di coraggio” come recita una canzone hiphop italiana.  Questo perché atterrammo a Beirut, vero, ma il giorno dopo, alle 7 del mattino, un taxi ci portò a Damasco dove ci fermammo appena 48 ore. Poche ore che, tuttavia, sono scolpite nella mia mente come se fosse ieri. Recuperate le valigie e salutati gli amici ritornammo nella capitale libanese dove restammo ancora qualche giorno.

Nonostante avessi già visitato qualche paese arabo insieme alla mia famiglia, quel viaggio-lampo in Libano rappresentò – forse – uno spartiacque nella mia vita. Fu il primo di tanti viaggi, per la maggior parte affrontati da sola, e l’inizio di un percorso di riflessione e passione che mi porta ad essere qui oggi. 

Gennaio 2019. Ad una settimana dalla partenza – destinazione Beirut - convivo pacificamente con quel brivido che mi ha percorso in questi ultimi anni nelle occasioni in cui ho deciso di buttarmi in un’esperienza totalmente nuova, magari sconosciuta e diversa da quelle precedenti. Le prime volte fa una paura terribile, ma quando lo ritrovi dentro di te è un po’ come incontrare un amico di vecchia data con cui vuoi chiacchierare tutta la notte davanti ad un bicchiere di vino.

ATTESA

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L’inizio di un viaggio di cui non conosco la meta, è difficile scrivere così, nero su bianco ciò che provo. A tratti sento un miscuglio di emozioni che mi sconvolgono, mi travolgono, ma subito dopo la normalità di essere ancora qui.
Penso ai volti che incontrerò.
Mi piace immaginare la terra che i miei piedi calpesteranno, dove potrò ritrovare qualcosa di molto simile a quella forte radice sedimentata in me, che mai ho avuto modo di vivere con continuità reale.
Vivrò incontri e storie di anime forti e al limite della follia proverò a restituire loro un’occasione. Sogno occhi nobili pieni di poesia, sguardi con i quali portò volare insieme, innalzandoci mano nella mano.
Penso ai volti che mi emozioneranno, ai percorsi insieme, a quanto sarà difficile invitare un fiore ferito ad uscire allo scoperto, dirgli di non nascondersi piccolo, ma porgerli il palmo così che sappia che c’è qualcuno lì fuori pronto ad accoglierlo delicatamente. Stimolare una vita per mostrarle il sole e abbracciare appieno ogni momento.
Durante questa scoperta vorrei rinascere anche io assieme al fiore,  portare alla luce del sole i tanti me che ancora non conosco, e assaporare ogni istante di vita, immortalarlo nel mio cuore. 
L’inizio di un viaggio di cui non conosco il traguardo.. guarderò il cielo e penserò che in fondo è lo stesso di adesso.

-1825 ore

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È finalmente arrivato il momento, pensavo di dover dire tante cose ma ora non mi viene niente di troppo eclatante.

In maniere silenziosa, lenta ma costante il sogno si è avverato.

Sono semplicemente e autenticamente felice, un cantautore italiano direbbe “io sento il cuore a mille” ed è proprio così che mi sento a 1825 ore dalla partenza.
Non ho paura della lontananza da casa, dalla famiglia, dalle mie amiche, dal lavoro che tanto amo, dai colleghi, della lingua e dalla cultura completamente diverse; per ora ho solo una grande adrenalina che credo si stia concentrando nella parte sinistra del petto pronta ad irradiare il mio anno a Mombasa.
Lo so è che non sarà tutto bello come credo, che in realtà la lingua sarà un aspetto molto difficoltoso all’inizio, che i bambini non saranno da subito sorridenti e disponibili alla nostra presenza, che probabilmente prenderò un virus gastro-intestinale dopo 30 secondi dall’atterraggio, che poi anche casa mi mancherà e forse anche il cibo e magari anche la mamma con le sue preoccupazioni e i cazziatoni, ma ora no.

Ora è il momento bello e spensierato, quello pieno di energie e di creatività in cui immagini quello che ti aspetta e quello che potresti fare e io mi sento proprio viva!
Poi si, arriverà anche il momento del confronto con la realtà in cui piangerò, mi demoralizzerò e vorrò la mamma in cui mi dice che andrà tutto bene..lo so che succederà probabilmente più spesso di quello che credo ma…vallo a capire tu perché, mi elettrizza anche questo.

Quindi, mio caro 4 febbraio io sto aspettando, sei il cassetto d’oro che piano piano in questi mesi si è accostato a una nuova realtà, in queste 3 settimane di formazione si è aperto ancora un pochino e adesso è proprio pronto per spalancarsi alla calda e rossa terra africana che ho lasciato 2 anni fa.
Sono diventata grande eh in questi 2 anni, non ho più la pretesa di cambiare il mondo ma magari un pochinoinoino qualcosina si, di lasciare una piccola luce accesa nelle persone, di sorrisi e di abbracci regalati perché la semplice realtà é che é proprio vero, ognuno di noi é immensamente speciale. E allora ricordiamocelo a vicenda, che fa bene al cuore.

E poi, mio caro 4 febbraio, che tra l’altro sarai un lunedì e già questa cosa mi fa odiare un poco meno il lunedì; come posso e potrò quantificare le cose che imparerò da loro? Quelle che proprio mi marchieranno nella parte più profonda? Quelle che mi faranno singhiozzare di dolore e scoppiare il cuore di felicità? Com’è che si fa a farlo capire agli altri, 4 febbraio?
Hai un anno per pensarci, nel frattempo io parto e ci teniamo sentiti dai, non mi deludere e magari fai un passaparola anche agli altri 365 giorni dopo di te.

Giorgia 

lunedì 21 gennaio 2019

Il futuro: tra privilegio e necessità.

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Circa quattro mesi fa finivo un anno di servizio civile in Moldova con il cuore gonfio di mille sensazioni, denso di gratitudine e un po’ appesantito dalla fatica di chiudere un’esperienza che mi ha cambiata profondamente: riconosco che il lasciare andare con serenità (persone, esperienze, eventi...) non sia qualcosa che appartenga in modo particolare alla mia personalità. 

 Chiudevo quest’esperienza con un pensiero che mi pulsava in testa dopo avere incrociato tante storie e aver conosciuto la vita di un paese che vive un presente che riesce a fatica a proiettarsi al di là del domani, un paese in cui un numero crescente di cittadini non intravede alcun futuro e decide di emigrare

Il futuro è un privilegio: è un privilegio poterlo immaginare, sognarlo, disegnarlo a seconda delle proprie spinte, è un privilegio potersi proiettare in dei sogni più o meno romantici e, personalmente, lo ritengo anche un diritto di cui, evidentemente, non tutti possono godere.

Oggi, 4 mesi dopo, mi trovo in Serbia a lavorare in un campo per richiedenti asilo, uno di quei campi aperti in risposta all’”emergenza” creatasi lungo la rotta balcanica.

Oggi più che mai quel pensiero risuona dentro di me. In questi giorni di rabbia e tristezza, in cui l’impotenza, la sento sempre più forte, sento la necessità di condividere quel che mi passa per la testa.  Ammetto che, da quando condivido gran parte della mia quotidianità, in questo pezzettino di mondo, con circa 130 persone, la mia testa è un crocevia disordinato di pensieri, riflessioni ed emozioni contrastanti in cui, molto spesso, fatico a fare ordine.

Proprio oggi una famiglia curdo-irachena, dopo una serie di vicissitudini, ha dovuto lasciare il campo per spostarsi in un altro campo in Serbia. M, 11 anni, la figlia più grande mi ha guardato con i suoi occhi profondi  dicendomi: “ Me, no like to go”.

M. É nata nel Kurdistan iracheno, ha 11 anni e non sa scrivere: proprio ora sta imparando, ma in cirillico. Nel frattempo, però, si arrangia con il persiano che ha imparato nel campo, con il serbo che sta imparando a scuola, con il curdo, la sua lingua madre, e con un po’ di inglese... Oltre a stupirmi, ogni tanto, con qualche parola in italiano (imparata probabilmente origliando qualche mia conversazione).

Non riesce a stare nelle regole e più volte mi ha portata al limite della sopportazione, se dovesse partire “Let it go" di Frozen è bene starle lontani perchè non riesce a contenere il suo entusiasmo, attacca briga molto facilmente perchè non riesce a gestire tutto quello che le passa dentro ma, nonostante questo, mi ha conquistata dal primo giorno, con i suoi occhi incredibili e con i suoi slanci d’amore palesati in baci appiccicosi e in abbracci che tolgono il fiato... Appena ha qualche seme di girasole lo offre a mezzo campo (le tasche della mia giacca da lavoro si stanno riempiendo a vista d’occhio), ad ogni compleanno arriva nella nostra stanza urlando per chiedere un foglio dicendo ”Today happy birthday + nome del festeggiato”, ci mette sempre tutta se stessa per farsi capire e mal che vada si usa Google Transate Curdo/Italiano.

Oggi ho mandato a quel paese ogni cosa imparata sui libri di servizio sociale. ”Lisa, me today go another camp.” Non coinvolgimento, what?

E allora io mi chiedo: ma che futuro stiamo dando  a queste generazioni? Ma come riusciamo ad essere indifferenti a questo pezzo di storia così triste? Come riusciamo a riempirci la bocca di “ma”? Come possiamo permettere che (per la maggior parte di queste persone) l’unica via per entrare in Europa sia una via illegale dopo avere passato mesi o anni in viaggio, rischiando la vita e spendendo i risparmi di una vita ( e più!!!)?

Vite sballottate da un campo all’altro, mosse come fossero pedine di un gioco da tavolo.

Personalmente ritengo che il futuro parta da lì, da come riusciamo a prenderci cura della vita che cresce, da quali radici riusciamo a dare a questi bambini che un giorno saranno uomini e donne e che, a loro volta, saranno responsabili di scelte da fare e di altre vite.

A.Appadurai nel suo saggio “Il futuro come fatto culturale” mi aveva stregata nella sua lettura rivoluzionaria di futuro in cui non lo vede semplicemente come un possibile scenario dell’avvenire ma come un elemento base delle collettività che, attraverso questo, riescono ad elaborare delle strategie di adattamento e di sopravvivenza in una realtà che è spesso dominata da delle forze impersonali.

Oggi va così, la tristezza e la rabbia hanno preso il sopravvento su tutto il resto.

Domani, però, cercherò di trasformarla in una forza motrice tra un lavoretto, una chiacchierata e qualche nuova parola di persiano e arabo, per stringermi al coraggio di chi, nonostante tutto, il futuro lo cerca e lo vuole. 
Questo è per voi! Grazie.


Lisa.