In una Amman in assetto da guerra ma gioiosa, che non si è fatta mancare nemmeno i cecchini bardati di tutto punto e disseminati sui tetti dei palazzi, ieri mattina allo Stadio Internazionale di Amman si è svolto l'evento che tutti i fedeli attendevano, l'arrivo di Benedetto XVI e la celebrazione della Santa Messa.
Lo staff Caritas, che negli ultimi 10 giorni aveva contribuito all'organizzazione dell'evento con grande fervore, ha passato la notte tra il sabato e la domenica allo stadio per gli ultimi agitati preparativi.
Alle 2 SCE è stato concesso il lusso di assistere all'evento da normali spettatrici e sono comodamente partite da casa alle 4.15 del mattino, via, assonnate e silenziose verso la chiesa di Jabal Amman, dove l'autobus per lo staff Caritas le attendeva per il trasporto verso lo stadio.
Ore 5.00 arrivate a destinazione, superati i cancelli, braccia e gambe divaricate per le perquisizioni di routine, tè caldo per difendersi da un vento del mattino un po’ troppo arrogante. Prendiamo posto sugli spalti ancora deserti. Ma non saremo arrivate un po’ troppo presto? Ormai ci siamo.
Ancora impastate di sonno osserviamo, con il passare delle ore, lo stadio che si riempie, che si colora, che trepida di emozioni, di cori, di linguaggi stridenti tra loro. I primi ad arrivare, insieme ai giordani, sono i filippini che lavorano qui, hanno approfittato del loro unico giorno libero per partecipare a questa grande festa, poi arrivano gruppi di libanesi, di siriani, di tedeschi, australiani, italiani, ognuno orgogliosamente sventolante la sua bandiera.
Qualche parola con i nostri colleghi di Caritas, sfiniti dalla veglia. Le ore passano, lo stadio è colmo. Dall'altoparlante gli spettatori vengono invitati a sedersi.
Una voce gracchiante comunica che il Papa sta arrivando. Applausi scroscianti, grida, tutti in piedi, eccolo nella sua papamobile, di bianco vestito, le braccia spalancate, fa un giro di pista benedicendo i fedeli impazziti per lui per poi prendere posto sull'altare.
Nel discorso di benvenuto il Papa viene simbolicamente accolto dalla comunità tutta, cristiana e musulmana, si parla di pace nel mondo, si stringe il focus sul Medio Oriente e sulla critica situazione del popolo di Terra Santa. Imprescindibili le parole sui rifugiati irakeni che la Giordania accoglie e sulla tutela delle necessità pastorali per gli irakeni di fede cristiana.
Poi sta al Papa, che parla come pastore di Dio. Parla della donna nella società giordana, del rispetto e della dignità per essa come segno di amore e civiltà. Poi passa alla Terra Santa, il Papa ricorda l'importanza della tradizione religiosa che da essa ha origine e la necessità del dialogo interreligioso.
Ma al di là delle parole del Papa, pronunciate in inglese e che non tutti avranno udito o capito, dopo gli incontri ufficiali di Benedetto XVI questa è stata la festa del popolo e il popolo ha risposto in massa.
Lo staff Caritas, che negli ultimi 10 giorni aveva contribuito all'organizzazione dell'evento con grande fervore, ha passato la notte tra il sabato e la domenica allo stadio per gli ultimi agitati preparativi.
Alle 2 SCE è stato concesso il lusso di assistere all'evento da normali spettatrici e sono comodamente partite da casa alle 4.15 del mattino, via, assonnate e silenziose verso la chiesa di Jabal Amman, dove l'autobus per lo staff Caritas le attendeva per il trasporto verso lo stadio.
Ore 5.00 arrivate a destinazione, superati i cancelli, braccia e gambe divaricate per le perquisizioni di routine, tè caldo per difendersi da un vento del mattino un po’ troppo arrogante. Prendiamo posto sugli spalti ancora deserti. Ma non saremo arrivate un po’ troppo presto? Ormai ci siamo.
Ancora impastate di sonno osserviamo, con il passare delle ore, lo stadio che si riempie, che si colora, che trepida di emozioni, di cori, di linguaggi stridenti tra loro. I primi ad arrivare, insieme ai giordani, sono i filippini che lavorano qui, hanno approfittato del loro unico giorno libero per partecipare a questa grande festa, poi arrivano gruppi di libanesi, di siriani, di tedeschi, australiani, italiani, ognuno orgogliosamente sventolante la sua bandiera.
Qualche parola con i nostri colleghi di Caritas, sfiniti dalla veglia. Le ore passano, lo stadio è colmo. Dall'altoparlante gli spettatori vengono invitati a sedersi.
Una voce gracchiante comunica che il Papa sta arrivando. Applausi scroscianti, grida, tutti in piedi, eccolo nella sua papamobile, di bianco vestito, le braccia spalancate, fa un giro di pista benedicendo i fedeli impazziti per lui per poi prendere posto sull'altare.
Nel discorso di benvenuto il Papa viene simbolicamente accolto dalla comunità tutta, cristiana e musulmana, si parla di pace nel mondo, si stringe il focus sul Medio Oriente e sulla critica situazione del popolo di Terra Santa. Imprescindibili le parole sui rifugiati irakeni che la Giordania accoglie e sulla tutela delle necessità pastorali per gli irakeni di fede cristiana.
Poi sta al Papa, che parla come pastore di Dio. Parla della donna nella società giordana, del rispetto e della dignità per essa come segno di amore e civiltà. Poi passa alla Terra Santa, il Papa ricorda l'importanza della tradizione religiosa che da essa ha origine e la necessità del dialogo interreligioso.
Ma al di là delle parole del Papa, pronunciate in inglese e che non tutti avranno udito o capito, dopo gli incontri ufficiali di Benedetto XVI questa è stata la festa del popolo e il popolo ha risposto in massa.
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