Ho letto un articolo interessante.
Una storia di donne, donne “senza speranza”, donne rinchiuse in un ospedale, asettico e da quell’odore inconfondibile, donne povere, ma donne che non smettono mai di lottare.
Fino alla fine.
Così scopro di questo progetto del comune di Managua nell’ospedale Bertha Calderòn, iniziato il 19 febbraio del 2007, per l’alfabetizzazione di venticinque donne malate di cancro.
Non sono certa, ma credo che la cosa proceda.
All’inizio, lo ammetto, ho creduto fosse solo una specie “d’intrattenimento”, un “far passare il tempo”, come un lavoro all’uncinetto, come quattro chiacchiere con la vicina, una partita a carte....
Già, l’ho pensato, che stupida.
Forse perchè io so leggere. Forse perchè io so scrivere.
Allora, all’improvviso, ho realizzato cosa possa aver significato, per queste donne, scrivere una lettera ai figli, lasciare dei pensieri impressi su un pezzetto di carta, scoprire di poterlo fare, di poter studiare, anche durante una chemioterapia, quando ti è stata succhiata tutta l’energia necessaria, ma non la voglia di vivere.
Ho sentito quel gorgoglìo nello stomaco immaginando l’orgoglio nel mostrare una frase tremante.
Noi lo diamo per scontato, diamo tutto, sempre, per scontato.
Studiare? Un diritto o una forzatura, però riesce sempre a scioccarmi come altrove il poter studiare sia considerato invece una ‘fortuna’, un’opportunità, una chance, banalmente, per una vita migliore.
O, come per queste donne, un piccolo, grande, traguardo.
E l’articolo si conclude con una domanda a doña Juana Tòrrez:
-Ha paura della morte?
-(Sorride) No, non ho paura. Siamo nati per questo, per morire.
Però penso alle mie povere figlie che rimarranno sole.
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