E così, dopo tanta attesa, questa estate la nave del mio viaggio è attraccata ad un porto preciso, cercato e desiderato: ha delle coordinate geografiche ben definite, nonostante a me risultasse praticamente sconosciuto. Questo porto ha nome Bolivia.
La mia nave, che durante quest’anno e prima di questo attracco ha percorso tante miglia, ha intuito cosa le è davvero essenziale per andare avanti, ha cominciato a navigare nel mare aperto, riconoscendo l’importanza di alcuni porti quotidiani che ti danno rifornimenti per continuare verso un orizzonte saldo. Ma sulla cartina c’era una grande ‘X’ sulla Bolivia, un segno che avevo posto mesi prima: avevo il desiderio di mettermi a servizio degli ultimi, in una realtà che non fosse la mia e che mi permettesse di andare incontro a situazioni per me impensabili.
Già, perché per incontrare qualcuno c’è bisogno di ‘andare’: incontrare implica muoversi, darsi da fare e rendere questo incontro possibile e fecondo. Non accade per miracolo.
Ci vuole anche attenzione per incontrare una persona, vuol dire accoglierla e lasciare che si mostri per come è, senza volerla vestire con gli abiti che un giudizio prematuro ci porterebbe a metterle addosso. La Bolivia in questo mi ha messo alla prova: incontrare gli occhi di una ragazza della mia età malata di SLA, che rimarrà nella sua casa nel mezzo del nulla finché sarà la nonna a prendersi cura di lei, mi ha costretto ad accettare una situazione per me paradossale, dove la presenza dei miei compagni di viaggio e mia era sostanzialmente inutile. Mi ha fatto bene, questo sentirmi inutile, questa impotenza.. Mi ha ricordato che alcune volte non bisogna fare, bisogna esserci. E ci devi essere con tutto te stesso quando un altro ti si fa vicino, non basta un pezzettino: così come quel pomeriggio, nel nostro ultimo giorno a Cochabamba, dovevo esserci all’hogar Wasinchej (dal quechua, 'casa nostra’) per incontrare una ragazzina di nome Esperanza, il cui silenzio mi ha parlato e mi ha attratto come una calamita. Per circa mezzora, i suoi occhi, la sua voce e i suoi racconti sono stati il mio tutto. Mi sarei potuto fermare un altro mese ad ascoltare col cuore aperto e donare il mio tempo a lei e alle altre bimbe e ragazze dell’hogar, perché la qualità di quei momenti non si può tradurre con parole. Ho avuto la conferma ancora una volta e in modo nuovo come il tempo, la vita ha senso ed è piena solo nel momento in cui al centro c’è l’Altro. ‘La misura dell’amore è amare senza misura’ ha detto qualcuno tanto tempo fa, e lo trovo incredibilmente vero: se decidi tu a priori quanto vuoi donarti, parti limitato, rimani nel tuo guscio sicuro e non ti metti in gioco per davvero. Brutto no?
Siamo fatti per rischiare, per rischiare anche di non essere capiti e respinti: quante volte mi sono sentito osservato perché ero io il ‘gringo’, e se dai bimbi era uno sguardo di curiosità, in altri ho letto quasi un fastidio. Ma soprattutto, siamo fatti per entrare in relazione: in Bolivia, quando si incontra una persona conosciuta o meno ci si saluta in un modo per noi inusuale. Ma quando è stato il momento di salutarci prima di tornare in Italia, si è usato il linguaggio universale dell’abbraccio. E lì, in Bolivia, ho scambiato alcuni degli abbracci più belli di sempre, con i bimbi del doposcuola, con i ragazzi disabili di Danilo, con i miei compagni di viaggio. Talmente belli e importanti che, ripensandoci, ne sento ancora il calore e l’emozione.
La mia navigazione è ripresa già da un paio di settimane ormai; guardando indietro riconosco di aver portato a bordo un bagaglio enorme che verrà sempre con me, un bagaglio fatto di alcuni tesori preziosi che già custodisco con cura maniacale, e fatto anche di oggetti per il viaggio di cui posso scoprire l’utilità solamente continuando a solcare il mare. Ho trovato un paese molto complesso, molto variegato sia nell’aspetto naturale, del paesaggio ma soprattutto a livello umano. E come in ogni grande avventura, i paesaggi segnano gli occhi e la mente, mentre ciò che ci segna il cuore sono le persone che ci sono poste lungo il cammino.
Così è per me la Bolivia: nei miei ricordi e nel mio cuore scorrono tutte quelle situazioni, quelle storie, quegli occhi che hanno contribuito a rendere questa terra una tappa unica nel mio viaggio.
Hasta pronto Bolivia querida, con la speranza che i mari e i venti permettano alla mia nave di gettare un’altra volta l’ancora nel tuo porto.
Alessio
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