Vuoi un po' perchè i pensieri che volevo condividere sono stati messi per iscritto nel mese del nostro ritorno, vuoi un po' perchè la voglia di citare la famosa canzone della PFM era troppo forte...il titolo che ne è uscito fuori è questo qua !
In realtà, tra la scrittura del pezzo e la sua pubblicazione si è messo di mezzo un altro evento che, purtroppo, ha riportato Haiti sotto i riflettori di tutto il mondo. Questa volta, al contrario del terremoto del 2010, che ha avuto il suo epicentro nei pressi della capitale, a farne le spese maggiori del passaggio dell'uragano Matthew sono state le zone di provincia, sud e nord del paese.
Per me è stata anche l'occasione per mettere a confronto le notizie provenienti dal grande mondo delle agenzie dell'informazione e quello che ci veniva raccontato dai contatti in loco, trovando ritardi e discrepanze.
Viene proprio da pensare che piova sul bagnato, in tutti i sensi.
Sfogliando Internazionale del 14 ottobre trovo un articolo del Nouvelliste, il quotidiano haitiano con più anni di storia alle spalle, e leggo: "[...] come tutte le catastrofi che ci hanno colpito negli ultimi decenni, Matthew ci ha messo in una brutta posizione. Il paese è guidato da un governo provvisorio e da ministri praticamente inesistenti. Un governo che anche prima della catastrofe faceva fatica ad occuparsi delle strade, a lottare contro il colera, a garantire il funzionamento degli ospedali pubblici e la protezione delle vite umane e dei beni materiali dovrebbe diventare improvvisamente efficiente dopo Matthew?". Una domanda che ha in sè anche la risposta.
Tornando all'origine di questo post, faccio un breve salto indietro nel tempo condividendo qualche impressione scritta a caldo, dopo il rientro avvenuto nel mese di settembre, per il bollettino parrocchiale del mio paese:
“Dèyè mon gen mon”. Proverbio in creolo
haitiano che significa “dietro ad un monte ci sono altri monti”. È proprio
quello che accade se dal caos della capitale ci si avventura sulle strade che
portano fuori città e si inizia a camminare su qualche sentiero. Quando si
pensa di essere giunti al punto più alto per poter godere di una buona visuale,
di aver terminato la dolce fatica dell’ascesa, scopri che non è così; c’è da
camminare ancora un po’. D’altronde il nome dato all’isola – Ayiti – da parte dei primi abitanti
significa proprio “terra dalle alte montagne”. Sappiamo benissimo che spesso,
il significato dei proverbi, non si ferma ad una semplice considerazione di
quello che la realtà presenta ma possono in qualche modo alludere o riferirsi a
qualcosa di più profondo.
Rientrato da poche settimane dal servizio
civile ad Haiti, con ancora un po’ di termini in creolo che scorrono nella
testa, faccio fatica a trovare le parole per descrivere cosa è stato questo
anno. Ricordo il primo periodo: era come se fossi finito in una Babele del
nuovo millennio. Una lingua incomprensibile, modi di fare differenti, gesti e
usanze sconosciute. Bisognava pur cominciare da qualche parte! Le prime frasi
che avevo cercato di imparare a memoria in creolo erano dei proverbi.
Dall’apprendere a memoria si è poi passati al comprendere il significato delle
parole, provando a decifrare il veloce flusso di suoni che mi veniva rivolto
mentre parlavo con qualcuno e cercando di creare frasi che avessero un minimo
di senso.
Ecco allora che le montagne,
citate come incipit dell’articolo, non rimangono solamente scenari di qualche
passeggiata, ma rimandano ad una lettura più profonda. Quel monte che finisce e
che fa spazio ad un altro monte diventa immagine e metafora dello “stare” in
terra straniera, prendono la forma della relazione con l’altro, immersi in una
cultura differente.
Ci sono momenti della salita in montagna che ti entusiasmano,
che ti fanno crescere la passione, ti fanno aumentare l’attesa di quello che ci
sarà oltre quel pendio aprendo la possibilità a nuovi orizzonti. Ci sono anche
altri momenti invece in cui è la fatica ad avere la meglio, dove il passaggio
in ferrata che credevi al tuo livello si trasforma in qualcosa di quasi
invalicabile, quando ormai pensi di conoscere bene quelle valli…ma una volta
arrivato in cima ti accorgi che ti sei sbagliato, c’è ancora da camminare!
Ecco allora il passaggio
dall’apprendere a memoria al comprendere. Il più grande compagno in questo
processo non può essere che il tempo. Darsi tempo, cercando di accettare i
limiti legati al contesto insieme ai nostri limiti personali che emergono quando
siamo messi un po’ alle strette, quando ci chiediamo se è giusto quello che ci
si presenta davanti gli occhi. Troppo abituato a ricevere richieste di “fare”,
è stato difficile rispondere a chi invece mi offriva la possibilità di “stare”.
Termino questo lunghissimo post citando la conclusione dell'articolo del Nouvelliste a proposito dell'uragano: "Se prima del passaggio dell'uragano il compito del governo era garantire lo svolgimento delle elezioni, oggi il suo dovere è ridare vita alle regioni messe in ginocchio dall'uragano e assicurare una buona gestione degli aiuti internazionali, evitando che si ripeta quello che è successo nel 2010 e neutralizzando i professionisti nazionali e internazionali del dirottamento di fondi. Ecco il miracolo che il governo deve realizzare".
Lo speriamo in tanti.
Lo speriamo in tanti.
Matteo
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