L'estate scorsa ho partecipato ai Cantieri della
solidarietà della Caritas, destinazione Bulgaria, nel paese di
Malchika, vicino al confine con la Romania. Il gruppo era un po'
particolare: 8 ragazze italiane e 7 ragazzi bulgari ospitati da Padre
Remo, missionario passionista. Ogni mattina andavamo al villaggio vicino e ci
suddividevamo in tre gruppi: chi andava a visitare gli anziani, chi faceva
animazione con i bambini, chi si impegnava in lavori manuali per ristrutturare
la chiesa.
La prima domanda che sorge spontanea è: perché? Perché decidere di partire per i Cantieri dopo il fatidico esame di maturità? Non è facile rispondere: è un sogno che coltivo da tantissimo tempo, un'attrazione irresistibile verso questo tipo di esperienze che spesso mi era capitato di sentire attraverso i racconti di giovani entusiasti. Forse sono stati complici la mia passione per i viaggi o la curiosità di conoscere altre culture, ma più di tutto penso che la "molla" decisiva sia stato il desiderio di voler portare fuori dalle mura della mia parrocchia, della mia città, della mia nazione quell'esperienza di servizio e in particolare di animazione con i bambini che ho via via consolidato in oratorio.
E così sono arrivati i fatidici 18 anni, il passaporto, il consenso più o meno convinto di mamma e papà, e il sogno è diventato realtà. Ricordo bene quel pomeriggio, mercoledì 5 aprile, quando Sergio mi ha detto: "Parti per la Bulgaria!". Sono passati in fretta i mesi prima della partenza, con tutti i dubbi che mi assalivano: come mi troverò?come ci capiremo? sarò capace? E ancora più velocemente sono passate le due settimane di Cantiere.
E' difficile raccontare le cose ho vissuto, perché è stato più che altro un sovrapporsi di emozioni intensissime; provo a farlo servendomi di tre parole chiave: accoglienza, incontro, reciprocità.
Accoglienza: è in assoluto la prima emozione che ho provato quando sono atterrata sul suolo bulgaro, accoglienza a braccia aperte da parte di
Padre Remo, dei ragazzi che avrebbero vissuto con noi, degli
abitanti di Tranciviska, il villaggio dove svolgevamo il nostro servizio,
degli anziani che andavamo a trovare a casa. In Bulgaria posso dire di
essermi davvero sentita a casa. Certo, mi capitava di pensare alla
famiglia o agli amici, ma non ho mai avvertito quella sensazione di nostalgia
tipica di quando non ti senti totalmente a tuo agio, di quando ti senti
straniero.
Incontro: il Cantiere della solidarietà è un'esperienza
che si vive proprio "sulla strada", non come turisti che visitano un luogo ma
come operai che in quella realtà si sporcano le mani. Inevitabile, quindi,
l'emozione dell'incontro con tante, tantissime persone che di fronte a noi
aprivano la porta di casa e la porta del cuore, condizione indispensabile
per riuscire a capirsi al di là della lingua. Ed è così che li incontravi: nella
loro sconcertante semplicità e nel loro straordinario desiderio di stringere
relazioni.
Reciprocità: sembra un'affermazione quasi assurda: se
andiamo a lavorare in un Cantiere di solidarietà, non siamo forse noi a dare
qualcosa? E invece no, ed è questo che è stato forse l'aspetto più sconcertante:
non sono in grado di calcolare se abbiamo dato di più noi a loro o loro a noi.
E' una bilancia in perfetto equilibrio: da una parte c'è il nostro
tempo, la nostra energia, il nostro lavoro, ma dall'altra, in misura
uguale, ci sono gratitudine, affetto e lezioni di semplicità e di
essenzialità, perché i poveri e gli ammalati che abbiamo incontrato sono davvero
i migliori maestri di queste virtù.
Tutto questo è stato per me anche una
profonda esperienza sul piano della fede. Lo spirito di servizio che
animava ogni nostra giornata, il tempo totalmente dedicato agli altri,
l'incontro con tante persone, la vita di gruppo sono tutti elementi che avevano
un forte "sapore" di Vangelo. Il Cantiere è un luogo privilegiato per
vivere questa dimensione perché sei lontano dai doveri di tutti i giorni, dalla
quotidianità spesso un po' alienante di casa, è una totale immersione nel
servizio, è un continuo spendere tempo per gli altri. Ma non solo l'aspetto
"concreto" della fede, e cioé il servizio, è stato valorizzato; anche la
preghiera ha assunto una forma e un contenuto particolare. Ogni sera ci
riunivamo insieme, italiani e bulgari, e due di noi proponevano una lettura e
una preghiera su cui riflettere. Era il momento della condivisione delle gioie e
delle difficoltà della giornata, delle esperienze fatte e di quelle mancate,
quasi a voler offrire tutto questo al Signore.
Un brano in particolare mi ha
aiutato a comprendere la dimensione di un Incontro con la "I", un brano che mi
ha accompagnato fin dal momento della partenza: "…e' Gesù che suscita in
voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di
seguire un'ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il
coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la
società rendendola più umana e fraterna…cari giovani del secolo che inizia,
dicendo sì a Cristo, voi dite sì a ogni vostro più nobile ideale…non abbiate
paura egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni
situazione."(Giovanni Paolo II, Tor Vergata agosto 2000).
Concludo con un'ultima immagine: è quella dell'impronta. Per me l'esperienza del Cantiere ha significato questo: un'impronta indelebile che mi suscita ricordi bellissimi e che ogni volta mi dona quello slancio entusiasta tipico di quanto si torna da un'esperienza straordinaria. E' un'impronta che mi aiutato a orientare gli studi, è un impronta che mi ha convinto a voler ripetere questa meravigliosa avventura. Penso che tutto ciò che vi ho raccontato si possa in realtà racchiudere in questa frase che ho sentito un giorno durante la testimonianza di un missionario: "portare la gioia agli altri ti fa gustare il vero sapore della vita". L''esperienza dei cantieri ha reso reale proprio questo.
Miriam Ambrosini
volontaria nei Cantieri della
Solidarietà 2006
Malchika - Bulgaria |
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