Nella storiografia delle battaglie per autonomia, l’esperienza curda rappresenta un esemplare lotta di autodeterminazione di diverse minoranze che abitano per lo più a cavallo tra Siria, Iraq, Iran e Turchia e che insieme condividono il cosiddetto Kurdistan. (sono presenti comunità curde anche in zone delle repubbliche ex sovietiche, come l’Armenia e l'Azerbaigian). Si tratta di un popolo che condivide un passato antichissimo radicato nella storia e mai riconosciuto pienamente entro limiti territoriali. Sono combattenti valorosi che da anni lottano per la propria indipendenza e per il controllo della terra su cui vivono.
I curdi se prima erano riconosciuti dall'impero Ottomano e protetti sotto uno stato di autonomia, con la caduta dei grandi Imperi e il trattato di Losanna 1923 furono repressi a lungo e la regione del Kurdistan si frammento favorendo gli interessi delle potenze di Intesa. L'entità curda vede dai suoi albori l'ostilità del governo turco e la lotta del regime di Erdogan col tempo si fa sempre più aspra, determinato a rivolgersi non solo entro i confini nazionali ma soprattutto verso quelli internazionali.
L’oppressione curda in Siria nel 2014 inizia tramite azioni più concrete e quattro anni dopo raggiunge picchi aggressivi con l’operazione Ramoscello d’ Ulivo iniziata a gennaio 2018 e con l’obiettivo di attaccare il partito dell'unione democratica curdo (PYD) e la sua armata unità di protezione popolare (YPG) , oltre che le forze democratiche siriane (SDF) che circondavano la città di Afrin. Dopo “scudo dell’ Eufrate” e” Ramoscello d’Ulivo” Erdogan, tra il 9 e il 10 ottobre attacca il nord della Siria, battezzando l’offensiva con il “Fonte di Pace”. La Turchia è determinata nel voler liberare il prima possibile la striscia di territorio al confine che andrebbe ad “ospitare” circa due milioni di profughi siriani attualmente presenti in Turchia.
Dal 2015 i combattenti a guida curda nella zona sono stati delegati dagli Stati Uniti nella lotta contro l’Isis, sconfiggendo infine il gruppo militante dopo aver perso 11.000 truppe durante gli scontri.
Tuttavia la Turchia considera tuttora l’ala militare del Comitato Supremo curdo (YPG) - composto dal partito dell’unione democratica (PYD) e il consiglio nazionale curdo (KNC)-, un gruppo terrorista indistinguibile dal partito del lavoratori del Kurdistan, organizzazione paramilitare del PKK.
Le forze democratiche siriane (SDF) formate da un'alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriane che oggi vedono meno il supporto statunitense dopo la decisione di Trump di abbandonarle ad un inevitabile assalto turco. I cambi strategici nella regione stanno provocando una nuova crisi umanitaria in Siria, dove le Nazioni Unite hanno stimato che nel paese 13.1 su 22 milioni sono dipendenti da aiuti e di questi 5.6 milioni sono in una situazione estremamente vulnerabile. L’attacco turco transfrontaliero contro le aree abitate dai curdi ha generato centinaia di morti e 300.000 persone sfollate.
La presa di posizione del presidente americano e stata criticata come “tradimento” di un partner militare scatenando un disastro umanitario e una minaccia della rinascita dell’Isis: domenica 13 ottobre infatti almeno 750 persone legate al gruppo terrorista, sarebbero fuggite da un campo nel nord-est della Siria. L’indietreggiamento delle truppe americane nel nord della Siria ha affondato l’esperimento di autonomia democratica dei curdi causando centinaia di morti e migliaia di profughi. L'incapacità dell’Alleanza Atlantica di fermare il massacro curdo, oltre ad evidenziare un disimpegno usa in Medio Oriente, ha favorito l’influenza di altri attori protagonisti quale la Russia. A seguito di 6 ore di colloquio l’accordo di Sochi sancito la scorsa settimana tra Vladimir Putin e il presidente turco Erdogan ha confermato il piano di Ankara di stabilizzazione di una “safe zone” estesa a est del fiume Eufrate per 440 km lungo il confine con la Turchia; anche l’Iran, storicamente alleata di Mosca beneficia dalle mosse russe e dal ritiro americano mentre il regime di Damasco prenderà il controllo del nord del Paese con la benedizione di Mosca, custode di Ankara rispetto alle scelte di Assad. Infatti l’intesa sancisce una tregua di 150 ore delle operazioni militari nel nord-est siriano in vista dell'evacuazione delle milizie curde YPG dalle zone che entreranno nella fascia di sicurezza turca di 120 km di lunghezza per 32 di profondità nel territorio siriano. Nel memorandum di intesa le due parti assicurano la tutela della sovranità e dell'integrità territoriale siriana e la lotta a ogni tipo di terrorismo. Militari russi e siriani monitoreranno l’effettivo allontanamento dei combattenti curdi dall'area cuscinetto. Tra Tell Abyad e Ras al-Ayn per circa dieci km sono previsti pattugliamenti russo-turchi ad eccezione di Qamishli, controllata da truppe russe. Il ruolo di Putin potrebbe diventare cruciale come garante della sicurezza europea, dal momento che i russi stanno esortando Ankara a sorvegliare i jihadisti ed esponenti dell’Isis fuggiti dalle carceri, prima gestite dai curdi. In un contesto che ricorda la conquista di sfere di influenza durante la guerra fredda del secolo scorso, la sconfitta dei curdi vede la Russia come primo attore nello scenario mediorientale.
Durante il più importante dispiegamento delle forze militari nell'area da anni, pare che la storia si ripeta: ancora una volta, un Paese lacerato dalla guerra civile viene invaso improvvisamente da una potente nazione con il fine preciso di colpire una comunità in particolare in un progetto di sterminio mirato. I combattenti consegnano le armi e si allontanano con la garanzia americana o russa, che la “pulizia“ venga effettuata e che l'ordine ritorni a predominare sul caos.