La comunità si chiama Nueva Tenejapa. Arrivandoci dopo un’ora di cammino mi chiedo perché si chiami Nueva, se ne esiste una vecchia, e subito vorrei saperne la storia. Sono accolto da grandi sorrisi: bambini curiosi, porte e braccia aperte mi fanno da subito uno della comunità, composta da nove capofamiglia. È giorno e gli uomini non ci sono: lavorano nei campi dalle sei del mattino alle quattro del pomeriggio per poter guadagnare l’equivalente di tre dollari scarsi al giorno, con i quali mantengono una famiglia con nove figli
Ci riuniamo in una stanza adibita a tempio e sala per discutere. Si inizia con una orazione in tzeltal, la lingua indigena che riescono a mantenere e a insegnare ai figli oltre al castigliano. Mi presento e su loro richiesta riferisco alcune informazioni sulla guerra in Iraq, sulla situazione italiana ed europea e alcuni dati sui Trattati di libero commercio tra le Americhe. Samuel traduce in tzeltal per i più anziani che non comprendono lo spagnolo. Finalmente mi parlano della loro storia: nel 1994 tra le comunità del Chiapas si aggiravano le voci più disparate su cambiamenti politici, stravolgimenti nelle comunità, violenze, eserciti, morti. Alcuni della loro comunità originaria, Maravilla Tenejapa, decisero di andare a cercare informazioni dal governo locale. Samuel, Alonso e altre famiglie non si mossero dalle loro case, evitarono contatti con gruppi militari e paramilitari, zapatisti o di altri colori. Quando i compagni rientrarono, portarono con loro gruppi militari del governo che si stanziarono nella comunità senza rispetto per le tradizioni culturali e religiose delle famiglie.
Alcuni amici comunicarono in segreto a Samuel che alcune famiglie erano accusate di attività sovversiva e di appartenere all’Esercito zapatista di liberazione nazionale e che rischiavano l’incarcerazione, violenze e morte. Nella notte, verso l’una, i genitori presero i bambini e lasciarono le case; con i soli vestiti che avevano indosso si rifugiarono tra le montagne e lì trascorsero diversi mesi, ricevendo continue notizie sulla propria situazione di ricercati.
Decisero di scappare più lontano, di comprare (indebitandosi) un terreno e di ricominciare a vivere: così nacque Nueva Tenejapa. Erano e sono desplazados, persone obbligate a lasciare la propria comunità. Esistono tre tipi di desplazados: i primi, “prodotti” dai grandi progetti transnazionali di sfruttamento delle risorse ambientali del Chiapas; i secondi, dal tentativo del governo di recuperare i municipi e i territori dichiaratisi autonomi a causa della rivolta dell’Ezln; i terzi, dallo schema paramilitare, che ottiene i propri guadagni economici e politici in funzione del controllo dei territori.
La comunità di Nueva Tenejapa ha cinque anni di vita. Samuel, Alonso e le loro famiglie fanno parte di un gruppo di diecimila persone che chiedono giustizia al governo: fanno incontri mensili per rivendicare le proprie terre, i propri diritti, giustizia e fine delle persecuzioni. Tutto ciò, mentre il governo ribadisce in continuazione che il problema dei desplazados non esiste. Samuel mi regala ancora un sorriso: a loro importa soprattutto l’armonia che sono riusciti a creare nella loro comunità, l’istruzione che vogliono garantire ai loro figli e il fatto che nessuno sia morto a causa di queste assurde e infondate accuse. Nel raccontarmi la loro storia si percepisce dolore e sofferenza, ma nella profondità degli occhi forte é la serenità e la voglia di vivere in armonia e pace.
Comitán de Dominguez, novembre 2003
testimonianza di Stefano Lucini, obiettore di coscienza in Servizio Civile all’Estero
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