giovedì 16 settembre 2004

Il punto uno

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Un'immagine: intorno a un tavolo\scrivania, due bottiglie di vino aperte con martello e cacciaviti, una pizza poco cotta che si farà sentire nella notte e un discorso che nasce da una semplice frase detta per far ridere un po': "l'importante è essere felici".
"Come si fa ad essere felici? Siamo qui, festeggiamo un compleanno, vino e pizza, io non sono felice, i miei amici non hanno né vino né pizza in questo momento".
"E se una persona fosse felice bevendo? Cosa dovrei fare? Farla bere in continuazione?".
" C'è anche chi è contento a fare soldi togliendo la terra a noi contadini! Che dovremmo fare allora? Farlo felice? Dargli la nostra terra?".
Risata di tutti, io con loro, la mia diversa però.

La terra? Cosa ne so io? Cos'è la terra? La terra è terra, non è altro, è terra altrimenti si chiamerebbe con un altro nome, magari pizza, magari vino.
Io ho la mia terra, posso farne un campo di fiori, costruirci una città, possa addirittura non farne niente e tenerla lì e vedere cosa succede quando la natura si rimpossessa di se stessa.
I contadini sono felici se hanno la terra, anche loro non sarebbero contadini altrimenti, si chiamerebbero con un altro nome, magari pizza, magari vino.

Un gessetto nelle mani, "delle persone mi hanno spiegato che la nostra società è come una piramide, alla punta ci sono i politici, il governo, guadagnano un sacco di soldi, subito sotto c'è la classe media, intellettuali, quelli che hanno studiato, poi ci siamo noi, i campesinos e noi non abbiamo proprio niente, niente, solo la terra, e se ce la portano via? Che abbiamo noi?".

Seduto accanto alla lavagna, annuivo, non potevo dire altro. Però pensavo a una cosa. Certo che queste persone non assomigliano in nessun modo a Brad Pitt o a Mel Gibson. Sono più bassi di me, e io non sono alto, sono magri come me però scuri di pelle, più di quando mi abbronzo, hanno dei baffetti non proprio bellissimi e certo più brutti del pizzetto che ho coltivato fin da quando sedicenne camminavo con i 7 peli che stavano crescendo sotto il mento.
Qualcuno aveva spiegato della piramide e uno di loro me la ripeteva come l'aveva ascoltata. L'idea della piramide gli piaceva proprio, tutto funziona così. Ricordo che anche a me piacque tanto questa immagine quando la maestra alle elementari mi spiegava della struttura sociale nell'antico Egitto. La piramide si ricorda sempre, chissà perché.

Un'altra immagine da ricordare: il machete. Deludente per certi versi. È un grande coltello, una via di mezzo tra una spada, una sciabola e un coltello da cucina. Bruttino, però taglia! Con un gesto lento della mano da destra verso sinistra, stando attento a non portarmi via un piede, ho tagliato un ciuffo di erba solo sfiorandolo. Mi ha ricordato una scena del film "La guardia del Corpo" quando lei, cantante di fama, gioca con una spada e lui, un po' bello e dannato, duro ma con un cuore grande così, le si avvicina, le sfila il foulard di pura seta, lo fa volteggiare in aria e ricadere giusto giusto sulla spada. La spada ferma, immobile lo taglia e lei cade tra le braccia di lui.
Loro lo usano per tagliare l'erba e io lo provavo e pensavo a questo e alle guerre non intelligenti.

In queste notti, quando mi stendo sul letto mi sento strano e non è solo per la pizza o per i fagioli e tortillas che si mangiano. Provo una sensazione di fastidio che non sempre capisco. Perché quando loro mi parlano o mi guardano con quegli occhi io mi sento piccolo, mi sento un po' inutile, un po' sbagliato, come se avessi capito poco e caspita che di libri ne ho letti! Non sono un dotto però la mia laurea ce l'ho! Ero quasi pronto ad entrare nel mondo del lavoro, avevo praticamente un piede e mezzo dentro prima che venissi qui. Però non mi sento a posto.
Alcune volte, addirittura, provo una cosa difficile da decifrare, sento che mi piacerebbe essere per alcuni momenti della mia vita come loro ed essere capace di trovare la cosa giusta, capace di lottare per la terra, questa caspita di terra, lottare per la verità di qualcosa, un solo contadino senza terra, con la maschera, perché non sono io ma la mia felicità che è quella degli altri e di quel contadino e vorrei guardarmi dentro e sapere che sarei capace anch'io di giocare con la mia vita perché tutto continui, anche senza di me, ma in un modo più bello.

Poi mi addormento... e dormo un sonno profondo e prima di riaprire gli occhi immagino la mia casetta fuori dalla città, con tutti i confort ma nel pieno di una campagna, immagino il mio cane e dei bambini da accompagnare a scuola, immagino il traffico della tangenziale e il clacson che impazzisce. Mi lavo i denti, scendo a fare colazione e un uomo con quei baffetti mi dice "Buon giorno".
Lo saluto, beviamo insieme un caffé, mi offre un po' del suo pane dolce. La casetta si sfuma un po', mi dice "Grazie di essere qui", e io inizio di nuovo a non capire e inizia un'altra giornata in Chiapas.
[rs]

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