‘Torneremo: è una promessa’, sussurra con gli occhi umidi Federica, 35 anni di Udine.
‘Tornate, vi aspettiamo’, chiede Musé, 18 anni di Addis Ababa, nel poco italiano imparato in tre settimane.
Bole, il modernissimo aeroporto della capitale, è il teatro di un arrivederci struggente, carico di nostalgia, ricordi, voglia di costruire insieme.
Abbracci commossi suggellano l’amicizia speciale che si è costruita in tre settimane fra i 13 ragazzi italiani e i 10 etiopi che hanno condiviso l’esperienza del campo di conoscenza e lavoro svoltosi in Etiopia dal 4 al 25 agosto 2004.
Let’s share with commitment, condividiamo impegnandoci, è stato l’imperativo che ha guidato il percorso dei ragazzi. Un percorso non sempre facile, a volte anche molto faticoso, che ha richiesto tanta voglia di mettersi in gioco, desiderio di comunicare al di là di ogni barriera, condividere diverse culture.
“Chi aiuta a scoprire in ogni uomo, al di là dei caratteri somatici, etnici, razziali, l’esistenza di un essere eguale al proprio, trasforma la terra da un epicentro di divisioni, di antagonismi, di insidie e di vendette in un campo di lavoro organico di civile collaborazione”.
(Paolo VI, Giornata della Pace 1971).
Questo è proprio quello che si è cercato di fare durante questa esperienza.
I ragazzi italiani provenivano dalle diocesi di Milano e Udine e avevano svolto un percorso di formazione di educazione alla mondialità e volontariato internazionale che li ha aiutati ad affrontare meglio il compito a loro richiesto. I 10 ragazzi etiopi provenivano dalle 10 parrocchie presenti nella capitale ed erano stati segnalati dai rispettivi parroci.
Il campo si è svolto in due sedi distinte (Wolisso e Debre Markos) e ciò ha permesso ai due gruppi di dimensioni ridotte una migliore integrazione fra italiani e etiopi e la possibilità di relazionarsi più a fondo con le realtà locali. Il confronto finale delle due esperienze è stato un ulteriore elemento di ricchezza e conoscenza.
Le attività comuni a entrambi sono state il lavoro con i ragazzi (bambini e adolescenti) delle due Parrocchie, attraverso la semplice animazione, l’insegnamento dell’inglese, i laboratori creativi.
Ma a Wolisso (cittadina a 130 km. a sud di Addis Ababa) la realtà parrocchiale è stata sicuramente l’elemento più caratterizzante dell’esperienza.
I ragazzi hanno vissuto e lavorato gomito a gomito non solo con i ragazzi di Addis ma anche con un gruppetto di giovani di Wolisso che veniva a condividere la quotidianità. Con tanto amore, fatica, sudore, allegria, il gruppo ha ridipinto la Chiesa della Parrocchia, sistemato un magazzino, decorato con artistici murales le aule dell’asilo gestito dalle suore della Misericordia e della Croce e le camerate dell’ospedale cittadino che ospita bambini denutriti.
A Debre Markos invece, 300 km. a nord di Addis, c’è stata la realtà delle suore di Madre Teresa, con il carico di solitudine, malattia, sofferenza che essa comporta, ma anche ricca dell’esempio di amore e abnegazione che le suore quotidianamente offrono. I volontari hanno condiviso tutte le attività normali del centro, dalla pulizia delle camerate degli ospiti, all'aiuto in cucina, al lavaggio giornaliero delle centinaia di indumenti, a semplici cure mediche e igieniche. Oltre a ciò si sono alternati nel portare un sorriso ai bambini sieropositivi organizzando ogni genere di animazione per loro e per tutti gli altri ospiti della struttura.
I momenti di confronto e di riflessione comune si sono svolti ad Addis Abeba all'inizio e alla fine del percorso, e i ragazzi sono stati ospiti qualche giorno di famiglie etiopi che li hanno accolti con entusiasmo e generosità.
“Ho visto 2 facce dell'Etiopia – dice Serena, 24enne milanese - l'Etiopia della stagione delle piogge (verde, rigogliosa, ospitale, accogliente, amichevole, generosa, gratuita, affettuosa) e quella della stagione secca (povera, bisognosa di aiuto, in difficoltà, malata).”
Entrambe sono sicuramente importanti per capire le mille sfaccettature diverse di un paese ricco di storia e tradizioni, ma poverissimo per condizioni di vita e prospettive, che l’indice dello sviluppo umano delle Nazioni Unite condanna al 170° posto nel mondo, uno dei luoghi peggiori della terra, dove l’aspettativa media di vita è 44 anni e il guadagno medio è mezzo dollaro al giorno.
Non è facile abbandonarsi a tutto questo, non è facile accettare a cuore aperto un mondo così diverso dal nostro. E’ stata una bella sfida anche se breve, una sfida portata a termine con successo.
“Mi è piaciuto l’abbandono all’ospitalità che ho potuto assaporare fino all’ultimo, in ogni momento. Mi è sembrato davvero di essere quell'ospite povero di cui parlavamo nei nostri incontri: povero perché senza niente e povero di barriere, come una stanza vuota da far abitare…… ho voluto che l’Etiopia abitasse in me, un’esperienza bellissima!” commenta Simona, 31 anni milanese.
E adesso? Forse la vera difficoltà sarà raccogliere i frutti di questa esperienza una volta tornati nel proprio tran-tran quotidiano.
Ma sono tante le cose che si possono fare, la prima forse sarà quella di continuare a tenere aperti gli occhi al mondo, ovvero - per usare le parole di Giacomo 26 anni di Legnano (Mi) - "vedere" le povertà che ci sono ovunque , essere "missionari" a casa propria .
Sara Carcatella
Operatrice espatriata Caritas Italiana in Etiopia
Nota sul gruppo: i ragazzi italiani erano in tutto 13: 5 provenienti da Udine e 8 da Milano. L’età andava dai 24 ai 36 anni, alcuni studenti, altri impiegati. I ragazzi etiopi erano 10, età media 22 anni, per lo più studenti, abbastanza attivi e impegnati nelle parrocchie di appartenenza. La lingua comune usata durante il campo è stata l’inglese, ma soprattutto la voglia di condividere.
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