Nasciamo differenti, nel fisico, nella
modalità di sviluppare ragionamenti e sentimenti, dice la bibbia che Dio ci ha
fatto "uomo e donna, differenti e complementari", ma mai, come quest'anno
ho sentito tanto la marcata differenza sociale, di ruolo, di possibilità di
sviluppare le proprie potenzialità che esiste tra i due generi.
L'Honduras mi sta dando la possibilità di rifletterci a fondo, vedendo e vivendo situazioni sulla mia pelle. Ho sempre rispettato tutte le culture, piu' o meno aperte nei confronti dell'ingresso della donna nella società, per questo non avrei pensato di trovarmi costretta a dire "povere le donne in questo paese, loro devono cavarsela in questa società maschilista".
Mi rendo conto che io fra qualche mese me ne vado e la costante sensazione di essere osservata, giudicata, poco presa in considerazione per quello che dico, se non terminerà del tutto, diminuirà notevolmente.
Le donne autoctone invece, molte delle quali sottomesse dal tipo di cultura maschilista, non hanno alternative migliori se non quella di sperare che i loro figli crescano con una mentalità un po' più progressista nei confronti del sesso femminile.
Come donna, cresciuta in un'altra cultura che ha fatto negli ultimi 50 anni passi giganti a favore dell' emancipazione della donna, che vive ora in un paese dove le donne sono in questo lungo cammino, soffro con loro quando si rendono conto della loro condizione sottomessa, si lamentano e desiderano trovare nella società uno spazio di più ampio respiro; e con loro spero che non siano solo giudicate per il numero di figli che hanno, per la loro condizione famigliare, se non per la loro capacità di pensare, di rendersi utili, dare idee e costruire un futuro diverso per il loro popolo.
La vita della donna in Honduras si differenzia molto dalla città alla campagna.
Essere donna "cittadina" è difficile, perchè sempre di più ci si rende conto della difficoltà di gestire la parte di retaggio culturale maschilista ancora profondamente radicato nella mentalità della società. Ci si rende conto di quanto sia faticoso cercare le piccole cose che fanno parte della vita quotidiana e dei sogni di tante donne: studiare, avere una vita economicamente indipendente, una famiglia con la quale condividere, un uomo con dei valori, che ti ami e ti rispetti, senza trattarti come la schiava di casa. Alcune donne, gia mature e con esperienze alle spalle, preferiscono quindi consapevolmente rimanere sole, rifiutando di avere un uomo che sanno le farà soffrire, perché dirà bugie, le picchierà, avrà altre donne, ecc.
La vita della donna in comunità invece è differente, meno consapevole della propria condizione o forse solo più abituata agli abusi maschili. Essere donna qui, con tutti i suoi aspetti negativi che ha, mi permette di parlare più apertamente con le donne, entrare nelle cucine delle comunità, "tortillare" con loro, ascoltando storie di donne ferite dalla vita, ferite dal loro stesso uomo, che la maggior parte delle volte le ha lasciate per un'altra, abbandonandole con figli completamente a loro carico, donne che stanno con un marito che permane con più amanti, tornando spesso a casa sbronzo, costrette, per debolezza, per cultura e per incapacità di ribellarsi a subire violenze fisiche e morali.
Le donne in una comunità, passano la loro vita servendo il padre, prendendosi cura fin da bambine dei piccoli di casa, spesso non vanno a scuola oltre la terza elementare, si sposano mediamente a 15-16 anni, cominciando quindi a servire nella propria casa, circondate da una marea di bambini che pian piano vengono al mondo.
Alcune, più serene, forse più "fortunate", forse anche meno consapevoli del fatto che una donna può essere anche altro oltre che mettere al mondo e curare bambini, non si fanno domande, guardano la vita che giorno dopo giorno le assorbe, le poche che se ne rendono conto, perché escono dalla propria comunità, paragonano la loro vita con quella cittadina, apparentemente più libera, ma piena di bugie, forse più che nel campo. Sapendo che non possono far altro che accettarla, visto che non hanno i mezzi economici per rendersi indipendenti e, spesso, se vogliono tornare a casa i genitori non le accolgono più in casa.
Suscita sempre ilarità spiegare che alla mia età non ho ancora figli, che non sono sposata,che ho solo un fratello e che tutto questo è abbastanza normale nel posto dove vivo io.
Mi sento da una parte molto indietro, da una parte tiro un sospiro di sollievo; a 25 anni dimostro l'eta che ho e non i classici 10 anni in più dei visi consumati dalla fatica, dalle sofferenze fisiche e morali della maggior parte delle donne campesine.
Semplici riflessioni, basate sulla mia vita qua, di vite che quotidianamente incontro, con cui mi confronto, cercando di capire qualcosa in più.
L'Honduras mi sta dando la possibilità di rifletterci a fondo, vedendo e vivendo situazioni sulla mia pelle. Ho sempre rispettato tutte le culture, piu' o meno aperte nei confronti dell'ingresso della donna nella società, per questo non avrei pensato di trovarmi costretta a dire "povere le donne in questo paese, loro devono cavarsela in questa società maschilista".
Mi rendo conto che io fra qualche mese me ne vado e la costante sensazione di essere osservata, giudicata, poco presa in considerazione per quello che dico, se non terminerà del tutto, diminuirà notevolmente.
Le donne autoctone invece, molte delle quali sottomesse dal tipo di cultura maschilista, non hanno alternative migliori se non quella di sperare che i loro figli crescano con una mentalità un po' più progressista nei confronti del sesso femminile.
Come donna, cresciuta in un'altra cultura che ha fatto negli ultimi 50 anni passi giganti a favore dell' emancipazione della donna, che vive ora in un paese dove le donne sono in questo lungo cammino, soffro con loro quando si rendono conto della loro condizione sottomessa, si lamentano e desiderano trovare nella società uno spazio di più ampio respiro; e con loro spero che non siano solo giudicate per il numero di figli che hanno, per la loro condizione famigliare, se non per la loro capacità di pensare, di rendersi utili, dare idee e costruire un futuro diverso per il loro popolo.
La vita della donna in Honduras si differenzia molto dalla città alla campagna.
Essere donna "cittadina" è difficile, perchè sempre di più ci si rende conto della difficoltà di gestire la parte di retaggio culturale maschilista ancora profondamente radicato nella mentalità della società. Ci si rende conto di quanto sia faticoso cercare le piccole cose che fanno parte della vita quotidiana e dei sogni di tante donne: studiare, avere una vita economicamente indipendente, una famiglia con la quale condividere, un uomo con dei valori, che ti ami e ti rispetti, senza trattarti come la schiava di casa. Alcune donne, gia mature e con esperienze alle spalle, preferiscono quindi consapevolmente rimanere sole, rifiutando di avere un uomo che sanno le farà soffrire, perché dirà bugie, le picchierà, avrà altre donne, ecc.
La vita della donna in comunità invece è differente, meno consapevole della propria condizione o forse solo più abituata agli abusi maschili. Essere donna qui, con tutti i suoi aspetti negativi che ha, mi permette di parlare più apertamente con le donne, entrare nelle cucine delle comunità, "tortillare" con loro, ascoltando storie di donne ferite dalla vita, ferite dal loro stesso uomo, che la maggior parte delle volte le ha lasciate per un'altra, abbandonandole con figli completamente a loro carico, donne che stanno con un marito che permane con più amanti, tornando spesso a casa sbronzo, costrette, per debolezza, per cultura e per incapacità di ribellarsi a subire violenze fisiche e morali.
Le donne in una comunità, passano la loro vita servendo il padre, prendendosi cura fin da bambine dei piccoli di casa, spesso non vanno a scuola oltre la terza elementare, si sposano mediamente a 15-16 anni, cominciando quindi a servire nella propria casa, circondate da una marea di bambini che pian piano vengono al mondo.
Alcune, più serene, forse più "fortunate", forse anche meno consapevoli del fatto che una donna può essere anche altro oltre che mettere al mondo e curare bambini, non si fanno domande, guardano la vita che giorno dopo giorno le assorbe, le poche che se ne rendono conto, perché escono dalla propria comunità, paragonano la loro vita con quella cittadina, apparentemente più libera, ma piena di bugie, forse più che nel campo. Sapendo che non possono far altro che accettarla, visto che non hanno i mezzi economici per rendersi indipendenti e, spesso, se vogliono tornare a casa i genitori non le accolgono più in casa.
Suscita sempre ilarità spiegare che alla mia età non ho ancora figli, che non sono sposata,che ho solo un fratello e che tutto questo è abbastanza normale nel posto dove vivo io.
Mi sento da una parte molto indietro, da una parte tiro un sospiro di sollievo; a 25 anni dimostro l'eta che ho e non i classici 10 anni in più dei visi consumati dalla fatica, dalle sofferenze fisiche e morali della maggior parte delle donne campesine.
Semplici riflessioni, basate sulla mia vita qua, di vite che quotidianamente incontro, con cui mi confronto, cercando di capire qualcosa in più.
Monja Zanini
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