Questa volta prendo una canzone del signor G, Giorgio Gaber, e vi chiedo di spendere un po’ del vostro tempo a leggere questa lettera di p. Alex Zanotelli.. leggete e riflettete amici!
«Mi vergogno di essere italiano e di essere cristiano. Non avrei mai pensato che un paese come l’Italia avrebbe potuto varare una legge così razzista e xenofoba. Noi che siamo vissuti per secoli emigrando per cercare un tozzo di pane (sono 60 milioni gli italiani che vivono all’estero!), ora infliggiamo agli immigrati, peggiorandolo, lo stesso trattamento, che noi italiani abbiamo subito un po’ ovunque nel mondo.
Questa legge è stata votata sull’onda lunga di un razzismo e di una xenofobia crescenti di cui la Lega è la migliore espressione. Il cuore della legge è che il clandestino è ora un criminale. Vorrei ricordare che criminali non sono gli immigrati clandestini ma quelle strutture economico-finanziarie che obbligano le persone a emigrare. Papa Giovanni XXIII nella Pacem in Terris ci ricorda che emigrare è un diritto.
Fra le altre cose la legge prevede la tassa sul permesso di soggiorno (gli immigrati non sono già tartassati abbastanza?), le ronde, il permesso di soggiorno a punti, norme restrittive sui ricongiungimenti familiari e matrimoni misti, il carcere fino a 4 anni per gli irregolari che non rispettano l’ordine di espulsione ed infine la proibizione per una donna clandestina che partorisce in ospedale di riconoscere il proprio figlio o di iscriverlo all’anagrafe. Questa è una legislazione da apartheid, che viene da lontano: passando per la legge Turco-Napolitano fino alla non costituzionale Bossi-Fini. Tutto questo è il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, rom e mendicanti. Questa è una cultura razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e dell’emarginazione.
«Questo rischia di svuotare dall’interno le garanzie costituzionali erette 60 anni fa – così hanno scritto nel loro appello gli antropologi italiani – contro il ritorno di un fascismo che rivelò se stesso nelle leggi razziali». Vorrei far notare che la nostra Costituzione è stata scritta in buona parte da esuli politici, rientrati in patria dopo l’esilio a causa del fascismo. Per ben due volte la Costituzione italiana parla di diritto d’asilo, che il parlamento non ha mai trasformato in legge.
E non solo mi vergogno di essere italiano, ma mi vergogno anche di essere cristiano: questa legge è la negazione di verità fondamentali della Buona Novella di Gesù di Nazareth. Chiedo alla Chiesa italiana il coraggio di denunciare senza mezzi termini una legge che fa a pugni con i fondamenti della fede cristiana.
Penso che come cristiani dobbiamo avere il coraggio della disobbedienza civile. È l’invito che aveva fatto il cardinale R. Mahoney di Los Angeles (California), quando nel 2006 si dibatteva, negli Stati Uniti, una legge analoga che definiva il clandestino come criminale. Nell’omelia del Mercoledì delle Ceneri nella sua cattedrale, il cardinale di Los Angeles disse che, se quella legge fosse stata approvata, avrebbe chiesto ai suoi preti e a tutto il personale diocesano la disobbedienza civile. Penso che i vescovi italiani dovrebbero fare oggi altrettanto.
Davanti a questa legge mi vergogno anche come missionario: sono stato ospite dei popoli d’Africa per oltre 20 anni, popoli che oggi noi respingiamo, indifferenti alle loro situazioni d’ingiustizia e d’impoverimento.
Noi italiani tutti dovremmo ricordare quella Parola che Dio rivolse a Israele: “Non molesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Esodo 22,20)».
giovedì 16 luglio 2009
venerdì 10 luglio 2009
Ragazzi Moldavi in Italia col “Naso in su”
Dieci giorni da non dimenticare. Con queste poche e semplici parole si può raccontare l’emozione vissuta da otto ragazzi moldavi dai 15 ai 19 anni durante il loro soggiorno in Italia per fare uno scambio di esperienza in una parrocchia di Rho dove il tema dei giochi di quest’anno è “Nasinsu – Guarda il cielo e conta le stelle”.
Un esperienza da non dimenticare per tanti motivi: l’emozione del primo volo in aereo, la calda accoglienza ricevuta dai cittadini di Rho, le bellissime attività che hanno vissuto all’oratorio feriale, le gite nel centro di Milano.
I ragazzi moldavi assieme all'aiuto di Stefano (ex SCE in Moldova e ideatore del progetto che ha permesso questo scambio di esperienza), di Elisa Magnifico (operatrice Caritas Ambrosiana) e il mio, hanno partecipato per una settimana intera alle attività dell'oratorio feriale delle parrocchie di Rho. In verità potevamo anche non esserci perchè questi ragazzi se la sono cavata benissimo. Anche se non parlavano correntemente l'italiano riuscivano a farsi capire, riuscivano a capire i giochi e a implicare i bambini che partecipavano.
Oddio forse esagero un pò perchè comunque certe volte alcune traduzioni italiano-moldavo-italiano erano d'obbligo però non esagero nel dire che questi ragazzi moldavi hanno imparato molto e bene da questa esperienza che speriamo possa essere utile al loro ritorno nei loro villaggi da dove sono partiti.
I ragazzi moldavi (8) assieme ai loro accompagnatori moldavi (3) e accompagnatori italiani (3) assieme ad alcuni ospiti speciali che ci hanno cucinato alcuni pasti buonissimi (2).
Un esperienza da non dimenticare per tanti motivi: l’emozione del primo volo in aereo, la calda accoglienza ricevuta dai cittadini di Rho, le bellissime attività che hanno vissuto all’oratorio feriale, le gite nel centro di Milano.
I ragazzi moldavi assieme all'aiuto di Stefano (ex SCE in Moldova e ideatore del progetto che ha permesso questo scambio di esperienza), di Elisa Magnifico (operatrice Caritas Ambrosiana) e il mio, hanno partecipato per una settimana intera alle attività dell'oratorio feriale delle parrocchie di Rho. In verità potevamo anche non esserci perchè questi ragazzi se la sono cavata benissimo. Anche se non parlavano correntemente l'italiano riuscivano a farsi capire, riuscivano a capire i giochi e a implicare i bambini che partecipavano.
Oddio forse esagero un pò perchè comunque certe volte alcune traduzioni italiano-moldavo-italiano erano d'obbligo però non esagero nel dire che questi ragazzi moldavi hanno imparato molto e bene da questa esperienza che speriamo possa essere utile al loro ritorno nei loro villaggi da dove sono partiti.
I ragazzi moldavi (8) assieme ai loro accompagnatori moldavi (3) e accompagnatori italiani (3) assieme ad alcuni ospiti speciali che ci hanno cucinato alcuni pasti buonissimi (2).
6 luglio 2009 - Altre 6 ragazze all'appartamento sociale
Lunedì 6 luglio 2009 è stato un giorno speciale ad Orhei in R.Moldova.
In questo giorno abbiamo accolto 6 ragazze all'appartamento sociale, progetto in cui io e Giulia siamo inseriti assieme all'equipe locale moldava e ad Elisa Magnifico, operatrice Caritas Ambrosiana che ha dato inizio a questo progetto ormai nella lontana estate 2007.
Le ragazze sono visibilmente tese e molto molto timide. Quando arriviamo noi sono come dei pali di legno e quando si siedono sulle poltrone per fare la riunione tutti insieme sembrano dei sacchi di patate! Emozione e soggezzione a parte queste a queste ragazze vengono spiegate le ragioni della loro presenza in questo progetto e assieme a loro si è cercato di discutere sulle regole dell'appartamento sociale.
Anche queste raagazze hanno una storia alle spalle con cui potremmo riempire pagine e pagine di blog, ma visto che sono stanco e ci hanno fatto una bellissima foto finale (equipe e ragazze) finisco questo post così, con la foto!
Speriamo dopo i Cantieri della Solidarietà (che ormai sono alle porte) di poter fare qualche attività con loro e poter condividere con altri post le loro avventure!!
In questo giorno abbiamo accolto 6 ragazze all'appartamento sociale, progetto in cui io e Giulia siamo inseriti assieme all'equipe locale moldava e ad Elisa Magnifico, operatrice Caritas Ambrosiana che ha dato inizio a questo progetto ormai nella lontana estate 2007.
Le ragazze sono visibilmente tese e molto molto timide. Quando arriviamo noi sono come dei pali di legno e quando si siedono sulle poltrone per fare la riunione tutti insieme sembrano dei sacchi di patate! Emozione e soggezzione a parte queste a queste ragazze vengono spiegate le ragioni della loro presenza in questo progetto e assieme a loro si è cercato di discutere sulle regole dell'appartamento sociale.
Anche queste raagazze hanno una storia alle spalle con cui potremmo riempire pagine e pagine di blog, ma visto che sono stanco e ci hanno fatto una bellissima foto finale (equipe e ragazze) finisco questo post così, con la foto!
Speriamo dopo i Cantieri della Solidarietà (che ormai sono alle porte) di poter fare qualche attività con loro e poter condividere con altri post le loro avventure!!
giovedì 9 luglio 2009
Due parti di idrogeno per una di ossigeno
Siamo sempre stati abituati ad aprire il rubinetto e all'istante veder scendere acqua. Fredda, calda, tanta, poca, siamo noi a decidere, a comandare. Provate ora ad immaginare: aprite il rubinetto, girate la manopola in senso antiorario, azione solita, consueta, vi aspettate che scenda la solita acqua..invece niente, nemmeno una goccia, nemmeno una fottutissima goccia d'acqua.
Da 10 giorni a Nairobi non c'è acqua, ce l'hanno solo quelli che hanno i pozzi privati e i ricchi ovviamente, gli altri nulla. Ti rendi conto veramente di quanto è preziosa l'acqua, di quanto sia prezioso l'oro blu. Quando ti dicono “non sprecare l'acqua, chiudi il rubinetto quando ti lavi i denti, fai la doccia di 5 minuti, chiudi bene il rubinetto e non fare scendere le gocce, riempi sempre la lavatrice per non sprecare acqua, bagna le piante all'alba o al tramonto..”, tu cerchi di seguire i consigli perchè sei consapevole che ci sono paesi meno fortunati di noi, che presto finirà, che bla bla bla...tante parole e basta.
Ma finché non lo si prova sulla propria pelle, finchè non vedi che non scende neanche una goccia dal rubinetto..lì ti rendi conto veramente di come vivono milioni di persone. Acqua per lavare, per lavarsi, per cucinare..nulla. Per le strade si vedono donne con le taniche in testa che fanno chilometri su chilometri per andare a comprarla, per andare a cercare un pozzo che abbia ancora acqua e che il proprietario non la venda a prezzi esorbitanti. L'acqua diventa un business, diventa, ancora una volta, qualcosa per ricchi, e non per poveri. Dicono che dopo le guerre per l'oro nero, ci saranno guerre per l'oro blu, e io credo che andando di questo passo questa triste profezia potrebbe avverarsi.
E come se non bastasse: niente acqua, le centrali idroelettriche non lavorano adeguatamente, niente corrente elettrica..è una catena..quando finirà?
Da 10 giorni a Nairobi non c'è acqua, ce l'hanno solo quelli che hanno i pozzi privati e i ricchi ovviamente, gli altri nulla. Ti rendi conto veramente di quanto è preziosa l'acqua, di quanto sia prezioso l'oro blu. Quando ti dicono “non sprecare l'acqua, chiudi il rubinetto quando ti lavi i denti, fai la doccia di 5 minuti, chiudi bene il rubinetto e non fare scendere le gocce, riempi sempre la lavatrice per non sprecare acqua, bagna le piante all'alba o al tramonto..”, tu cerchi di seguire i consigli perchè sei consapevole che ci sono paesi meno fortunati di noi, che presto finirà, che bla bla bla...tante parole e basta.
Ma finché non lo si prova sulla propria pelle, finchè non vedi che non scende neanche una goccia dal rubinetto..lì ti rendi conto veramente di come vivono milioni di persone. Acqua per lavare, per lavarsi, per cucinare..nulla. Per le strade si vedono donne con le taniche in testa che fanno chilometri su chilometri per andare a comprarla, per andare a cercare un pozzo che abbia ancora acqua e che il proprietario non la venda a prezzi esorbitanti. L'acqua diventa un business, diventa, ancora una volta, qualcosa per ricchi, e non per poveri. Dicono che dopo le guerre per l'oro nero, ci saranno guerre per l'oro blu, e io credo che andando di questo passo questa triste profezia potrebbe avverarsi.
E come se non bastasse: niente acqua, le centrali idroelettriche non lavorano adeguatamente, niente corrente elettrica..è una catena..quando finirà?
venerdì 3 luglio 2009
S. Cafasso day..
Il protettore dei carcerati S. Giuseppe Cafasso si festeggia il 23 giugno: per l'occasione abbiamo organizzato due feste, una nella Main Prison, un'altra nel carcere minorile. Nella prigione di Massima Sicurezza abbiamo fatto una messa con il responsabile generale del Kenya; la messa è la “solita” messa con i detenuti: energia nel cantare, cori di voci maschili, voci profonde, che entrano nel cuore e nella mente; alla fine le strette di mano, i sorrisi, gli sguardi, gli “asante sana” per aver partecipato con loro ad un momento così importante..e poi una lettera, scritta a mano, con il desiderio che possa arrivare al Papa, con la richiesta di abolire la pena di morte in Kenya: la pena di morte è ancora presente in questo paese anche se è da circa 15 anni che non viene eseguita nessuna pena capitale, ma sulla carta è ancora una legge in vigore.
L'altra parte della festa l'abbiamo fatta nel carcere minorile, con i ragazzi: per qualche ora abbiamo dato la possibilità di evadere, di uscire dalla solita routine e dal solito lavoro nei campi o nel lavoro umiliante di lavare tutti i giorni la macchina della boss. Canti, danze, teatro, giochi, e poi soda (bibita) e patatine per tutti. Per ragazzi che mangiano ugali e sukumawiki o fagioli tutti i giorni è stato davvero un momento di evasione! Sono anche venuti gli Hope Raisers, amici musicisti dallo slum di Korogocho, e, ancora una volta, abbiamo cantato Redemption song, canzoni di libertà..in una prigione..
buon S.Cafasso!
L'altra parte della festa l'abbiamo fatta nel carcere minorile, con i ragazzi: per qualche ora abbiamo dato la possibilità di evadere, di uscire dalla solita routine e dal solito lavoro nei campi o nel lavoro umiliante di lavare tutti i giorni la macchina della boss. Canti, danze, teatro, giochi, e poi soda (bibita) e patatine per tutti. Per ragazzi che mangiano ugali e sukumawiki o fagioli tutti i giorni è stato davvero un momento di evasione! Sono anche venuti gli Hope Raisers, amici musicisti dallo slum di Korogocho, e, ancora una volta, abbiamo cantato Redemption song, canzoni di libertà..in una prigione..
buon S.Cafasso!
mercoledì 1 luglio 2009
colore sbiadito
La stanza è di medie dimensioni, ma ben curata. La luce filtra poco e la lampadina, che dovrebbe essere il centro dell’attenzione di un lampadario mancante, è accesa. Due ventilatori girevoli sparati al massimo creano una brezza piacevole, anche perché discontinua, a meno che uno non decida di assecondare il movimento del ventilatore, facendo tre passi in su e tre in giù. Ma quando i ventilatori sono due ed il loro fuoco è incrociato, allora è meglio evitare figuracce e aspettare il vento costruito fermo sul posto.
Il colore alle pareti è chiaro, e tende al giallo, probabilmente per enfatizzare la luce artificiale. Finestre nessuna. La stanza è in realtà un piccolo soggiorno, trasformata temporaneamente in camera da letto. Così, su alcuni tavolini in legno e vetro poggiano dei cuscini; la camicia da notte è piegata sul divano e di fronte a quello stesso divano, un letto da una piazza e mezza. Alcune tigri in peluche osservano dalla loro posizione privilegiata la scena, e sembrano un po’ infastidite dal momentaneo contrattempo. Su una parete, un quadro. Una bambina con due fiocchetti azzurri tra i suoi capelli a caschetto, gli occhi grigio-verdi. Piange, mentre guarda una bandiera della Palestina.
Accanto al letto, i trentatré grani di un rosario in legno gigante, una Madonna con bambino e qualche foto. Dei fiori rossi in un vaso, su un mobiletto. Sembrano finti in realtà, troppo rossi, troppo perfetti. Dietro, altre foto. Yasser Arafat e Hassan Nasrallah, che si guardano e si sorridono. Paradossi medio orientali.
Le urla sibilate, quasi timide, si diffondono un po’ dappertutto. Se si avesse il tempo di ascoltarle bene, probabilmente entrerebbero nelle ossa, probabilmente trasformerebbero la pelle in brivido. Un urlo se viene estrapolato dal contesto, è solo un rumore, più o meno forte. Se ad un urlo invece associ uno sguardo, degli odori, del sudore, allora non è un rumore.
È vita. È resistenza.
Tant Jamìle è sdraiata sul letto, due bende bagnate sui piedi nudi, un asciugamano in testa, agli occhi, le lacrime. E urla. E sembra di ascoltare attraverso questo suo urlo, così debole e sottile, ma anche così intenso e potente, la voce di tutto un popolo. L’operazione è riuscita, ma è ritornata dall’ospedale con alcune infezioni su una gamba. Ma d’altra parte se vinci decine e decine di punti sulla coscia per ricostruire il tuo femore rotto in una banale caduta, non hai diritto a lamentarti, se nel frattempo accadono alcuni imprevisti. Ma per Tant Jamìle, gli imprevisti saranno sempre più spesso quotidianità. Il suo passo lento ma sicuro, sarà una sedia a rotelle, o un walker, se le andrà bene. Il suo prendere l’iniziativa, sarà un per favore. Forse nelle sue urla l’umiliazione contava più del dolore. Forse le sue lacrime mentre veniva pisciata, lavata, e vestita erano umiliazione. E forse era umiliazione il chiedermi una mano per alzarla, per tenerla mentre le veniva pulito il culo, mentre le venivano disinfettate le piaghe, mentre le veniva tolto il pannolone. Non c’è niente di peggio che conoscere persone umiliate appartenenti ad una società umiliata.
Scopro gli anziani in un campo profughi, nonostante abbia vissuto tutta la mia vita in una zona dove la media di decessi è di due alla settimana, nonostante sia italiano, from Italy, la patria dei vecchi per definizione ormai, battuta solo dal paese dei giapu. E nel campo profughi mi accorgo che il mondo non è solo nord-sud, poveri e ricchi. È anche vecchiaia e giovinezza, salute e malattia.
Ma essere poveri, vecchi e storpi umilia il sangue, e scolorisce il bianco degli occhi, come le troppe centrifughe di una maglietta usata.
Ed in questo bianco sbiadito, non riconosco, e mai riconoscerò giustizia.
Il colore alle pareti è chiaro, e tende al giallo, probabilmente per enfatizzare la luce artificiale. Finestre nessuna. La stanza è in realtà un piccolo soggiorno, trasformata temporaneamente in camera da letto. Così, su alcuni tavolini in legno e vetro poggiano dei cuscini; la camicia da notte è piegata sul divano e di fronte a quello stesso divano, un letto da una piazza e mezza. Alcune tigri in peluche osservano dalla loro posizione privilegiata la scena, e sembrano un po’ infastidite dal momentaneo contrattempo. Su una parete, un quadro. Una bambina con due fiocchetti azzurri tra i suoi capelli a caschetto, gli occhi grigio-verdi. Piange, mentre guarda una bandiera della Palestina.
Accanto al letto, i trentatré grani di un rosario in legno gigante, una Madonna con bambino e qualche foto. Dei fiori rossi in un vaso, su un mobiletto. Sembrano finti in realtà, troppo rossi, troppo perfetti. Dietro, altre foto. Yasser Arafat e Hassan Nasrallah, che si guardano e si sorridono. Paradossi medio orientali.
Le urla sibilate, quasi timide, si diffondono un po’ dappertutto. Se si avesse il tempo di ascoltarle bene, probabilmente entrerebbero nelle ossa, probabilmente trasformerebbero la pelle in brivido. Un urlo se viene estrapolato dal contesto, è solo un rumore, più o meno forte. Se ad un urlo invece associ uno sguardo, degli odori, del sudore, allora non è un rumore.
È vita. È resistenza.
Tant Jamìle è sdraiata sul letto, due bende bagnate sui piedi nudi, un asciugamano in testa, agli occhi, le lacrime. E urla. E sembra di ascoltare attraverso questo suo urlo, così debole e sottile, ma anche così intenso e potente, la voce di tutto un popolo. L’operazione è riuscita, ma è ritornata dall’ospedale con alcune infezioni su una gamba. Ma d’altra parte se vinci decine e decine di punti sulla coscia per ricostruire il tuo femore rotto in una banale caduta, non hai diritto a lamentarti, se nel frattempo accadono alcuni imprevisti. Ma per Tant Jamìle, gli imprevisti saranno sempre più spesso quotidianità. Il suo passo lento ma sicuro, sarà una sedia a rotelle, o un walker, se le andrà bene. Il suo prendere l’iniziativa, sarà un per favore. Forse nelle sue urla l’umiliazione contava più del dolore. Forse le sue lacrime mentre veniva pisciata, lavata, e vestita erano umiliazione. E forse era umiliazione il chiedermi una mano per alzarla, per tenerla mentre le veniva pulito il culo, mentre le venivano disinfettate le piaghe, mentre le veniva tolto il pannolone. Non c’è niente di peggio che conoscere persone umiliate appartenenti ad una società umiliata.
Scopro gli anziani in un campo profughi, nonostante abbia vissuto tutta la mia vita in una zona dove la media di decessi è di due alla settimana, nonostante sia italiano, from Italy, la patria dei vecchi per definizione ormai, battuta solo dal paese dei giapu. E nel campo profughi mi accorgo che il mondo non è solo nord-sud, poveri e ricchi. È anche vecchiaia e giovinezza, salute e malattia.
Ma essere poveri, vecchi e storpi umilia il sangue, e scolorisce il bianco degli occhi, come le troppe centrifughe di una maglietta usata.
Ed in questo bianco sbiadito, non riconosco, e mai riconoscerò giustizia.
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