Ritorno a Santa Rosa.
Quando uno si lascia una comunità alle spalle ha sempre tanti pensieri nella testa.
Io ho ricominciato a fumare, nella speranza di riuscire ad ordinarli meglio, ma il groviglio è sempre abbastanza complesso e difficile da districare.
Con il mio collega Ricardo ci siamo divisi equamente i compiti: lui guida all'andata, e a me tocca sempre al rientro.
La strada del ritorno e' fatta di passaggi concessi a chi ci chiede di fermarci, di buchi enormi e di polvere che entra dai finestrini, di animali lungo il cammino, di bambini scalzi, di donne che trasportano pesi sulla testa e di uomini che camminano con un machete nella mano. La strada del rientro e' fatta anche dei mille pensieri che affollano la mia mente.
Quante volte mi sono chiesta che cosa ci faccio qui, qual è il mio ruolo, se posso davvero essere utile a qualcuno.
Elaboro e rielaboro senza avere una risposta chiara, l'unica cosa che ho di certo sono le immagini che si vanno accumulando da quando sono arrivata qui.
C'è Joaquín che inizia la celebrazione della parola con una canzone dei Guaraguao, "No basta rezar" e le donnne sedute nei banchi che lo seguono attente.
C'è padre Efraín che mi mostra il pezzo di terra che la comunità sta lavorando e mi ripete "Andiamo avanti, passo a passo".
C'è un alunno della Scuola di Educazione Popolare che mi dice di guadagnare 50 lempira al giorno (quasi 2 €, ndr) e di dover mantenere otto figli, però, continua, non mi stanco di lottare.
C'è una maestra, che tutti i giorni prende il suo cane e sua figlia di quattro anni e se ne va a lavorare in un asilo alla periferia della città, un posto che a molti sembrerebbe l'inferno, eppure lei ci crede e in quel posto fa la differenza.
Chissà se riuscirò a darmi una risposta, se prima di rientrare capirò davvero se sono utile o meno.
Forse un giorno, giudando, avrò un'illuminazione.
O forse è la domanda ad essere sbagliata, forse il senso, la chiave, sono le persone stesse che conosco, le situazioni che vivo, le buone vibrazioni che continuano a mandarmi questa gente.
Forse davvero bisogna imparare ad ascoltare a fondo, prima di "pensare a come fare per...".
Per ora mi sembra già molto avere la possibilità di stringere la mano di Izzy, risalendo la costa di un monte, dopo aver visto come lavorano i campesinos di una cooperativa.
E pensare a quante mani ho ancora da stringere.
Quando uno si lascia una comunità alle spalle ha sempre tanti pensieri nella testa.
Io ho ricominciato a fumare, nella speranza di riuscire ad ordinarli meglio, ma il groviglio è sempre abbastanza complesso e difficile da districare.
Con il mio collega Ricardo ci siamo divisi equamente i compiti: lui guida all'andata, e a me tocca sempre al rientro.
La strada del ritorno e' fatta di passaggi concessi a chi ci chiede di fermarci, di buchi enormi e di polvere che entra dai finestrini, di animali lungo il cammino, di bambini scalzi, di donne che trasportano pesi sulla testa e di uomini che camminano con un machete nella mano. La strada del rientro e' fatta anche dei mille pensieri che affollano la mia mente.
Quante volte mi sono chiesta che cosa ci faccio qui, qual è il mio ruolo, se posso davvero essere utile a qualcuno.
Elaboro e rielaboro senza avere una risposta chiara, l'unica cosa che ho di certo sono le immagini che si vanno accumulando da quando sono arrivata qui.
C'è Joaquín che inizia la celebrazione della parola con una canzone dei Guaraguao, "No basta rezar" e le donnne sedute nei banchi che lo seguono attente.
C'è padre Efraín che mi mostra il pezzo di terra che la comunità sta lavorando e mi ripete "Andiamo avanti, passo a passo".
C'è un alunno della Scuola di Educazione Popolare che mi dice di guadagnare 50 lempira al giorno (quasi 2 €, ndr) e di dover mantenere otto figli, però, continua, non mi stanco di lottare.
C'è una maestra, che tutti i giorni prende il suo cane e sua figlia di quattro anni e se ne va a lavorare in un asilo alla periferia della città, un posto che a molti sembrerebbe l'inferno, eppure lei ci crede e in quel posto fa la differenza.
Chissà se riuscirò a darmi una risposta, se prima di rientrare capirò davvero se sono utile o meno.
Forse un giorno, giudando, avrò un'illuminazione.
O forse è la domanda ad essere sbagliata, forse il senso, la chiave, sono le persone stesse che conosco, le situazioni che vivo, le buone vibrazioni che continuano a mandarmi questa gente.
Forse davvero bisogna imparare ad ascoltare a fondo, prima di "pensare a come fare per...".
Per ora mi sembra già molto avere la possibilità di stringere la mano di Izzy, risalendo la costa di un monte, dopo aver visto come lavorano i campesinos di una cooperativa.
E pensare a quante mani ho ancora da stringere.
Roberta Mo
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