mercoledì 24 ottobre 2012

La fuga dei disperati

Intervista dell'agenzia SIR a Dario, poco noto (sigh;)) ai lettori di questo blog, volontario del servizio civile Caritas in Giordania.
 
 
In Siria la situazione umanitaria si fa di ora in ora sempre più grave e da alcuni giorni, informa Caritas italiana, si sono persi i contatti con la Caritas locale, non raggiungibile né con il telefono né per e-mail. Mons. Antoine Audo, presidente di Caritas Siria, nell’ultimo messaggio inviato scrive: “Il mio posto è ora vicino ai miei fedeli, che non posso e non voglio assolutamente abbandonare”. La Giordania è il Paese con il più alto numero di profughi dalla Siria, in drammatico aumento nelle ultime settimane: dall’inizio della crisi, lo scorso anno, sono oltre 160 mila. Prima ne arrivavano 500 al giorno, ora 3-4 mila. La scorsa settimana circa 30 mila persone hanno abbandonato la Siria verso i Paesi limitrofi. Per rispondere all’emergenza il governo giordano ha allestito due settimane fa il campo profughi di Zata’ari, a 60 chilometri da Amman, che ospita attualmente 20 mila siriani. Il campo, gestito dall’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), ma presidiato dalle forze dell’ordine giordane, è sovraffollato, manca l’energia elettrica e di recente vi sono stati anche dei tafferugli. Conoscono bene la situazione due giovani di Caritas Ambrosiana – Dario Zanardi e Cristina Pianca – che da sei mesi svolgono il servizio civile a supporto di Caritas Giordania. Vivono ad Amman e tre giorni a settimana lavorano in centro, in una parrocchia di Mafraq, al confine con la Siria. Qui Caritas Giordania ha censito 25 mila rifugiati. Caritas italiana auspica oggi “una crescente solidarietà” e chiede alla comunità internazionale di “compiere con responsabilità tutti gli sforzi per porre fine alle violenze”. Dall’inizio dell’emergenza profughi è stato messo a disposizione un primo contributo destinato alle famiglie, ma solo in Siria occorrono già altri 170 mila euro per estendere l’intervento in atto. Patrizia Caiffa, per il Sir, ha intervistato in Giordania Dario Zanardi.

Come arrivano i profughi siriani in Giordania?

“Fuggono da Homs, da Damasco, da Aleppo. Arrivano in auto ma passano il confine di notte, a piedi, camminando tre/quattro ore nel deserto. Il flusso maggiore è in Giordania perché la Turchia ha chiuso le frontiere, mentre la situazione libanese è complessa. Il governo giordano ha la volontà di aiutare i profughi, ma al confine ogni notte si verificano ‘scaramucce’ di frontiera, perché l’esercito siriano spara sui profughi in fuga mentre i militari giordani rispondono con fuoco di copertura”.

A Mafraq in che condizioni vivono?

“Vivono in box, garage, negozi, uffici, pagano un affitto di 100-150 dinari al mese. Alcuni sono ospitati, a pagamento, dai parenti. Sono abitazioni di fortuna di una, massimo due stanze. Arrivano senza nulla e le condizioni abitative sono pessime. Dormono su coperte stese in terra per cercare d’isolarsi dal freddo. Alcuni hanno ricevuto un aiuto economico dalle agenzie delle Nazioni Unite per alcuni mesi”.
 

Quali agenzie umanitarie sono presenti? Che tipo di assistenza forniscono?

“Oltre all’Unhcr operano Caritas Giordania e due organizzazioni islamiche. Vi sono due registrazioni parallele: quella dell’Unhcr, che garantisce ai profughi di entrare nella procedura per la richiesta di asilo politico, ma molti non si registrano perché hanno paura di essere identificati per timore di ritorsioni. E quella di Caritas Giordania, che ha conquistato molta fiducia sul campo. Tra le due realtà c’è collaborazione. In questo modo Caritas Giordania sa dove si trovano i profughi, come sono composte le famiglie, se ci sono persone malate o bambini e neonati. Vengono avvertiti telefonicamente in occasione delle distribuzioni di generi alimentari, beni per l’igiene personale, coperte e piccoli elettrodomestici come fornelli e ventilatori. Le famiglie sono quasi tutte musulmane, con bambini in età scolare e neonati che hanno bisogno di latte in polvere e pannolini”.
 
Cosa fate per i bambini?
 
“I bambini dovrebbero essere inseriti nelle scuole statali, ma è ancora in discussione, al Parlamento giordano, un progetto di legge in materia. Perciò, nel frattempo, tra alcuni giorni avvieremo un progetto educativo, in collaborazione con Caritas Polonia, rivolto a 150 bambini dai 5 ai 13 anni, con insegnanti locali. Una sorta di doposcuola con l’insegnamento delle principali materie, per non perdere l’anno scolastico. Per fortuna il dialetto giordano e quello siriano sono affini e non ci sono grossi problemi di comprensione reciproca”.

Com’è la situazione sanitaria?

“È grave. Arrivano molte persone ferite da armi da fuoco, tutti soffrono di malattie post traumatiche legate allo stress, come asma, ansia, pressione alta. Hanno problemi alla vista, diabete, alcuni hanno bisogno di dialisi. Ho visto la radiografia del cranio di un bambino con un proiettile in testa. Fortunatamente si è salvato. Nel campo di Zata’ari ci sono già tre ospedali gestiti da Francia, Marocco ed Emirati Arabi. Anche l’Italia ha allestito da poco, nei dintorni di Mafraq, un ospedale, con personale sanitario e della Protezione civile. Caritas Ambrosiana ha invece avviato una campagna di raccolta fondi per l’acquisto di un’ambulanza per l’assistenza dei profughi al confine”.
 

Pare che il campo di Zata’ari sia sovraffollato e a rischio collasso…
 
“Sono stato una volta, c’erano 6 mila persone. Ora si parla di 16-20 mila persone. All’inizio ci sono stati molti episodi negativi, le condizioni non erano buone, mancava l’acqua, il cibo. Il governo giordano si è trovato a dover reagire all’emergenza dovuta dall’aumento enorme dei flussi. È ovvio che tutte le risorse sono ancora destinate alla prima assistenza, ma pian piano la situazione sta migliorando. Ci preoccupano maggiormente le condizioni dei bambini, che sono le prime vittime dei cicloni di sabbia del deserto, con problemi respiratori e alla vista”.

Quali storie raccontano i profughi?
 
“Quando si parla con i profughi non si entra nelle questioni politiche, anche perché la situazione da qui non è ben chiara, non si capisce cosa stia realmente accadendo in Siria. In Occidente, invece, la lettura della situazione è univoca. I profughi fuggono da città deserte, devastate da bombardamenti e combattimenti, nelle quali non è più possibile vivere. Alcuni si rifugiano nei villaggi interni, altri passano il confine giordano per disperazione. È difficile capire da chi sia composto l’esercito ribelle – si parla anche di terroristi legati ad Al Qaeda – e che ruolo abbia veramente Assad. Non è chiaro chi provochi le stragi e cosa ci sia dietro. I profughi sono tutti contro Assad, ma i siriani che vivono ad Amman, e hanno ancora le famiglie in Siria, appoggiano il regime”.

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