Carissimi!
Rieccomi finalmente di ritorno in Kenya. Per qualche settimana sarò solo vista la defezione del collega Teto, in preda a varicella acuta…speriamo in una pronta guarigione!
Un mio ritorno reso possibile dalla situazione pacifica del quartiere in cui vivo (Kahawa West, periferia settentrionale di Nairobi), che, nei tre giorni trascorsi, ho potuto davvero notare piuttosto invariato rispetto a dicembre, quando ne venni via. Sono stato anche a Nairobi-centrocittà, luogo di tanti scontri e manifestazioni mai approvate dal governo, ma in cui la vita e il caos quotidiano, fatto di miriadi di matatu e auto, sembrano essere ripresi. In questo momento particolare, infatti, il partito di Raila Odinga (opposizione che rivendica però la vittoria alle elezioni dello scorso 27 dicembre), per le forti pressioni di Kofi Annan (attuale mediatore, nel quale vengono riposte molte speranze del popolo keniano) sembra aver scelto di non organizzare manifestazioni in centrocittà. Nelle baraccopoli la situazione è sempre davvero incandescente. Città nella città come Kibera (un milione di baraccati circa in una decina di km2), Mathare e Korogocho, per citare le maggiori delle quasi duecento baraccopoli di Nairobi, vivono quotidianamente scontri, vendette, rappresaglie di polizia e esercito. La situazione più drammatica è fuori Nairobi. Una delle prime città in cui la violenza post-elettorale è esplosa è stata Kisumu, sulle sponde del Lago Vittoria, luogo nel quale è fortemente radicata l’etnia luo (Raila Odinga) e dove da subito è iniziata la caccia al kikuyu (etnia dell’attuale presidente, Kibaki, fortemente “contestato” per brogli elettorali, piuttosto evidenti). Ora tante altre città, nella vastissima zona della Rift Valley (Nakuru, Naivasha, Eldoret, Molo, etc…) vivono la stessa situazione. Scontri etnici molto sapientemente orchestrati e organizzati dagli stessi leaders politici. Una regia sempre meno occulta, dal momento che gli stessi quotidiani ormai sanno rivelare con esattezza quanto i giovani vengano pagati per uccidere, incendiare, distruggere e tendere agguati lungo le strade.
I morti sono ormai tantissimi, ma ancora di più gli sfollati (non meno di mezzo milione). È interessante come, a fronte dell’arrivo, in centri già predisposti, di alcuni gruppi di sfollati proprio a Kahawa West, la gente del quartiere e della parrocchia si sia prodigata per fornire degli aiuti (beni di prima necessità, come vestiti e cibo).
Pur non essendo qui toccati da scontri e violenze è chiaro e ovvio come i discorsi vadano quasi sempre a finire su tali tematiche di attualità. All’interno della Cafasso House (casa che accoglie giovani usciti dal carcere minorile, e nella quale opero quotidianamente) siamo in attesa di un ragazzo (Timothy) che, tornato presso il luogo di provenienza (quasi al confine ugandese) durante il periodo natalizio, è impossibilitato a tornare qui a Nairobi vista l’estrema pericolosità delle strade. Un altro ragazzo, uscito tempo fa dalla Cafasso House, ma di ritorno oggi per una sorta di rimpatriata, ha i propri famigliari a Kisumu e, pur volendo fortemente tornare, ne è, anche lui, impossibilitato.
L’informazione keniana, nota per essere piuttosto libera e di qualità, segue molto da vicino tutti gli avvenimenti, per cui se da un lato non è bello vedere immagini come le lunghe code di sfollati che percorrono le strade con in testa operatori che puntano loro addosso le telecamere, dall’altro in particolare la carta stampata si dimostra molto critica verso entrambi i contendenti; notevole, durante i primi giorni di gennaio, come le tre testate principali del Kenya abbiano deciso di intitolare le prime pagine allo stesso modo: “Save our beloved country”, pubblicando poi uno stesso editoriale di forte condanna e critica verso il comportamento di Kibaki e Raila e contro le tante violenze in atto.
Chiudo qui. Come si può notare la situazione è molto difficile.
Concludo cercando comunque di tranquillizzare rispetto al luogo nel quale vivo, tranquillo sia durante il già tormentato periodo elettorale, ma pacifico anche ora.
A presto a tutti!
Kwa heri!
Ema
Rieccomi finalmente di ritorno in Kenya. Per qualche settimana sarò solo vista la defezione del collega Teto, in preda a varicella acuta…speriamo in una pronta guarigione!
Un mio ritorno reso possibile dalla situazione pacifica del quartiere in cui vivo (Kahawa West, periferia settentrionale di Nairobi), che, nei tre giorni trascorsi, ho potuto davvero notare piuttosto invariato rispetto a dicembre, quando ne venni via. Sono stato anche a Nairobi-centrocittà, luogo di tanti scontri e manifestazioni mai approvate dal governo, ma in cui la vita e il caos quotidiano, fatto di miriadi di matatu e auto, sembrano essere ripresi. In questo momento particolare, infatti, il partito di Raila Odinga (opposizione che rivendica però la vittoria alle elezioni dello scorso 27 dicembre), per le forti pressioni di Kofi Annan (attuale mediatore, nel quale vengono riposte molte speranze del popolo keniano) sembra aver scelto di non organizzare manifestazioni in centrocittà. Nelle baraccopoli la situazione è sempre davvero incandescente. Città nella città come Kibera (un milione di baraccati circa in una decina di km2), Mathare e Korogocho, per citare le maggiori delle quasi duecento baraccopoli di Nairobi, vivono quotidianamente scontri, vendette, rappresaglie di polizia e esercito. La situazione più drammatica è fuori Nairobi. Una delle prime città in cui la violenza post-elettorale è esplosa è stata Kisumu, sulle sponde del Lago Vittoria, luogo nel quale è fortemente radicata l’etnia luo (Raila Odinga) e dove da subito è iniziata la caccia al kikuyu (etnia dell’attuale presidente, Kibaki, fortemente “contestato” per brogli elettorali, piuttosto evidenti). Ora tante altre città, nella vastissima zona della Rift Valley (Nakuru, Naivasha, Eldoret, Molo, etc…) vivono la stessa situazione. Scontri etnici molto sapientemente orchestrati e organizzati dagli stessi leaders politici. Una regia sempre meno occulta, dal momento che gli stessi quotidiani ormai sanno rivelare con esattezza quanto i giovani vengano pagati per uccidere, incendiare, distruggere e tendere agguati lungo le strade.
I morti sono ormai tantissimi, ma ancora di più gli sfollati (non meno di mezzo milione). È interessante come, a fronte dell’arrivo, in centri già predisposti, di alcuni gruppi di sfollati proprio a Kahawa West, la gente del quartiere e della parrocchia si sia prodigata per fornire degli aiuti (beni di prima necessità, come vestiti e cibo).
Pur non essendo qui toccati da scontri e violenze è chiaro e ovvio come i discorsi vadano quasi sempre a finire su tali tematiche di attualità. All’interno della Cafasso House (casa che accoglie giovani usciti dal carcere minorile, e nella quale opero quotidianamente) siamo in attesa di un ragazzo (Timothy) che, tornato presso il luogo di provenienza (quasi al confine ugandese) durante il periodo natalizio, è impossibilitato a tornare qui a Nairobi vista l’estrema pericolosità delle strade. Un altro ragazzo, uscito tempo fa dalla Cafasso House, ma di ritorno oggi per una sorta di rimpatriata, ha i propri famigliari a Kisumu e, pur volendo fortemente tornare, ne è, anche lui, impossibilitato.
L’informazione keniana, nota per essere piuttosto libera e di qualità, segue molto da vicino tutti gli avvenimenti, per cui se da un lato non è bello vedere immagini come le lunghe code di sfollati che percorrono le strade con in testa operatori che puntano loro addosso le telecamere, dall’altro in particolare la carta stampata si dimostra molto critica verso entrambi i contendenti; notevole, durante i primi giorni di gennaio, come le tre testate principali del Kenya abbiano deciso di intitolare le prime pagine allo stesso modo: “Save our beloved country”, pubblicando poi uno stesso editoriale di forte condanna e critica verso il comportamento di Kibaki e Raila e contro le tante violenze in atto.
Chiudo qui. Come si può notare la situazione è molto difficile.
Concludo cercando comunque di tranquillizzare rispetto al luogo nel quale vivo, tranquillo sia durante il già tormentato periodo elettorale, ma pacifico anche ora.
A presto a tutti!
Kwa heri!
Ema