martedì 27 aprile 2010

dalla Bulgaria al Ruanda (alla Bulgaria)

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(Irene è stata SCE2007 in Bulgaria e sarà coordinatrice dei prossimi CdS proprio là. Si trova attualmente a svolgere un tirocinio in Ruanda, da cui scrive questo post)

Ciao a tutti! Scrivo perchè ho un po' di tempo col computer a mia disposizione. Scrivo per dire che le cose stanno andando abbastanza bene, è davvero un altro mondo qua!

In alcuni momenti un mondo fantastico in cui si è liberi da tante cose, si ha una fede aperta e profonda e si vive in modo autentico e con poco...

In altri momenti però è un mondo devastante, povertà estrema, e lo stare a stretto contatto con la malattia e la disabilità tutto il giorno tutti i giorni...

...anche se non riesci a parlare nella loro lingua glielo si legge in faccia e nelle gambe quello che possono o non possono fare... poi quelli con cui riesci un minimo a comunicare in inglese o in francese ti raccontano senza nessun tipo di trauma o imbarazzo che sono senza genitori perchè morti nel genocidio e che vorrebbero studiare ma non possono perchè non hanno abbastanza soldi... bam... ti abbatte davvero! Soprattutto il modo in cui lo raccontano, come se fosse la cosa più normale del mondo!

E poi altri racconti... meglio avere tanti figli qua in Rwanda, perchè solo così sei sicuro che almeno qualcuno rimane vivo... tante persone, tanti vissuti, tante ferite... vorresti fare qualcosa, regalargli tutti i soldi che hai... ma cosa risolveresti? Nulla... e rimane l'interrogativo nel fondo che ti corrode...

Però poi ti rendi conto dei miracoli a cui assisti tutti i giorni... dei sorrisi di quei bimbi ke t sembran senza speranza e dei sorrisi di quelle persone che incontri per strada... dei racconti dei ragazzi che sono arrivati qua senza poter nemmeno stare in piedi e che escono camminando con le proprie gambe!

Ti torna anche in mente la nonna di Uimana, nella sua pacatezza in quella capanna isolata dal resto del mondo... vive... vive... non si sa di che cosa ma vive e piange lacrime di felicità nel riabbracciare la nipote!

E la fede con cui cantano e danzano... tutti i giorni a cantare colmi di felicità, di fede e di speranza!!!

Davvero qua si può intuire cos'è l'essenziale... oggi m sn fatta tradurre una canzone ke cantan sempre: "Ndashaka kuituriro murukundo rwawe, nyagasani Yezu ndogukunda" ("Ti amo Signore Gesù, per vivere ho bisogno solo del tuo amore")... e effettivamente, sembra che qua l'unica cosa che possono avere sia davvero quella, e hanno lo stesso una gioia di vivere indescrivibile!!
Irene Baldissarri

sabato 24 aprile 2010

E così fù che il Guis si trasformò in un circo!

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In certe occasioni capita anche che un vulcano sperduto sul ghiacciaio islandese Eyjafjallajökull esploda lasciando in panico e paralisi tutti gli aereoporti d' Europa e costringendo un povero sfortunato in gita dall'altra parte del mondo a fermarsi una settimana in più per assenza di voli..poverino..........era molto triste di dover rimanere una settimana in più in Nicaragua..
Che calamità!
Fortuna volle che quel poveraccio era il più grande clown di tutti i tempi e il Guis il posto giusto al momento giusto!

















Uno speciale ringraziamento al Payaso David e alla sua aiutante Quiscera!

Indovinello

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Nuovo gioco: trova i due servizio civilisti in Bolivia mentre ballano la diablada....





Un piccolo aiutino...

venerdì 23 aprile 2010

E voi li picchierete i vostri figli?

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La mia classe è composta da un gruppo di ragazzi e ragazze tra i 15 e i 20 anni. Stanno studiando alla Escuela Técnica di Redes per apprendere una professione concreta: segretaria, saldatore, muratore... Alcuni hanno già un diploma di scuola superiore ma non sanno che farsene, perchè non c'è lavoro... Sono ragazzi che lottano per arrivare da qualche parte, che studiano perchè sanno che conoscere e prepararsi bene sono l'unico modo, forse, per uscire dalla sconcertante povertà in cui vivono... poi ci vuole anche un pò di fortuna, è ovvio...




Io e Martin, uno psicologo, gli diamo lezione di Formazione Humana. Che cos'è? Una materia molto bella, che dovrebbe esistere anche nelle scuole italiane: tre ore alla settimana in cui i ragazzi hanno la possibilità di riflettere su temi come l'autostima, la sessualità, le droghe, la genitorialità responsabile, il lavoro di gruppo... si confrontano tra loro, si confrontano con noi, ricevono un punto di vista adulto diverso dai modelli che spesso li circondano... iniziano così a mettere in discussione alcuni "dati di fatto" della propria realtà, cose che sono così da sempre e sempre lo saranno: l'uomo lavora e si sbronza con gli amici, la donna cura la casa e i figli; l'uomo ha diritto di fare sesso con sua moglie anche se lei non vuole, e in questo caso ha diritto di cercarsi un'altra donna per soddisfare i suoi bisogni; il vero uomo non usa il preservativo, e se glielo chiedi ti picchia pure, perchè uno "più figli ha più è macho", e perchè intanto non sarà mai lui a occuparsene... Scusate se esagero un poco (in verità neanche più di tanto), è per far capire bene la situazione in cui siamo...




Il tema della lezione di martedì era la violenza intrafamiliare. Ho chiesto ai ragazzi di prepararmi una specie di rappresentazione teatrale su una scena di violenza che avevano visto o sentito: l'hanno fatto molto bene, perchè qui con la violenza ci si cresce, la si vive ogni giorno... Dopo c'è stata la riflessione di gruppo e alla fine ci restavano comunque 10 minuti. Allora un ragazzo mi ha chiesto:


"Profesora, lei ha mai visto una scena così nel suo paese?"


Ho dovuto pensarci un attimo e alla fine gli ho detto no, che non l'avevo mai vista...


"Perchè, nel suo paese non c'è violenza intrafamigliare?" mi chiede un altro.


No, gli rispondo, non è così... la violenza c'è, ma si nasconde di più fra le mura di casa: non è come qui, dove la gente vive in strada e tutti conoscono tutti... in Italia molto spesso non si conosce neanche il vicino della porta accanto!


Poi però mi metto a raccontargli una scena che ho visto qui in Nicaragua: un pomeriggio di qualche mese fa eravamo in casa a lavorare e a un certo punto sentiamo delle grida fuori nella strada e qualcuno che piange... usciamo nel portico per vedere cosa succede e vediamo la nostra vicina, una ragazzina di 14 anni, che corre a nascondersi dietro una macchina parcheggiata cercando di sfuggire a sua madre che la insegue con la scopa, con la palese intenzione di riempirla di mazzate... la cosa che mi ha impressionato di più, dico ai ragazzi, è che tutti i vicini erano fuori in strada a guardare e nessuno ha fatto niente per fermarla...


"Voi avete mai visto una scena del genere?" chiedo.


Tutti i 18 presenti mi dicono di sì.


"E perchè nessuno fa niente?"


Qualcuno mi dice che è perchè conoscono la famiglia, perchè non vogliono intromettersi... Però la maggior parte è d'accordo nel dire che non lo fanno perchè pensano che sia giusto così: se un bambino non lo picchi non impara nulla. Ci mettiamo a discutere di questo, gli chiedo cosa ne pensano loro. Mi dicono che non sono d'accordo, però allora come si fa a far capire che una cosa è sbagliata? Gli dico che ci sono diversi modi, però l'importante è far capire perchè una cosa non si deve fare: un bambino che fa una scemenza e riceve una sberla in risposta forse smetterà di farlo, ma non perchè avrà capito, quanto piuttosto per paura di riceverne altre. I ragazzi mi ascoltano, discutiamo, uno mi dice: "E' vero Profe, quand'ero piccolo mio padre mi diceva che non dovevo picchiare i bambini a scuola perchè se no lui me le dava più forte, e io non lo facevo perchè non volevo prenderle" e subito dopo un'altro: "Si, però se un bambino è troppo coccolato da piccolo poi diventa cochon (omosessuale)"... Il discorso va avanti per un pò, io difendo la tesi del dialogo, cerco di far capire che c'è differenza fra non picchiare e permettere tutto...

Quando suonano la campanella gli faccio un'ultima domanda:
"Voi come vi comporterete con i vostri figli (o come vi comportate se già ne avete)?"
Mi dicono che non li picchieranno... risposta scontata dopo una discussione del genere, però io voglio crederci... voglio credere che qualcosa di tutto quello che diciamo e facciamo a lezione gli rimanga, che li aiuti a vedere le cose in modo differente, a cambiare modo di comportarsi, a crescere con altre prospettive... Forse anche un posto come Nueva Vida può diventare migliore!











lunedì 19 aprile 2010

Inter-Barça: 4 a 0

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La scorse settimane sono venuti a trovarci alcuni un pò spaesati amici dall'Italia..

.. e al Guis sono stati giorni piuttosto movimentati!

EL GUIS: centro di attenzione speciale per bambini e ragazzi diversamente abili.
Il centro si trova a Nueva Vida, questa strana realtà collocata alla periferia di Managua dove da ormai sette mesi svolgiamo il nostro servizio civile.
Nonostante le condizioni di vita siano piuttosto arretrate e ancora non ci sia l'abitudine delle strade asfaltate o della luce e dell'acqua in casa, il calcio italiano e spagnolo sono superconosciuti e amati da tutti! Real Madrid, Barcellona e Inter, parole che pervadono la quotidianità, animando conversazioni, litigi e pezzi di giornate.
Per questo ha avuto un super successo la sfida Barcellona Inter organizzata dai ribattezzati Pedro, Salvador, e David.
E' bastato tirar fuori un pallone e nel giro di pochi minuti si sono formate le squadre e gli alieni italiani sono diventati amici di tutti!
Tutt'ora mi chiedono di loro e quando sarà la prossima partita..

E' che all'inizio vai per conoscere una realtà,
non te lo aspetti che ti possano piacere così questi personaggi dalla corsa scordinata, la danza sgraziata, l'abbraccio fuori luogo, le risposte due ore dopo, il canto stonato e i versi incomprensibili che sono racconti.
Poi Accade,
anche a chi di sociale, disabili e volontariato non ha mai saputo niente.

INTER












BARCELLONA












Naturalmente ha vinto l'Inter...
















Però il barcellona ha saputo essere sportivo..

Un ringraziamento ai nostri caposquadra!

domenica 18 aprile 2010

La Rivoluzione

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Siria, deserto orientale. Sei ore di viaggio in un pullman di linea puzzolente degli anni settanta, senza spazio per le gambe e con l’intrattenimento di ben DUE film egiziani. Arriviamo a Raqqa, una polverosa cittadina che da’ il nome a tutta la provincia settentrionale sull’Eufrate. Il letto del fiume si trova appena prima della città, placido e melmoso. Un paesaggio surreale, dove un corridoio verde di campi coltivati interrompe una distesa sconfinata di sabbia.

Decidiamo di proseguire, la nostra meta finale è il lago al-Assad poco più a Nord. Riusciamo a farci portare alla stazione degli autobus, e con 25 centesimi a testa prendiamo la strada per la città di ath-Thaura, fiduciosi di poter trovare un ostello di un qualche tipo. Il pullmino sgangherato corre sulla strada piena di buche. Siamo dentro in dodici e mi tengo lo zaino sulle ginocchia, mentre una litania coranica ci tiene compagnia durante il viaggio.

Ath-Thaura, in arabo rivoluzione. Una città nata e cresciuta tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, quando si è trovata ad ospitare le migliaia di operai reclutati per costruire la diga più grande del Paese, la diga Tabqa. Una città costruita sul sogno del partito Ba’ath – il partito siriano di orientamento socialista ancora oggi al potere – di poter trasformare questo pezzo di deserto nel granaio del Paese, sviluppando un’agricoltura moderna e meccanizzata (con ancora poco successo, in realtà). Una città che si è sviluppata sulle rive di uno dei più grandi laghi artificiali del mondo, alla cui creazione hanno contribuito quasi 13mila persone, tra manodopera locale e ingegneri sovietici - erano gli anni della cooperazione economica tra Mosca e Damasco.


Ad ath-Thaura non ci sono alberghi, e non sembra una città particolarmente accogliente. Sono le dieci di sera, il conducente ci da’ dei pazzi per esserci avventurati in questa zona senza avere nessun contatto. Stiamo quasi pensando di tornare a Raqqa quando Mahmud - carnagione scura, tunica blu lunga fino ai piedi e sandali – dal fondo del pulmino si offre di ospitarci a casa sua. Ospitare tre sconosciuti (io, mio fratello e un suo amico) in zaino da campeggio che balbettano due frasi in arabo. Qui pare la cosa più naturale del mondo. Facciamo i kilometrici controlli di rito, ci registriamo alla stazione di polizia dando fotocopie fronte e retro, e poi ancora fronte del nostro passaporto. Ora siamo ufficialmente sotto la responsabilità e la protezione di Mahmud, ci dice il poliziotto, si scusa per i controlli ma questa zona è sotto un controllo particolare per via della diga.

Casette bianche col tetto piatto, con un cortiletto interno pavimentato e il bagno all'esterno (così uno può sopportare i disturbi intestinali contando le stelle nel cielo); bambini e giovani che corrono scalzi per strada e che ci guardano incuriositi; donne velate che ci osservano dalle piccole finestre delle loro abitazioni. Il quartiere a un certo punto sembra quasi fermarsi al nostro passaggio. I tradizionali “Welcome, welcome!” – ormai un marchio di fabbrica in qualunque area turistica mediorientale – qui non sono ancora arrivati e lasciano spazio a uno stupore e a una curiosità sorprendenti nella loro semplicità.


La notizia del nostro arrivo deve averci preceduto, a casa del nostro ospite tutta la famiglia ci sta aspettando. Ci sono almeno altri otto fratelli (sicuramente me ne son dimenticato qualcuno), ci sono i figli di un paio di questi che ci scorrazzano attorno. C'è la capofamiglia - un personaggio che sembra uscito direttamente da qualche epopea beduina di altri tempi, se non fosse per la sigaretta che tiene tra le dita - con un vestito nero che la copre dalla testa ai piedi e che lascia intravedere solo le rughe del viso. Ci togliamo le scarpe e le calze, ci portano in cortile dove c'è una bacinella e del sapone. Sempre sotto gli occhi del quartiere, ci laviamo faccia e piedi - addirittura una donna ci porta via le calze per lavarcele a mano - e torniamo dentro.


Il pavimento della stanza è ricoperto di tappeti, la gente siede per terra. Si parla di tante cose. Di quello che facciamo noi, del loro lavoro - sono quasi tutti muratori e stuccatori che girano per lavoro, vanno e vengono da Giordania, Libano, Damasco - di religione – sono musulmani sunniti praticanti - della famiglia. Far capire che ho studiato storia mediorientale e che lavoro per una organizzazione non-profit risulta piuttosto semplice, anche se non riescono a spiegarsi cosa ci faccia un italiano così lontano da casa. Però quando dico loro che ho quasi 26 anni e non son ancora sposato non ci crede nessuno, e per rafforzare il concetto mi presentano i bambini di uno di loro, ormai sposato e padre di famiglia a 25 anni. Dell’Italia non sanno niente, se non che ha una squadra di calcio dove giocano “Totti, Del Piero, Baggio”, e che sicuramente le ragazze là sono bellissime. Non ce n'è uno che parli una parola di inglese - è molto divertente vedere i miei compagni di viaggio destreggiarsi in grandi conversazioni gestuali mentre io cerco di tradurre almeno il senso di quello della loro comunicazione. Mi sto così crogiolando nel mio terzomondismo quando uno dei fratelli più grandi, sui 35-40 anni mi allunga il suo telefono per farmi vedere un paio di foto sul cellulare: Jean-Claude Van Damme e Jackie Chan, i suoi due attori preferiti. Non mi ero proprio accorto della televisione con tanto di decoder per il satellite.

E poi arriva la cena. Pollo con riso speziato, hommos (la crema di ceci), verdure, pane arabo, e naturalmente tanto tè. Un classico dell’ospitalità araba, ma sempre gradito. Hanno preparato tutto le donne di casa ma non si fanno vedere: in quanto maschi e in quanto non appartenenti alla famiglia (essere stranieri poco importa), ci è consentito mangiare solo con gli uomini della famiglia. Solo quando mi alzo per andare a lavarmi le mani nel cortile le vedo, sorridenti ne sedute in cerchio a discutere e mangiare tra di loro. Alcune di loro fumano sigarette, cosa che nella cultura beduina non viene considerata sconveniente.

Ci preparano i letti per la notte e ci lasciano tutto il salotto, dove presumibilmente di solito deve dormire tutta la metà maschile della famiglia. Questa sera dormiranno fuori nel cortile o in corridoio, e ovviamente non possiamo farci niente. Così come non potremo rifiutare la colazione del giorno dopo a base di falafel, crema di yogurt, aglio, carne, e ceci, patate fritte, uova, olive e formaggio. E una visita al lago con il loro camioncino.

In una zona del genere, dove la popolazione è da secoli abituata a convivere col deserto e le sue durezze, l’ospitalità finisce per essere la base della vita sociale comunitaria. Ospitalità vuol dire mettere a disposizione dell’ospite tutto, vuol dire offrire le cose migliori che si hanno senza chiedere niente o quasi in cambio. Non sempre è facile per un occidentale accettare pienamente questo tipo di ospitalità, che significa anche essere completamente in balia dell’ospitante e dei suoi programmi (e al quale non ci potrà sottrarre). Significa anche condividere una socialità intensa e totalizzante al quale forse non siamo più avvezzi, abituati a una distinzione tra pubblico e privato che assume confini molto diversi.
N.B.: Ringrazio Dimitris per le belle foto che potete vedere, è stato lui a documentare il viaggio

sabato 17 aprile 2010

Trova le differenze...

2 commenti:

24 ottobre 2 febbraio 17 aprile
Chisinau, dalla finestra della cucina
ovvero...il tempo passa!

Fra tre giorni saranno esattamente 6 mesi che siamo approdate in Moldova.
In noi e intorno a noi tante cose sono cambiate. Ma altre sono rimaste le stesse.
Come l'entusiasmo, nonostante le fatiche, per il nostro essere qui.
Certo, trovare tutte le differenze e le costanti è più difficile che per il paesaggio!

E voi altri SCE sparsi per il mondo?

PS La multi ani Desi!!!

venerdì 16 aprile 2010

Prendi il lato "Coca Colla" della vita

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Una cittadina di La Paz bevendo Coca Colla. - Efe Agencia


In Dicembre 2009 anche Corriere.it dava la notizia della nuova bevanda boliviana chiamata "Coca Colla", ecco un pezzo di un articolo del quotidiano "Los Tiempos" di oggi ( 16/4/2010):


L'impresa Boliviana "Organización Social para la Industrialización de la Coca" (Ospicoca) iniziò la vendita su grande scala della bevanda energetica "Coca Colla", prodotta con estratto della foglia di coca (...)Il presidente di Ospicoca, Víctor Ledezma Fuentes, ha spiegato che l'obiettivo principale della organizzazione è promuovere l'industrializzazione della foglia di coca per mostrare le sue qualità e cancellare lo stereotipo del narcotraffico."La coca es nuestra, la coca es producción boliviana y mayormente se produce en el Collasuyo", ha detto Ledezma al giustificare il nome della bevanda, per la sua similitudine con la Coca Cola.Il Collasuyo era il nome della regione andina del continente che usavano i popoli indigeni prima della colonizzazione spagnola e oggi in Bolivia serve per identificare gli abitanti aimaras e quechuas dell'occidente boliviano.
Il terzo lotto messo in vendita conta con 30 mila bottiglie di "Coca Colla" di mezzo litro ad un prezzo di 10 boliviani, ossia, un dollaro e 40 centesimi, e il prossimo carico sarà di 100 mila bottiglie. (...)

La coca ha in Bolivia usi medicinali e culturali, i "campesinos" e i "mineros" la masticano abitualmente per mantenere un alto livello di energia e non sentire la fame durante molte ore, però è anche destinata al narcotráfico per la produzione di cocaína.

Traduzione da "Los Tiempos.com" 16/4/2010


Si cerca in qualche modo di coprire alla comunità internazionale ( perché qui lo sanno tutti) l'aumento indiscriminato della produzione di coca destinata al narcotraffico.

Momenti di cambio e di incertezza in Bolivia che non si sa dove porteranno. Per quanto riguarda il problema narcotraffico, nelle città più grandi come Santa Cruz e Cochabamba in molti hanno iniziato a consumare cocaina, la preoccupazione per questo "passaggio" aumenta.




giovedì 15 aprile 2010

MATIOSH

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I kaqchiquel per non soccombere si allearono con gli spagnoli e accettarono di lottare contro i loro stessi fratelli, i maya Kichè.
Vinsero la battaglia ma agli uomini barbuti venuti dal mare non bastava, volevano anche il loro oro, i loro figli più forti e le loro donne.

Di ritorno dopo le vacanze di Pasqua intorno al centroamerica, nelle meravigliose terre dei Maya dove ad ogni passo si respira storia e arte di una cultura non ancora perduta per sempre e misteriosamente conservata in una lingua che invasioni sanguinarie di antichi e nuovi esploratori non sono ancora riuscite, nonostante tutto, a cancellare. Dico nonostante tutto perchè per secoli si è tentato di sradicare queste lingue in favore dello spagnolo o dell'inglese e se sono sopravvissute è solo grazie allo scambio orale di famiglie determinate a non sparire.

I nuovi esploratori sono pacifici, non vengono con armi e sono amanti del centro america, dei suoi laghi e vulcani, dei suoi fiumi in mezzo alla natura selvaggia, delle sue antiche rovine Maya, delle onde e delle birre gelate sulla spiaggia,dei suoi prezzi bassi..
Its cool, really!
Wanna surf and visit maya ruins?
You can do it!
Lasciano molto dinero in queste terre, non contrattano con i taxisti e adorano le leggende sulla dea Luna.
Del centro america portano a casa ricordi indimenticabili di viaggi e traversate avventurose.
Sono di poche parole con i locali però si fermano volentieri a parlare con i turisti, una mattina possono capitare in una città evidentemente in festa e galattico subbuglio per l'evento dell'anno: la visita della moglie del presidente. Possono visitarne la piazza centrale e molte altre cose meravigliose e ripartire il giorno dopo senza averne saputo niente..
Con i nuovi esploratori gli indigeni non sono molto ospitali. Altri, più moderni, hanno imparato a sorridere dopo aver chiesto una quantità di denaro adeguata e storcono il naso se per caso si vuole lavare i panni a mano. Con 5 pesos te li lavano alla lavanderia..

Io e Salva, il mio compagno di viaggio, facciamo parte di questo squadrone di grandi esploratori, ce ne accorgiamo da come ci guardano i figli dei kichè quando saliamo sul bus per Chichicastenango il giorno del giovedì santo..
Il giorno è uno di quei giorni dove la gente delle campagne si reca con tutta la famiglia in paese per assistere alla processione ; il bus è uno di quei bus raramente frequentati da turisti.

-Buenas dias...sorriso
... (sguardo serio diffidente)
-desculpe, usted es de aquì?
... (sguardo perplesso diffidente)
-ehm..me entiende?
... (sguardo in cerca di salvezza intorno a sè, meno diffidente)
-sorriso- habla Espanol usted?
... (timido sorriso, sguardo sorpreso al vicino di posto, sguardo a me)
Si
(sorriso)

-A, entonces si, me entiende!
Como se dice gracias en su idioma?
... (sorriso meno timido) Matiosh!
_ eeeh, que fuerza, Matiosh!
Super sorriso.
Y como se dice in Ingles?

A quel punto ci accorgiamo che i bambini prima intimoriti ci sorridono divertiti.
Mi perdo nei sentimentalismi:
suerte di essere stata ammessa ai codici segreti di una dimensione che vive ai margini del mondo,milagro dell'incontro quando si è consapevoli di essere ospiti e non proprietari, belleza dello scambio anche sotto strati di sfiducia, paura e diffidenza che sembrano vecchi di secoli..

La maggior parte degli "esploratori" che passano di qui non sanno parlare lo spagnolo e sono abituati a pagare per quasiasi cosa, anche per una indicazione..
Fanno domande e danno per scontata una risposta.
Ma la risposta non è scontata quando si ha a che fare con persone che visitano senza coscienza della storia nè rispetto delle tradizioni, visitatori spenti che non conoscono e nemmeno vogliono conoscere le usanze del popolo che vanno a visitare, per quanto lontane..
Con quale gioia posso Accogliere qualcuno che non chiede accoglienza per il semplice fatto che non lo ritiene necessario..l'accoglienza la da per scontata..l'accoglienza se l'è presa.

Un tempo fù con i bastoni di fuoco..

martedì 13 aprile 2010

Voi non sapete cos'è la mia città

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stormi di piccioni volano in circoli sempre più ampi, per poi tornare da dove sono venuti
aquiloni altissimi che non si capisce da dove partano né dove vogliano andare
il sole che si oscura l'aria pesante e la tempesta di sabbia che riempie i polmoni e la casa
poi all'improvviso di nuovo l'estate
poi all'improvviso di nuovo l'inverno
i bambini vanno e vengono da scuola a piedi da soli poi nel pomeriggio giocano in mezzo alla strada
un cane abbaia
l'acqua a Jebel al-Lweibdeh arriva il mercoledì sera
case moschee chiese scale salite discese ancora case cortili giardini automobili
poi all'improvviso una bicicletta
il verde che non ti aspetti
i gelsomini in fiore
l'alba ha l'odore del pane e della polvere
le donne riempiono i saloni di parrucchieri il giovedì pomeriggio poi escono nel vento velate
le sere illuminate dai colli
Jebel Qalaa
Jebel Hussein
Jebel Amman
Abdoun
Al-Shmeisani
Umm Summac
Umm Raed ci fa il té tutte le mattine
le madri qui sono madri per sempre anche nel nome
la famiglia
pranzo da Hashem, falafel e hummus
milan o inter
real madrid o barcelona
fairuz solo la mattina
l'houd da Jafra
andare via da Amman
tornare sempre ad Amman




la nonna del beduino
mio padre era nell'esercito. quando è tornato a casa, ha portato con sé una radio. ascoltava sempre Umm Kulthum. una sera si è addormentato con la radio accesa e mia nonna è andata e l'ha coperto. poi ha coperto anche la radio. ma la voce di Umm Kulthum si sentiva ancora. allora ha messo un'altra coperta sulla radio. ma si sentiva ancora. ha continuato a mettere coperte finchè non ha sentito di nuovo il silenzio del deserto.
la mattina dopo, mia nonna è andata da mio padre per lamentarsi di quella donna nella scatola che aveva continuato a lamentarsi tutta notte per il freddo.