lunedì 9 maggio 2011

Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi...

Non saprei spiegare perché mi piace così tanto lavorare in carcere (esattamente quanto non mi piace scrivere)… a volte credo sia semplice vocazione, come coloro che vanno nei paesi del sud del mondo ad aiutare i più poveri.  A volte credo sia per semplice spirito di ribellione, contro coloro che lavorano nelle prigioni ma non credono nella riabilitazione, che pensano che le persone rinchiuse siano solo mele marce, e come tali non meritano neanche di uscire. Io credo nelle seconde possibilità, credo che nella vita si sbagli.. 
poi è vero, c’è sbaglio e sbaglio, c’è persona e persona, ma soprattutto è necessaria la volontà di redimersi.

Comunque, mi sto perdendo: il punto è che di fatto a me piace lavorare in carcere, e molto.

Forse non lo avrei mai scoperto se per errore non avessi dovuto cambiare il mio tirocinio all’ultimo anno di università, finendo addirittura a Brescia e girare per i carceri lombardi. E magari una spinta maggiore l’ha data anche il Kenya, quando ho potuto osservare con i miei occhi come viene gestito un carcere da queste parti: dove le punizioni corporali sono permesse dal codice penale, dove i detenuti non vedono difesi i propri diritti, dove le divise sono rotte, dove ti chiudono nella stanza alle 16 di sera fino al mattino dopo, quando sarai costretto a lavorare sotto il sole spaccando pietre.

Comunque, ancora mi sto perdendo: il punto è che di fatto a me piace lavorare in carcere, e molto

Ed ecco che , partita la nostra capa per l’Argentina e per ben 3 mesi, trovo la mia occasione per cominciare a lavorarci davvero in prigione, al YCTC (youth correctional and training center*), dove a poco a poco cerco di ritagliare i miei spazi e un più ampio margine di lavoro.
Sister mi ha chiesto di tenere delle lezioni sul CONOSCERE SE STESSI. 
Ma a me non piacciono i gessetti, scrivere su un quaderno, parlare di teorie. Perché non c’è libro che possa conoscerti e non c’è niente di ricopiabile da una lavagna che ci dica chi siamo.
Allora la mia idea, per il primo giorno, è portare l’attenzione su chi siamo e come gli altri ci percepiscono. E io per prima pongo attenzione a questo aspetto. Mi piace ridere, scherzare, giocare. Quindi entro e mi presento per quella che sono: con molta allegria spiego chi sono, cosa faremo, li lascio liberi di farmi delle domande.Propongo poi dei giochi di ruolo, elimino lo schema del seduti tutti in fila sua banchi, porto al centro alcuni di loro e chiedo agli altri di spiegare cosa vedono nel loro compagno di avventura.

Hanno capito il senso, hanno capito il gioco, hanno capito dove voglio arrivare. Allora mi dicono: ora vai tu al centro e ti diciamo cosa pensiamo di te!

Lo so cosa penserete, visto che ultimamente piango spesso, questa volta però mi sono trattenuta, anche perché la gioia era talmente intensa che un sorriso mi si è appiccicato sulla faccia.
Mi hanno ringraziato, in ogni modo, hanno benedetto la mia presenza: perché da più di un mese nessuno entrava in carcere a fare lezione, perché li ho fatti ridere, perché li ho fatti giocare, perché ho avuto pazienza, perché non li ho rimproverati malamente ne ho chiamato una guardia a punirli, perché li ho accettati per quello che sono, perché hanno capito che credo in loro. Mi hanno pregato di tornare, più volte possibili, perché li ho resi felici.
E tutto sommato, l’unica cosa che ho fatto, è stata trattarli come ragazzi normali. Perché è questo che appaiono ai miei occhi: ragazzi che hanno sbagliato, ragazzi che spesso hanno rubato per fame, che hanno vissuto per strada, che non hanno una famiglia che li rivoglia indietro. Ma soprattutto ragazzi con molte speranze e molte capacità, che hanno imparato dai loro sbagli e che (spero tutti) sono pronti a cambiare e a rimettersi in gioco.

E la giornata si è conclusa, su richiesta, con me che cantavo LA CANZONE DEL SOLE e i ragazzi che improvvisavano un balletto, intonando NA NA NA e MARE NERO. Ma tornerò di sicuro, ogni settimana, perchè con le loro voci di speranza, in sole due ore, mi hanno trasmesso tanto, mi hanno fato capire che, a differenza di quanto pensano le guardie, c'è la possibilità di aiutarli davvero a cambiare il loro futuro.
E chissà che un giorno possano cantare in italiano con me "le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi…"

"di ai tuoi amici italiani che noi ci siamo,  che siamo al YCTC,che stiamo bene, e che se vogliono venire a trovarci, li aspettiamo!"


*YCTC: ragazzi sotto i 18 anni, al primo reato non grave, scontano la pena fissa di 4 mesi. Nella maggior parte dei casi, si tratta di ragazzi di strada.

2 commenti:

  1. E' molto bello questo che hai scritto. E pensa ci sono arrivato per caso cercando informazioni sul carcere di Santo Stefano a Ventotene, che certo non era gestito come auspichi tu.

    Credo che il problema sia, come quasi sempre, nelle generalizzazioni: è di questo che pecca chi, come dici tu, considera i detenuti solo delle irrecuperabili mele marce. Ed è giusto credere, come fai tu, nelle seconde possibilità e negli errori.

    Però se in un secchio di mele ce ne sono alcune che sembrano brutte, credo che sia opportuno prenderle in mano e passarci uno straccio (non mi intendo di mele!) per vedere se il brutto che si vede è sporcizia o marciume. E se è marciume... ahimé bisogna trattarlo come marciume, anche per impedire che marcisca il resto.

    Il tutto con consapevolezza (cultura) e senso di responsabilità (coscienza), rispettando chi è "dentro" ma senza dimenticare che, per ognuno che è dentro, c'è probabilmente qualcuno che è "fuori" e ha subito le conseguenze negative del comportamento di chi ora è dentro. Conseguenze che a volte sono irreversibili.

    Non sono tutte mele marce. Ma non credo che si possa concludere che sono tutte mele buone. Anche proprio per rispetto delle mele buone che sono lì dentro. Considerare tutti uguali è sempre un guaio.

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  2. giustissimo quello che hai scritto. solo che considera che questo è un carcere "speciale", solo per reati minori, principalmente ragazzi che vivono in strada (qui è un fenomeno purtroppo diffuso) che si trovano costretti a rubare del cibo per vivere.. nessun omicidio, nessun reato grave. qui sta l'esagerazione nel considerarli mele marce.

    come dici tu, non è sempre detto di trovare mele buone, io ho lavorato anche nelle carceri italiane, e ammetto che a volte mi sono trovata a pensare "ma questo sta per uscire? dovrebbe stare dentro!".
    ma mi piace l'idea della spolverata, è esattamente ciò che intendevo: ogni persona è un caso a se, e come ogni cosa, prima bisogna conoscere la situazione. poi non sta a noi giudicare il carcerato, ma cercare di trovare sempre il modo per "riabilitare". perchè per evitare altri comportamenti negativi verso chi sta fuori, bisogna aiutarli prima a prendere coscienza dei propri errori e poi a mettere in atto solo comportamenti consoni al vivere in una società.

    per questo apprezzo chi, come te, mostra comunque di avere ampie vedute e un apertura mentale nell'affrontare questi argomenti delicati quali le pene carcerarie!

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