Oggi,
venerdì 19, sono andata in centro da sola per controllare la situazione del
nostro annual permit all’ufficio immigrazione e ho cercato di rilassarmi per
quanto possibile su un matatu viste le tensioni che ci sono al lavoro e che
indirettamente convivono nella mia sfera personale.
Ho
da sempre percepito Kahawa West, quartiere di periferia dove viviamo un po’
come Baggio – quartiere di periferia dove ho sempre vissuto con i miei genitori
– d’altronde senza traffico cisi mette lo stesso tempo per arrivare in centro
città Nairobi/Milano: 40 minuti con il matatu/l’autobus.
Il mitico mezzo: matatu n°44 ;) |
Il
paesaggio è molto diverso: qui ci sono molti spazi aperti, verdi e pochi
edifici alti pieni di appartamenti, non c’è la metropolitana ma c’è comunque
qualche pazzo che va in bicicletta (stile Teo Bodini: con tutta l’attrezzatura
da casco a scarpette adeguate, non come me!) e rischia la vita ad ogni pedalata
viste le regole che vigono in strada. La mia intenzione era di leggere un
libro, ma non riesco a non guardarmi intorno e vedere che, come al solito anche
a Milano, sono quella che è meno profumata, curata, non truccata e indosso
vestiti normali (un po’ da lavoro, forse...hehe) mentre gli uomini indossano
camicia e pantaloni eleganti, le donne in tailleur come se tutti dovessero
andare in ufficio, lo spero! Gli odori durante il tragitto mi ricordano quelli
milanesi che si respirano in autobus: sudore di più persone accalcate tutte in
uno stesso posto, gas di scarico e, a piccole dosi, qualche ondata di buon profumo
che qualche donna si sarà spruzzata a casa prima di uscire.
Faccio
tutto quel che devo fare in Nairobi Town, piena di gente, traffico e persone di
corsa, e dedico un po’ di tempo anche a faccende personali su internet per poi
riprendere il matatu per tornare in quel di Kahawa West direttamente a Cafasso
per l’ora di pranzo. Ora, il mezzo di trasporto è meno pieno di gente e respiro
felice in quanto so che sto tornando direttamente a Cafasso, posto che mi
trasmette tranquillità e serenità il più delle volte nonostante sia nel
quartiere delle prigioni: è in mezzo alla natura, non si sentono, se non
raramente, il rumore del traffico e delle macchine, i ragazzi mi fanno sentire
a casa! ...
Un
po’ di sere fa io e Gialu ci siamo guardati un film: Patch Adams e mi ha
colpito questo discorso: “Oltre le quattro dita”.
Patch guarda il bicchiere bucato
del professore Arthur che sta perdendo caffè macchiando una pila di fogli;
prende un adesivo che trova sulla scrivania e lo attacca al bicchiere
riparandolo, questo attira l’attenzione di Arthur che, guardandolo, dice: “Quante
ne vedi?” (dritto con la mano di Patch puntata verso lui)
Patch: “Sono quattro dita, Arthur…”;
ma il professore ribatte:” No no no, guarda me...ti stai concentrando sul
problema, se ti concentri sul problema non vedrai mai la soluzione! Mai
concentrarsi sul problema, guarda me! Quante ne vedi…? Guarda oltre le tue
dita...Quante ne vedi?”
Patch.:”Otto!”
Arthur: “Si si si!!! Otto è una
buona risposta! Si, vedi quello che nessun altro vede, vedi quello che tutti
gli altri scelgono di non vedere! Senza paura conformismo o pigrizia, vedi il
mondo intero come nuovo ogni giorno”.
Il
discorso mi ha aperto un po’ la visione che avevo del mio stare qui, a volte
vedo solo i problemi e non anche le cose belle e positive che accadono senza
tener conto del contesto e di tutte gli altri elementi variabili o meno che ci
sono in questo paese con la sua cultura molto diversa da quella italiana e da
quella che ero stata abituata a vivere fino a quattro mesi fa della mia vita.
Per
il servizio dove stiamo prestando il nostro servizio, molti giorni ora
lavoriamo molto sodo e duramente a volte senza neanche i ragazzi di fianco con
cui parlare, confrontarsi, relazionarsi in quanto le cose non stanno proprio
andando benissimo. A causa della mancanza di soldi e di una buona comunicazione
interna tra lo staff, i ragazzi stanno peggiorando i loro comportamenti in
quanto non soddisfatti del loro stare a Cafasso, i progetti necessitano cura,
unione e voglia di lavorare sodo e rialzarsi di corsa se qualcosa è andato
storto e, per ora, ciò non avviene.
Questo
rende spesso le cose difficili e a volte frustranti in quanto, nonostante il
lavoro che faccio, non riesco a vedere i risultati ma neanche a coinvolgere lo
staff ad avere un atteggiamento più positivo, fiducioso e entusiasta.
Ecco
che allora mi è venuta in mente anche una frase di Madre Teresa di Calcutta che
un amico di Cafasso ripete spesso: “We
ourselves feel that what we are doing is just a drop in the ocea. But if the
drop was not in the ocean, I think the ocean would be less because of the
missing drop”.
A
parte piccoli momenti in cui mi demoralizzo, e penso siano normali, cerco
sempre e comunque di arrivare a Cafasso ogni mattina con un sorriso, tanta
energia e voglia di lavorare sodo così da cercare di trasmetterlo alla staff e
farmi coinvolgere e contagiare dall’entusiasmo che i ragazzi, tramite una
battuta o uno scherzo, hanno dentro di loro scambiandolo con un gesto di cura
nei loro confronti: carezza, abbraccio, scherzo, battuta, sfida a braccio di
ferro, cucinare insieme…
Non
mancano momenti di svago e gioco insieme ai ragazzi, motivo per cui il sorriso
e la speranza non possono mancare, così come la voglia di stare qui.
Un abbraccio a tutti, belli e brutti! :)
Ire