Del passaporto, della libertà di movimento e della pazienza
Mentre si parla dell’accordo UE-Turchia sui respingimenti,
recentemente entrato in vigore (qui), in un
piccolo paese che vive di frontiere porose, un gruppo di persone
attende.
Pensando a quanto sia facile - di norma o forse è un'eccezione? - disporre di un passaporto, muoversi, scegliere dove andare e per quanto tempo, riflettevo sulle persone con cui trascorro le mie giornate.
Pensando a quanto sia facile - di norma o forse è un'eccezione? - disporre di un passaporto, muoversi, scegliere dove andare e per quanto tempo, riflettevo sulle persone con cui trascorro le mie giornate.
Sabaya tra la neve |
Eccezion fatta per questa bella gita, di base le loro giornate ruotano tra i corridoi del 5* piano di un palazzo, con uno spazio sottostante abbastanza grande e solitamente inaccessibile.
Le ragazze, mentre attendono pazientemente il passaporto loro ritirato, ci accompagnano nelle ore che trascorriamo nel centro, ballando e studiando inglese.
Attività queste non imposte loro, ma neanche vissute sempre con troppo entusiasmo, perché i loro pensieri sono sempre rivolti a quel passaporto che aspettano e al volo che le riporterà a casa.
Finalmente lunedì io e Megan, approfittando della rara disponibilità dello spazio, siamo scese con le sabaya e il piazzale a piano terra ha preso vita.
Attività queste non imposte loro, ma neanche vissute sempre con troppo entusiasmo, perché i loro pensieri sono sempre rivolti a quel passaporto che aspettano e al volo che le riporterà a casa.
Finalmente lunedì io e Megan, approfittando della rara disponibilità dello spazio, siamo scese con le sabaya e il piazzale a piano terra ha preso vita.
Open air English |
Il semplice uscire all'aria aperta è stata una piccola conquista condivisa nella più banale semplicità.
In attesa dei nostri amici siriani |
Il secondo gruppo in attesa cui penso viene dalla Siria,
Homs per la precisione.
Le nostre strade si sono incrociate grazie a Relief & Reconciliation (R&R), che lo scorso
sabato ha organizzato una “marcia della pace” nella valle di Qadisha, con
arrivo nel bellissimo monastero di Mar Elisha.
Siamo partiti in sette da Beirut e ci siamo messi in marcia
con i nostri amici venuti dall’Akkar.
Venuti dall'Akkar con difficoltà del tutto diverse per chi, come me, può muoversi senza apparenti limitazioni.
Un check-point tra i tanti può mettere fine ad un "semplice" spostamento all'interno dello stesso Libano, visto che i nostri amici vi risiedono senza regolare permesso.
Quanto è facile limitare la libertà di movimento?
Quasi assurdo pensare che, al contrario delle nostre sabaya, loro hanno il proprio passaporto: ma cosa vuol dire adesso avere un passaporto siriano?
Alcuni, come Sidra, attendono che finisca la guerra in Siria per tornarvi, altri, come Abd elStar, attendono di raggiungere l’Europa tramite resettlement.
Un passaporto siriano ora per alcuni può anche serenamente cadere in un piccolo ruscello, come diceva Suleiman ridendo “Tanto anche se si bagna, fa niente, non mi serve, dove posso andare?”.
Marcia della pace |
La nostra camminata di circa 5 ore (un attimo, 5 ore libanesi eh, quindi pause, pranzo belli seduti al ristorante e tocco finale di arghile) è stata accompagnata da una riflessione da preparare, divisi in gruppi, sui temi della pace, della giustizia, della verità e dell’amore.
Alla fine, giunti al monastero di Mar Elisha, ci siamo
riuniti in cerchio per condividere riflessioni spontanee, e altrettanto
spontaneamente - per chi lo volesse - per recitare il padre nostro e la fatiha.
Pronti per perdersi in lunghe ore di 14 (una pseudo scala
40), scandite dall’ormai rituale della pausa "caffè arabo", che non manca di
commenti circa la nostra preparazione (è troppo forte, non sa di niente, eh ma
la tazzina col manico dov’è?), e di chiacchiere tra persone che iniziano a
conoscersi.
Mi sembra quasi surreale fare una riflessione sul passaporto in relazione a loro, sono semplicemente onorata per il senso di attesa che li lega alla nostra presenza, e per l'ironia che sanno regalarci (video docet).
Questo mio Libano si sta riempendo di facce e nazionalità così sconnesse
tra loro, che a volte perdo l’orientamento.
Il filo comune che trovo tra loro è una grande pazienza, non ci vedo rassegnazione, nell'attendere quel cambiamento che si aspetta,
nell'accettare che il posto dove ci si trova ora, possa per vari motivi diventare
casa o far venire una immensa voglia di casa.
È un passaporto che non si ha, o che si ha e non ha valore, o ancora che non ha ragion d’essere.
Ed è anche una libertà di movimento: da un lato la mia, perché ho deciso di venire qua a spendere un anno della mia vita, ma è soprattutto la loro, che spesso resta intrappolata all'interno di confini e frontiere poco chiari, sospesa tra accordi, muri e respingimenti.
È un passaporto che non si ha, o che si ha e non ha valore, o ancora che non ha ragion d’essere.
Ed è anche una libertà di movimento: da un lato la mia, perché ho deciso di venire qua a spendere un anno della mia vita, ma è soprattutto la loro, che spesso resta intrappolata all'interno di confini e frontiere poco chiari, sospesa tra accordi, muri e respingimenti.
Eppure sapete cosa c'è, è proprio bello vedere in tutte queste persone una voglia
infinita di sentirsi SCONFINATI.
"Tutti i cuori degli uomini
sono la mia identità.
Ritiratemi pure questo passaporto."
M. Darwish
- Mary ha lasciato giovedì l’Olive shelter per il Kenya, dove
cercherà di intraprendere un’attività nel settore dei cosmetici (la foto ci fa
ben sperare che non voglia dedicarsi alla parrucchieria =); non ha ottenuto gli stipendi arretrati che le spettano, ma è partita nonostante ciò con un
sorriso a 583053 denti.
- Abd elStar raggiungerà a breve
Taizé, dove ha ottenuto il resettlement con la sua famiglia.
- Noi, si studia e ci si applica per migliorare la lingua e il caffè
quotidiano con i nonni di Dbayeh… vi toccherà venirci a trovare o partecipare
ai cantieri per sapere il proseguo della storia; intanto esercitatevi e
ripetete battttttikh =)
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