martedì 14 maggio 2019

Biciclette e machismo: viaggio a pedali nella jungla urbana

Per molte persone il muoversi in bicicletta ha un valore multiforme: pedalare in città migliora la vita personale l’ambiente esterno. Va da sé che spostarsi in bicicletta modera il traffico, riduce l’inquinamento, cambia l’assetto della mobilità urbana, ma oltre a questo, ciò che rende davvero speciale lo spostamento in bicicletta è che il paesaggio circostante assume un aspetto diverso. Con quella giusta velocità intermedia fra lo spostamento a piedi e su un mezzo motorizzato, il muoversi in bici permette di avere una visione d’insieme del paesaggio circostante che non tralascia i dettagli. Abbastanza veloci per sentire il vento fra i capelli, abbastanza lenti per godere dei particolari inaspettati che la strada riserva, i ciclisti di tutto il mondo sono concordi nell’apprezzare il valore terapeutico della propria bicicletta. I ciclisti urbani spesso pedalano proprio perché pedalare li rasserena.

Vivo a Managua da tre mesi e, nonostante il mio amore incondizionato per la mobilità su due ruote, ci ho messo un po’ a prendere coraggio per ricominciare a pedalare. Il timore maggiore era dato dalle strade troppo spesso intasate da un traffico crudele e sregolato. Gli incidenti mortali in pieno giorno non sono rari, la segnaletica stradale sì, è rara; i semafori sono spesso un optional, le piste ciclabili non esistono. Non che sia schizzinosa nello scegliere dove pedalare o meno, ma tutti questi fattori, sommati, mi hanno fatto rimandare la decisione di pedalare per mesi. 
Nel frattempo mi sono spostata sempre in bus o a piedi. Mi piace molto camminare, ma devo tristemente ammettere che camminare a Managua è spesso snervante a causa di una buona parte degli uomini che vivono la strada come fossero degli animali in una squallida stagione dell’amore. Per alcuni degli uomini che vagano per le strade di Managua (per molti, oserei dire) il corteggiamento è un atto da praticare costantemente e incondizionatamente, senza la benché minima eleganza ma, anzi, sempre con un tocco di prepotenza. Gli apprezzamenti sono sempre sfacciati e svilenti, e provengono da uomini di qualsiasi età: dal ragazzino appena uscito da scuola all’anziano alla fermata del bus, non si risparmiano nemmeno i padri con figli fra le braccia che, anzi, danno sin da subito il viscido esempio agli innocenti bambini che li accompagnano. Baci e versi salivosi con lingue che cercano sempre una nuova posizione per emettere una vasta gamma di quei suoni che siamo soliti indirizzare agli animali per avvicinarli. E poi fischi, fischi e ancora fischi. Frasi delle più variegate, complimenti coloriti, riferimenti sessuali, sguardi languidi. Il tutto fatto sfacciatamente, senza accenni a nascondersi, anzi, piuttosto avvicinandosi per bene alla faccia della donna prescelta, in modo tale da farle ascoltare al meglio lo schiocco del salivoso bacio che le si sta indirizzando.
È stato anche per questo che ho deciso di riprendere in mano una bici, per provare a superare il trauma da macho-corteggiatore nascosto dietro ogni angolo mentre ci si sposta a piedi. Un amico mi ha prestato la sua bici e ho ricominciato a pedalare.



Mi sono bastate due pedalate per rendermi conto di quanto mi fosse mancato muovermi su due ruote, di quanto il fatto stesso di potermi spostare indipendentemente dai percorsi preimpostati dei bus o dei taxi, mi facesse rivivere una rinnovata autonomia per la quale avevo provato una grande nostalgia. 
Mi sono bastate un paio di pedalate in più per rendermi conto che del machismo callejero non mi ero affatto liberata, anzi. La velocità media fra lo spostamento a piedi e quello motorizzato, permette a chiunque di attuare i suoi viscidi rituali di corteggiamento, indipendentemente da come e se si sta spostando. Motociclisti, taxisti, camionisti, e chi più ne ha più ne metta, tutti mi inviano una suonata di clacson che mi fa sobbalzare sul sellino, rallentano per accostarmisi e farmi un occhiolino, indirizzarmi un bacio o uno dei loro squallidi versi: prendono la mia velocità per fissarmi bene dal finestrino. Gli uomini a piedi mi urlano dietro, in modo tale che il vento non mi impedisca di ascoltare le loro inutili parole. Tutti coloro che ne hanno voglia si sentono in diritto e in dovere di molestarmi, sono solo una donna qualsiasi che va tranquilla per la sua strada. Ho anche un aspetto sobrio e nient’affatto appariscente, ma questo poco importa.

Il machismo in Nicaragua è forte, e spesso è normalizzato sia dagli uomini che dalle donne. Gli atti di volenza sono ricorrenti ed impuniti, La Prensa, il quotidiano nicaraguense più diffuso, riporta di 21 femminicidi registrati nei primi quattro mesi del 2019: uno ogni sei giorni. Le donne in strada, ma anche dentro le proprie case, non sono al sicuro. Trovare il coraggio di denunciare spesso non porta ad altro che alla derisione di un agente che non ti prende sul serio.
Ho continuato a pedalare, e nonostante i fischi, i commenti, i versi, il vento mi passava fra i capelli, il corpo si adattava a una nuova velocità e, pedalata dopo pedalata, la serenità tipica da bicicletta è stata dilagante. Metto da parte la rabbia e mi prendo la libertà di deridere loro e le loro molestie, di ridere sola con me stessa dei loro tentativi di approccio, tanto viscidi quanto vani. Mi concentro sul respiro, sul ritmo dei pedali, su quei dettagli della strada che solo se visti da una bicicletta assumono una luce così bella. Metto da parte la rabbia e Managua mi sembra bella come non l’ho mai vista prima.

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