lunedì 8 marzo 2010

may be a hundred different things



Lei era la figlia del Profeta, moglie di Ali, cugino del Profeta. Vedendo tornare lo sposo con la nuova, giovane e bella moglie, sovrappensiero, mise la mano nell’acqua bollente. Persa nei suoi pensieri, non emise suono. E ritrasse la mano perfettamente sana. Sempre senza proferire suono attese che lo sposo comprendesse il suo dolore. Pazientemente. Alla fine Ali rinunciò alla nuova, giovane e bella moglie per lei, per Fatima.

Lei è regina del Portogallo che cerca un figlio. L'altra è un'altra, famosissima, madre. José Saramago, parlando di entrambe ne ‘Memoriale del convento’ scrive: ‘l’altra, e tanto discussa, incorporea fecondazione è avvenuta senza precedenti solo perché si sapesse che Dio, quando vuole, non ha bisogno di uomini, sebbene non possa fare a meno di donne’.

Lei è morta unannomenounmesepiùungiorno fa. Si chiamava come me. Lei era mia nonna. Vedova troppo giovane, ha allevato sette figlie ed una nidiata di nipoti e pronipoti. Quasi ogni giovedì che il signore le ha dato, lei ha fatto gli gnocchi, per tutti. Se n’è andata solo dopo essersi sincerata che avessimo mangiato tutti, quel giorno. Il giorno in cui è morta, a casa sua, dove la porta non veniva mai chiusa perchè tanto c'è sempre chi entra e chi esce, non c’era un solo uomo.

Lei, dacché mi ricordi, non si è mai ammalata. Oggi mi ha chiesto se le manco. Le ho detto di no. Ovviamente mentivo. Dice che lui l'ha comprato che era già così. Probabilmente si è rassegnata, si è convinta che anche a me mi ha comprata che ero già così. Lei è mia madre. Trent’anni e tre settimane più di me, con una naturale propensione all’altro. Non riesce a pensare a se stessa, non le viene naturale. È sempre stata così. Lo sarà sempre.

Lei è buona. Per quanto si sforzi, resta sempre e comunque buona. Lei è mia sorella. Cinque anni meno di me. Fa gli anni una settimana esatta dopo la mamma. Fa lo stesso lavoro della mamma. Sbuffa, si lamenta, alza gli occhi al cielo, si arrabbia. Ma poi non può fare altro che essere buona. E poi si fa venire le paturnie se il gatto zoppica o mangia meno del solito.

Lei ha aspettato finché ha potuto. Poi si è stufata. Undici anni ha aspettato, credendoci veramente. Poi ha detto basta. Lei è l’amica che mi sono trovata accanto senza volerlo. Che poi al mio fianco, nel bene o nel male, ci restata. Si è indebitata, ora si fa un c**o così per pagare le rate del mutuo, ma di aspettare ancora che l’uomo che aveva si decidesse, non ce la faceva proprio più. E si è fatta fare il bagno tutto rosa.

Lei ha tentato di spiegare le sue ragioni. Che quell’uomo ‘diverso’ era, è e sarà il Suo uomo. Non sono sicura che l’abbiano capito tutti. Ma lei sono dieci anni che continua, pazientemente, a spiegarlo a tutti. Pure alla sua famiglia. Lei è l’amica di sempre, che va, che viene, che resta, per poi partire di nuovo, che sparisce e che poi torna per spartire con me notti intere di chiacchiere in macchina sotto casa a fine serata.

Lei ha cambiato mille strade. Pareva decisa. Non lo era. Camminava a passo svelto, ma forse fuggiva solo da se stessa. O forse solo rimandava scelte, decisioni. Ora la sua scelta, quella definitiva, quella per la vita, vedrà la luce all’inizio di maggio. Come mia madre, come mia sorella. Lei è l’amica con cui litigo, che mi fa da specchio. Che odio ma che amo con tutta me stessa.

Lei è la madre di sua madre. Non è la prima volta che parte. Non è la prima volta che torna. Ha deciso, fortissimamente, di ripartire. Fra qualche tempo sarà troppo tardi, si diceva. Poi ha scoperto che era troppo presto. Le cose della vita non guardano in faccia nessuno. A loro non interessa dove sei, capitano e basta. E a lei è toccato di scappare su di corsa, a sopresa., per ricordare a sua madre che lei c'è, comunque. Lei è l’amica che mi sono ritroviata in casa perché non sapeva dove dormire. Che parla col mio gatto come se fosse il suo. Che mi lava i piatti. Che divide con me il plaid sul divano, le confidenze, il letto che sennò fa freddo. Ti posso abbracciare? Anche no, grazie.

Lei mi ha chiesto in inglese, poco tempo fa, se io fossi femminista. Sono, ancora oggi, molto orgogliosa della mia riposta. Le ho detto che mi bastava essere una femmina. Che la cosa mi pare già abbastanza impegnativa così.

Lei è tutte le altre che non posso elencare.
Lei è tutte le care colleghe che ad ottobre si sono chiuse dietro delle porte che aprire portoni sì, ma sul nulla. Nulla che ora riempiono ogni giorno, poco per volta.
Lei è tutte quelle che ce la fanno, quelle che invece no, quelle che sognano, quelle che partono, quelle che arrivano, quelle che mai più nella vita, quelle che se ti trovo in giro ti investo, quelle che mi vedi grassa?, quelle che non ho niente da mettermi, quelle che sono troppo depressa per fare compere, ci facciamo un gelato/panino/pizza gross@ così?

All’interno del mio braccio destro mi sono fatta tatuare cinque dita, schiuse a formare come un piccolo fiore. Hamza. La mano di Fatima. Sta lì a ricordarmi che certe cose non sono solo biologia, casi della vita (io non credo nei casi della vita), condizionamenti sociali e/o culturali. Io ci credo veramente.


La mimosa è un fiore orribile, che arriva da una pianta orribile e che ha un odore orribile, esteticamente parlando.



Signore, auguri. E grazie.



[Oggi, 8 marzo, esce in Italia 'Donne senza uomini', dell'iraniana Shirin Neshat (sua la foto sopra). Io ci ho scritto sopra la tesi. Se vi capita, andate a vederlo.]


3 commenti:

  1. Grazie Marta,
    c'erano cose che volevo scrivere, ma non erano chiare, e leggere il tuo post mi ha aiutato...

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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