domenica 28 gennaio 2018

BEIT BEIRUT O LE FERITE DI UNA GUERRA


Nel cuore di Beirut, precisamente nel quartiere di Dowtown, sorge una decadente costruzione oggi nota come Beit Beirut, “la casa di Beirut”. Nessuno chiama più quell'edificio col suo vero nome, Palazzo Barakat, anche perché è ormai passato quasi un secolo da quando Nicholas Barakat, nel 1924, commissionò il progetto di questa dimora gentilizia. 

Palazzo Barakat era costituito da otto appartamenti abitati da alcune famiglie della classe media. L’edificio si affacciava sull'angolo formato da due delle arterie principali del traffico di Beirut: Independence Street e la Beirut-Damasco. Probabilmente negli anni Trenta la capitale libanese non era ancora coperta dal pesante velo di smog che si respira oggi e Palazzo Barakat non era esposto alle grida dei clacson come lo è ora. 


Palazzo Barakat doveva sicuramente catturare lo sguardo dei passanti. La pietra dal fragile colore giallo formava sottili colonne che ricordavano vagamente l’architettura greca. Sempre un ibrido, Beirut. Una città posta nel bel mezzo del Mediterraneo e che trae la propria identità dalle contaminazioni, dagli incroci e dagli stili commisti. E con le sue ariose facciate, Palazzo Barakat doveva sicuramente incarnare lo spirito beirutino: la ricchezza mostrata sempre con distratta eleganza. 

Poi accadde. Il 13 aprile 1975 il mondo finì e nessuno sembrava aspettarselo. Eppure la gente doveva sapere. Le guerre non scoppiano mai da un giorno all’altro. Serve ben più di una scintilla, più dei colpi di mitra che lacerarono l’aria di Ain El Rummaneh, quel giorno di primavera. 

Una guerra per procura, naturalmente. C’era Israele che stava cacciando il popolo palestinese dalla sua terra, la Siria con le sue mire espansionistiche e i precari equilibri confessionali in Parlamento. Le guerre scoppiano fra i potenti, ma sono i piccoli che le scontano. In Libano tutti cominciarono a sentirsi minacciati da tutti e nel ’75 iniziò il conflitto. 



Palazzo Barakat divenne suo malgrado un simbolo di guerra. La sua posizione, proprio in corrispondenza della Linea Verde, lo rese la postazione ideale per i cecchini. La sua architettura permetteva ai combattenti di nascondersi fra le sue colonne, di annidarsi nei suoi spazi interni. E da Sodeco altri guerriglieri rispondevano col fuoco, ferendo la facciata di Palazzo Barakat. 

Passarono gli anni e la guerra finì. Ma Beirut era stata ormai profanata. I lutti e le perdite portarono le varie comunità religiose ad autosegregarsi. Così Beirut Est divenne la roccaforte dei cristiani, mentre a Beirut Ovest trovarono rifugio i musulmani. Achrafieh e Hamra divennero i nuovi centri di una città ormai bicefala e Palazzo Barakat perse la sua centralità. 



Ecco cos’è Palazzo Barakat oggi. Una casa fantasma dalle cicatrici indelebili. Durante la ristrutturazione gli architetti hanno rinforzato il suo fragile scheletro con delle protesi di metallo. Ormai disabitato, Palazzo Barakat ha perso la sua alterigia nobile ed è diventato Beit Beirut, un museo della memoria. E con quella strana commistione di pietra e ferro, Palazzo Barakat è diventato ancora una volta lo specchio di Beirut, una città ibrida che si vuole moderna, ma che non riesce mai a sbarazzarsi del suo passato.



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