lunedì 5 febbraio 2018

NUDO



Racconti di permessi di soggiorno


Negli ultimi giorni mi è capitato spesso di dover raccontare, il più delle volte con piacere altre con fatica, l’esperienza in Moldova di questi primi mesi.
L’episodio più ricorrente, l’anedotto che ha scalato la top ten è stato sicuramente quello riguardante la lunga trafila per il permesso di soggiorno. Non si è trattato certo della mia prima richiesta di permesso di soggiorno. Solo al  compimento dei  18 anni infatti, dopo essere nata in Italia sono riuscita ad ottenere la cittadinanza, con tanto di festeggiamenti e squilli di tromba. Pur non essendo la prima volta l'episodio mi ha dato davvero da pensare. Negli ultimi due anni e mezzo di lavoro accanto a persone richiedenti asilo il tema del permesso di soggiorno è stato al centro di tutto, perché puoi organizzare l’orto sinergico più rigoglioso del mondo, il laboratorio di falegnameria creativa e pure il corso di alfabetizzazione più interattivo e all’avanguardia ma se ti rinnegano la richiesta, poche sono le vie di uscita.

Ma andiamo con ordine:
Dopo qualche settimana di soggiorno io e la mia collega di servizio civile siamo state sollecitate dall’associazione Moldava “ Misiunea Sociala Diaconia” in cui prestiamo servizio a presentare domanda per il permesso di soggiorno.
Oltre a tutta una serie di documenti, la stipulazione di una polizza assicurativa, il notaio, il casellario giudiziario vidimato, il gruppo sanguigno…
 La cosa che più mi ha stupita è stato il numero di visite mediche a cui ci siamo dovute sottoporre. Nell’ ordine rx torace, marcatori e test Hiv, visita dal geriartra e visita ginecologica.
Capite bene il disagio di sottoporsi a tutti questi accertamenti senza capire bene la lingua, perché sì il rumeno è facile se poi hai pure fatto latino al liceo è una passeggiata, dicevano. Ma quando ti trovi a dover spiegare ad un medico incredulo perchè nella tua vita tu non abbia mai fatto una radiografia al torace o a far fronte allo sguardo incuriosito della dottoressa che mai nella sua vita ha visitato una persona di colore, allora la storia cambia.
Seduta sul lettino del medico  in deshabillè al piano terra di un ambulatorio di un ospedale di  Chisinau, con le tende aperte e le teste dei passanti così vicine da poterne scorgere i volti e le espressioni mi sono ricordata…
Giardino interno ospedale di Chisinau


Mi sono ricordata la sensazione prima delle file in Questura per il rinnovo del permesso di soggiorno in Italia, poi di tutte quelle volte che  ho accompagnato i ragazzi del centro di accoglienza in cui lavoravo a fare le vaccinazioni, rx, mantoux, esami del sangue e visite mediche. Chiaro  nei centri più virtuosi c’è il mediatore che spiega prima, l’attenzione e il sorriso dell’operatore, ma la sensazione di spaesamento data dal  non capire che cosa stiano realmente dicendo le persone accanto a te mentre tu sei nudo è pesante.
È ancora più pesante perché ad essere nudo sei solo tu, toccato, controllato e scrutato perché diciamocelo quello che interessa è scoprire se sei o non sei un untore. 

Reggersi in piedi, spogliati, nudi per essere riconosciuti e poi accettati è un qualcosa che fatico a digerire.  Si potrebbe discutere sul fatto che ci siano interessi più alti, il bene comune, discutere sul fatto che non sia la procedura ad essere sbagliata ma il metodo e la freddezza con cui viene applicata.. Ma quando sei là nudo mentre l’altro è vestito la prospettiva cambia.
Il senso di miseria che ti si attacca addosso in queste situazioni quando devi rimbalzare da un ufficio all’altro, da un timbro ad un altro timbro che è uguale a quello di prima ma è necessario per avere il timbro successivo, da un ambulatorio all’altro è un po’ come lo sporco sotto il tappeto. Appena prendi il documento butti tutto lo schifo sotto il tappeto ma poi al primo rinnovo, all’ulteriore richiesta di accertamenti tutto torna in superficie. Lo sporco riemerge perché non importa quanto tu abbia studiato ti sia impegnato, abbia imparato la consecutio temporum meglio di qualsiasi altro funzionario che ti siede davanti, la tua è sempre una richiesta e per ottenerla è bene che inizi a spogliarti mentre io ti guardo.

In un paese in cui un fetta impressionante di popolazione emigra all’estero, e vanta il primato più alto tra i paesi europei in materia di emigrazione questo tema ricorre e scandisce le vite di ciascuna delle persone che  ho incontrato. Questa nudità, quest’esame continuo lo vive più di un  quarto della popolazione moldava costretta alla dispora.
In Repubblica di Moldova tutti hanno un parente stretto che vive in un altro stato e che sostiene la famiglia in patria. Legami famigliari costretti a diventare elastici, a deformarsi e a tendersi da una frontiera all’altra.
Ed eccoci, tutto sembra tornare come un circolo vizioso dalla mia storia personale a quella lavorativa da una emigrazione ad un’altra, da un permesso di soggiorno all’altro, un fil rouge che mi accompagna. 

Faustina Yeboah

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