martedì 13 febbraio 2018

La ragazza senza un'identità - SCE Mombasa


Il Lunedì pomeriggio dopo il nostro rientro abbiamo ricominciato con le attività al Mahali Pa Usalama, un Rescue Centre dove vengono accolti bambini e ragazzi allontani dalle famiglie,o perché vittime di abusi o perché provenienti dalla strada. 
Dopo un po’ d'incertezza sull' attività da svolgere, se proporla proprio quel giorno oppure aspettare ancora un po’, alla fine una storia (debitamente tradotta in inglese) ha dato il via alle nostre attività.

Recita così:

C’era una volta una bambina che aveva un nome, come tutti i bambini del mondo: era allegra, vivace e spensierata e andava spesso a giocare in un bel giardino verde. Un giorno lanciò la palla al di là di una siepe e quando andò a cercarla, non la trovò. Cerca qua, cerca là, la palla non c’era: la bambina era stupita e anche un po’ spaventata. Ad un tratto sentì una vocina, in alto: “E’ tua questa bella palla, piccolina?”.
La bambina guardò su e vide un ometto magro seduto a cavallo di un ramo: aveva la palla fra le mani.

– “Certo che è mia. Dammela!” disse la bambina
– “E tu, cosa mi dai in cambio?” 
– “Niente! La palla è mia!”
– “Ma adesso ce l’ho io!”
– “Non ho niente da darti!” disse la bambina
– “Si che ce l’hai: dammi il tuo nome!”.
Pensando che l’ometto scherzasse, la bambina gli disse: “Va bene, te lo do: butta la palla!”. Quello sorrise, lasciò cadere la palla, lei la prese e tornò a casa.
Ma, dopo poco, inizio’ a sentirsi strana. E più strana si senti’ quando si accorse che la salutavano senza più dire il suo nome: poi, pensandoci, si accorse che nemmeno lei lo ricordava. 

– “Mamma, come mi chiamo io?” disse allora la bambina a sua madre. 
– “Tu? Non hai nessun nome!”– disse la mamma. 
La bambina andò a guardare i suoi libri, i suoi quaderni, i suoi giochi e vide che non c’era nessun nome. 
– “Tu, scendi a fare merenda!” gridò la mamma di sotto. 
«La mamma mi ha sempre detto di non chiamare nessuno con un Tu…l’avrà fatto proprio perché io un nome non ce l’ho più…» pensò con tristezza. Allora, piangendo, la bambina prese la palla, andò al giardino e si fermò proprio sotto l’albero. L’ometto era ancora lassù, con la mano chiusa e sorrideva. 

– “Ridammi il mio nome! Ti darò la palla, se vuoi!” gridò la bambina. 
– “Tieniti la palla, piccolina, e anche il tuo nome: e un’altra volta, non darlo a nessuno, capito?”.
L’omino aprí la mano; all’improvviso la bambina ricordò di chiamarsi Antonella e si mise a saltare per la gioia! Corse a casa e la mamma le chiese: 
– “Dove sei andata, Antonella?”
– “Avevo perso una cosa importante, mamma” disse la bambina e lo disse così seria che la mamma le diede un bacio di quelli che fanno rumore.


Roberto Piumini – estratto dal libro “C’era una volta, ascolta”


Una volta terminata la lettura della storia, abbiamo chiesto ai bambini cosa avevano ascoltato … timidamente prima a voce molto bassa, poi con più coraggio abbiamo ripercorso insieme tutti i passaggi della storia. E allora era arrivato il momento di chiedersi: "ma un nome è davvero così importante?", "sì, certo!"; "a te piace il tuo nome?", "si mi piace molto" è la risposta di tutti. "Allora siamo tutti d’accordo che il nostro nome è bello e importante …. ma perché?"; un po’ di silenzio, poi qualcuno dice: "il nostro nome serve per essere chiamati, per non essere solo un TU". "Vero, verissimo … quindi cosa potremmo dire, che il nostro nome è bello e importante ed è prezioso per ognuno di noi perché..."; e una delle ragazze più grandi aiuta tutti dicendo "perché ci fa essere delle PERSONE, ci dà un' IDENTITA'!". 

WOW, che bello sentire questi pensieri uscire dalla mente dei bambini e vederli capire e realizzare che sì, avere un nome e’ più che importante: è un DIRITTO di ogni bambino. Così, come attività finale, ognuno di loro ha colorato e decorato il proprio nome, stampato in lettere doppie,con cura e creatività, cercando di renderlo il più bello possibile!




Torniamo a casa contente e soddisfatte dell'attività e lasciamo trascorrere i giorni della settimana che ci vedono impegnate in ufficio. Giovedì torniamo al Mahali e durante la mattinata aiutiamo nelle lezioni scolastiche della mattina che ci inglobano completamente, perché i più piccoli stanno davvero lottando contro addizioni e sottrazioni! Le ragazze più grandi compaiono ogni tanto, non sono in classe perché stanno aiutando in cucina. Così per tutta la mattina non mi accorgo che manca Jo., la ragazza più grande del centro, colonna portante e guida per i più piccoli, aiuto per le mamas e responsabile della custodia delle chiavi: una ragazza sveglia, brava, curiosa e sempre disponibile a giocare con noi e ad aiutarci con le traduzioni in kiswahili."Jo. dov'è?" chiedo ingenuamente alla mama all'ora del pranzo; "Jo. non c'è. E' andata via!". 



"COME??????" pensa la mia testa "non è possibile, non abbiamo nemmeno potuto salutarla, non si parlava che avesse dovuto andarsene a breve…come mai? E poi non abbiamo nemmeno potuto consegnarle il lavoro del suo nome…si era impegnata così tanto!!". Tutti questi pensieri si manifestano in un: "AH, davvero? Come mai?". La mama mi risponde che nessuno lo sapeva, neanche Jo., la Sister le ha detto la sera per il giorno dopo che sarebbe dovuta tornare a casa e lei ha fatto le valigie e se ne è andata. Le domande nella mia testa arrivano ad una velocità estrema…perché se ne è dovuta andare proprio adesso? Ma è stata reinserita in famiglia? E' da sola? E' in un altro centro? Sta bene? Non resisto e cerco di capirne di più andando a chiedere alla consulente del centro. E così ecco la risposta: Jo. è dovuta tornare a Nairobi per cercare di avere i suoi documenti d'identità

Quando Jo. è arrivata al centro nessuno sapeva da dove provenisse e come si chiamasse. Così all'inizio lei ha detto di chiamarsi con un altro nome e di provenire dal Sud Africa, ma poi la suora ha chiesto di lei al governo del Sud Africa e della sua identità non c'era traccia … era ovvio che non provenisse da lì e che quello non fosse il suo vero nome.

"Ma come, penso io, lei, Jo., la ragazza così brava e affidabile che abbiamo conosciuto che mente sulla sua identità e sulla sua origine?!". Forse un motivo per mentire lo aveva … 

Scopriamo che investigando e facendole molte domande mirate la suora ha capito che Jo. arrivava da Nairobi, da una famiglia molto povera che viveva in strada in una delle baraccopoli di Nairobi. Ora Jo. è dovuta tornare là, a Nairobi, per cercare di ottenere un documento d'identità che le permetta di affrontare gli esami scolastici (senza documento d' identità ti viene negato l'accesso) e trovare qualcuno che le sponsorizzi gli studi e le permetta dunque di tornare a scuola.
E qui un'ultima domanda mi sorge spontanea: "ma Jo. è da sola o c'è qualcuno che la aiuta in tutto questo?". "No, è da sola".

OK, ora io mi immagino Jo., una ragazza di 13/14 anni, che porta sul corpo i segni delle violenze subite e probabilmente nel cuore il macigno di tutto quello che ha passato, da sola, nella baraccopoli, per strada, con una famiglia che non ha niente, nel tentativo di procurarsi dei documenti e un benefattore.
Vorrei correre a Nairobi per aiutarla, cercarla ovunque, chiamarla al telefono, dire alla suora di andarla a riprendere e aiutarla in tutto questo perché da sola non so se ce la farà … ma ovviamente tutto questo è impossibile.
Proprio in quel momento mi torna in mente la storia che abbiamo letto tre giorni prima insieme, sull'importanza di avere un nome, di avere un'identità e mi viene un groppo alla gola … certo che la vita a volte è proprio strana! Chissà cosa avrà pensato Jo. mentre ascoltava quella storia e chissà se potrà esserle d'aiuto nella ricerca della sua identità … io ora posso solo sperare che sia così, pregare per lei e augurarle da lontano buona fortuna!

Chiara Galla  

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