Nuova domenica pomeriggio di
servizio a Kamae Girls, il carcere minorile femminile di Nairobi.
Negli incotri precedenti io,
sister Gertrude e Celestine abbiamo un pò tastato il terreno su cosa interessa
e piace alle ragazze, così stavolta ho portato matite colorate, pennarelli,
penne, matite e fogli, tanti fogli. Alcuni bianchi e altri con disegni
stampati.
Mi hanno spiegato infatti che
alla fine delle lezioni scolastiche le guardie ritirano tutto il materiale,
compreso l’occorrente per scrivere e disegnare, e che un pò queste attività nel
tempo libero mancano a tutte loro.
Così ho deciso di lasciar stare
con le lezioni frontali e con i giochi di gruppo per lasciar spazio ai loro
bisogni e desideri.
E’ stato un successo: il solito gruppetto
di entusiaste attivissime si è fiondato subito sul materiale e ha iniziato a
colorare, ma poi pian piano tutte le altre, ciascuna con i propri tempi,
prendendosi spazi diversi nella stanza, hanno iniziato a dar sfogo alla
creatività.
Per la prima volta mi sono fatta
da parte, stando seduta sulla mia sedia ad osservare invece che buttarmi
nell’attività con loro: volevo osservare, essere pronta a coinvolgere e a
mediare.
Alcune ragazze hanno fatto
gruppetto attorno a me.
Mi ha colpita un tatuaggio sul
braccio di una di loro: un drago che sputa fuoco. E così è iniziata una
conversazione qualsiasi su questo argomento improbabile. Mi ha fatto notare
anche i tre puntini neri accanto all’occhio sinistro che a me, seduta
dall’altra parte, erano sfuggiti:
“Sono lacrime” precisa.
“Lacrime per cosa?”
“Per la mia famiglia”.
Ci sono tanti momenti, da quando
sono arrivata qui in Kenya, nei quali tante sono le domande che si affollano
nella mia mente.
La ricerca di risposte dentro di
me è spasmodica...vorrei tirarle fuori tutte e cercare di capire meglio, di
sapere, di colmare i vuoti che restano.
Ma poi la guardo negli occhi. Sta
sorridendo mentre colora il mandala che ha scelto con tanta cura tra i tanti
disegni. Mi dico che non posso, che non è il momento. Che forse è il caso di
fare un passo indietro e di lasciare che esca solo quello che vuole o che deve
uscire.
E così continuiamo nel gruppo a
chiacchierare del più e del meno.
Una ragazza è stata in Germania.
Si è fermata un mese intero. Per cosa? Per un matrimonio: il matrimonio di sua
zia. La Germania è bella, mi dice....e poi si mangiano tante cose diverse da
qui.
“Li conosci i sandwiches?” mi
chiede.
“Si, li conosco.”
“Li mangiate in Italia? Quali
sono i cibi che mangiate di più in Italia?”.
“La pasta e la pizza”. Rispondo.
“Li conosci?” chiedo immaginando già la risposta.
“Si, li ho mangiati alcune volte,
sono proprio buonissimi!”.
“In Germania?”
“No, qui in Kenya”.
Resto stupita. Per la pasta
ok...la vendono anche qui un pò dappertutto, quindi è facile che l’abbia
mangiata. Ma la pizza? Mi pare strano. Io per ora l’ho vista solo in ristoranti
o locali super occidentali e parecchio costosi. Sarà vero?
Indago.
Questa volta decido che
l’argomento cibo non è poi così personale e mi lancio con le domande per sapere
in che posto l’abbia trovata. Chissà che non mi dia qualche consiglio per un
buon posto dove andare a mangiarla la prossima volta.
Ed è così che parte il racconto,
che più intimo e personale di così non poteva essere.
“Hai presente Kibera?”
“Si, la conosco, anche se non ci
sono mai stata. E’ li che abiti?”
“C’è una discarica a Kibera, una
discarica molto grande. Quando gli aerei arrivano a Nairobi hanno sempre tanto
cibo avanzato e lo scaricano li. Buttano tutto nella discarica. E’ li che ho
assaggiato tutti i cibi dell’Europa. Il mio preferito è il sandwich...dentro ci
sono i pomodori, altre verdure...e soprattutto il formaggio! Ti piace il
formaggio?”.
“Insomma...i sandwiches mi
piacciono, ma il formaggio non tanto. Ma sono ancora buoni questi cibi quando
arrivano alla discarica?”
“Certo! Quando sei molto
fortunato sono ancora chiusi nella confezione. Allora tu apri la scatola e lo
trovi perfetto, e lo puoi mangiare tutto. E’ davvero buono!”.
In quel momento arrivano altre
ragazze a mostrarmi i loro disegni. Una di loro ha deciso di usare la scritta
“Love” tempestata di cuori come sfondo per una lettera indirizzata alla
sua mamma “per chiederle perdono per tutto quello che le ho fatto passare”.
Un’altra ha un messaggio per il
fidanzato. Mi chiede se può scrivere qualcosa per lui e tenere i foglio o se
poi alla fine deve per forza darmelo. Rido. La rassicuro, e torna felice a
scrivere le sue dichiarazioni d’amore che forse mai verranno spedite.
Mi ricorda un pò me.
Anche io ho un pò questa mania di
scrivere anche quando le mie lettere non verranno mai lette.
Ma poco importa: la cosa che
conta è scrivere.
Mettere nero su bianco i pensieri
per dargli un’ordine e una forma.
Quello che sto facendo ora
infondo.
Per cercare di fissare nella
memoria questa storia, per cercare di ricordarmi di lei la prossima volta che
sarò sull’aereo e pur non avendo fame mi verrà la tentazione di aprire e
assaggiare due bocconi giusto per sentire di non aver sprecato i soldi del
pasto.
Forse sarà meglio lasciar stare.
Mangiare davvero solo se avrò fame, e il resto evitare di “pastrugnarlo” e
lasciarlo nella confezione.
Di sicuro qualcosa me l’ha
insegnato.
Anche se a questo punto in questo posto a Kibera
a mangiare la pizza
io non credo di volerci andare mai.
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