Se al mattino, quando esci dal letto ed entri in bagno, ti guardi allo spekkio e non tè cresciuta l’abituale peluria sopra le labbra i casi sono 2: o ti 6 risvegliato intrappolato in un corpo d donna, o la notte è stata troppo breve.
Parto ingranando una prima lunghissima, tipica d qei giorni in cui mi alzo prima d svegliarmi. Il motore mi si spegne un paio d volte: prima sulla veranda di Abbagirma, men3 lo aspetto con un anticipo degno d maldini e colloco su 2 ciokki d legno il mio corpo debole d 4 ore d sonno, nella sua veranda. Così una ragazza della casa lo kiama: “Un ferengi sta dormendo in veranda”; non è mai successo e non sa bene come comportarsi.
Poi ricrollo in makkina, prima kei miei compagni di equipe carceraria (Girma Carmel Marta) non mi presentino un piatto di uova strapazzate d cui non riesco ad approfondire la conoscenza x’ in uno skiocco d pane (niente posate) non c’è +. Desolato come il Trikeco d Alice nel Paese delle Meraviglie dopo essersi divorato le Ostrikette Curiose, metto la seconda. Le mie zinne iniziano a catturare l’attenzione d qualcuno. I baffi la mettono in fuga.
La giornata d oggi è struggentina, d quelle ke paiono un po’ scritte, e infatti voi la leggete; se lo fate in italiano mal finisce; in etiope benfinisce. Il fatto è ke un lustro fa è morta la mamma d Kalkidàn, già orfana di padre: la ragazzina, ultima d 7 fratelli, si mette così al servizio d un benestante ke la prende in casa e dopo qke anno la mette in cinta senza passare dal mia; “Mia moglie non c’è, cosa ne dici se?”. Una violenza carnale dal quale la 19enne corre via devastata, non prima d avere cattato qke souvenir.
Per questo furto viene incriminata, e a nulla servirà la sua controdenuncia di stupro: niente soldi niente testimoni; lo stesso motivo per cui non era corsa subito dalla polizia. Si prende 10 mesi d carcere, all’8° dei quali è raggiunta da Pascàl, giovane cucciolo d uomo, i cui okkietti perlustratori sono all’insaputa d come diavolo ha fatto ad arrivare quaggiù. In prigione. Al via.
Che però almeno è un posto dove stare: qdo Kalkidàn tra 2 mesi, a maggio 2008, esce da qua sa ke non sa dove andare. E con lei Pascàl. Per fortuna conosce le gentili infermiere della cappellaneria, il cui fare materno la persuadono a confidarsi, a kiedere aiuto. Da cui l’idea del mettere Pascàl in una casa d’accoglienza: è piccolissimo, figlio unico (le adozioni non possono dividere dei fratellini), ha buone possibilità di essere scelto.
Martedì questa storia ha avuto fine. Kalkidàn dalla casa d una poliziotta dove ha vissuto qsti giorni è tornata in prigione x firmare i documenti. E per lasciare Pascàl a noi. Lei ha pianto a dirotto, ma io sono stato lontano: finito il counselling mi son guardato bene dall’ingombrare le sue ultime ore col figlio. Poi però ha iniziato a piovere scriteriatamente, grandinando severamente, e allora sono entrato in quella stanzetta.
Loro 2 famiglia, l’infermiera, un ragazzo ke ci aiuta nelle nostre attività e ke sarebbe stato dimesso il giorno dopo (ha investito un bambino ke si lanciò per strada mentre lui stava guidando). Lui era eccitatissimo, è un caso raro: uscendo dalla prigione avrà un lavoro e una vita normale. Kalkidàn invece non era. Guardava solo in basso, sulle sue gambe. Fuori una gragnola d proiettili d ghiaccio. E io ero lì, ke poi qdo si è stanki si accusa d +. E io accusavo. Accusavo una realtà in cui stava prendendo luogo la tragedia del separare una madre da suo figlio. Una madre talmente povera ke non si può permettere il lusso di amare il suo bambino. Almeno nel modo ke io ritengo giusto. È la povertà vera. Devo solo rispettarla.
Diamo a Kalkidàn anke un passaggio col pajero. All’altezza della casa della poliziotta salta giù. Niente ultimo saluto al fagottino dormiente, o una carezza, o uno sguardo. La vedo camminare decisa, quando si volta incrocia i miei okki ke la seguono dal fuoristrada in corsa: se parlassi oromifa m’insulterebbe? Forse non direbbe niente. La povertà vera non parla.
E sono io ke anke stavolta sono dispari: l’ufficio è entusiasta d essere riuscito a vincere la burocrazia etiope, di avere indirizzato Pascàl verso una vita possibile. Sanno tutti di avere fatto la cosa giusta, è così. Dev’essere così.
Ma sono troppo stanco, non cela faccio. Nell’orfanotrofio in cui noi lasciamo a nostra volta il fagiolo, lui si svelia; nella stanza dei neonati ne conto una ventina, uno dei quali idrocefalo, testa gigante e cervello pigiato dall’acqua; passa il giorno ad ascoltare musica dalle cuffie. Un angelo, diceva Mirco 10 anni fa al Little Heaven.
Pascàl non ha mai bevuto dal biberon e percepisce ke c’è qcsa ke non va. Forse per un paio d giorni manterrà un vago ricordo della mamma, prima ke qsta venga sostituita da una suora tedesca o da una coppia americana, volenterosa e sterile, ke un giorno si sentirà kiedere: “Sì, ma io sono figlio d ki?”. La suora tedesca a qel pto sarà morta, la cappellaneria avrà kiuso da un pezzo e cmqe nessuno potrà risalire a qsta giornata.
A questa bella giornata in etiope.
Parto ingranando una prima lunghissima, tipica d qei giorni in cui mi alzo prima d svegliarmi. Il motore mi si spegne un paio d volte: prima sulla veranda di Abbagirma, men3 lo aspetto con un anticipo degno d maldini e colloco su 2 ciokki d legno il mio corpo debole d 4 ore d sonno, nella sua veranda. Così una ragazza della casa lo kiama: “Un ferengi sta dormendo in veranda”; non è mai successo e non sa bene come comportarsi.
Poi ricrollo in makkina, prima kei miei compagni di equipe carceraria (Girma Carmel Marta) non mi presentino un piatto di uova strapazzate d cui non riesco ad approfondire la conoscenza x’ in uno skiocco d pane (niente posate) non c’è +. Desolato come il Trikeco d Alice nel Paese delle Meraviglie dopo essersi divorato le Ostrikette Curiose, metto la seconda. Le mie zinne iniziano a catturare l’attenzione d qualcuno. I baffi la mettono in fuga.
La giornata d oggi è struggentina, d quelle ke paiono un po’ scritte, e infatti voi la leggete; se lo fate in italiano mal finisce; in etiope benfinisce. Il fatto è ke un lustro fa è morta la mamma d Kalkidàn, già orfana di padre: la ragazzina, ultima d 7 fratelli, si mette così al servizio d un benestante ke la prende in casa e dopo qke anno la mette in cinta senza passare dal mia; “Mia moglie non c’è, cosa ne dici se?”. Una violenza carnale dal quale la 19enne corre via devastata, non prima d avere cattato qke souvenir.
Per questo furto viene incriminata, e a nulla servirà la sua controdenuncia di stupro: niente soldi niente testimoni; lo stesso motivo per cui non era corsa subito dalla polizia. Si prende 10 mesi d carcere, all’8° dei quali è raggiunta da Pascàl, giovane cucciolo d uomo, i cui okkietti perlustratori sono all’insaputa d come diavolo ha fatto ad arrivare quaggiù. In prigione. Al via.
Che però almeno è un posto dove stare: qdo Kalkidàn tra 2 mesi, a maggio 2008, esce da qua sa ke non sa dove andare. E con lei Pascàl. Per fortuna conosce le gentili infermiere della cappellaneria, il cui fare materno la persuadono a confidarsi, a kiedere aiuto. Da cui l’idea del mettere Pascàl in una casa d’accoglienza: è piccolissimo, figlio unico (le adozioni non possono dividere dei fratellini), ha buone possibilità di essere scelto.
kalkidàn & pascàlino |
Martedì questa storia ha avuto fine. Kalkidàn dalla casa d una poliziotta dove ha vissuto qsti giorni è tornata in prigione x firmare i documenti. E per lasciare Pascàl a noi. Lei ha pianto a dirotto, ma io sono stato lontano: finito il counselling mi son guardato bene dall’ingombrare le sue ultime ore col figlio. Poi però ha iniziato a piovere scriteriatamente, grandinando severamente, e allora sono entrato in quella stanzetta.
Loro 2 famiglia, l’infermiera, un ragazzo ke ci aiuta nelle nostre attività e ke sarebbe stato dimesso il giorno dopo (ha investito un bambino ke si lanciò per strada mentre lui stava guidando). Lui era eccitatissimo, è un caso raro: uscendo dalla prigione avrà un lavoro e una vita normale. Kalkidàn invece non era. Guardava solo in basso, sulle sue gambe. Fuori una gragnola d proiettili d ghiaccio. E io ero lì, ke poi qdo si è stanki si accusa d +. E io accusavo. Accusavo una realtà in cui stava prendendo luogo la tragedia del separare una madre da suo figlio. Una madre talmente povera ke non si può permettere il lusso di amare il suo bambino. Almeno nel modo ke io ritengo giusto. È la povertà vera. Devo solo rispettarla.
Diamo a Kalkidàn anke un passaggio col pajero. All’altezza della casa della poliziotta salta giù. Niente ultimo saluto al fagottino dormiente, o una carezza, o uno sguardo. La vedo camminare decisa, quando si volta incrocia i miei okki ke la seguono dal fuoristrada in corsa: se parlassi oromifa m’insulterebbe? Forse non direbbe niente. La povertà vera non parla.
E sono io ke anke stavolta sono dispari: l’ufficio è entusiasta d essere riuscito a vincere la burocrazia etiope, di avere indirizzato Pascàl verso una vita possibile. Sanno tutti di avere fatto la cosa giusta, è così. Dev’essere così.
Ma sono troppo stanco, non cela faccio. Nell’orfanotrofio in cui noi lasciamo a nostra volta il fagiolo, lui si svelia; nella stanza dei neonati ne conto una ventina, uno dei quali idrocefalo, testa gigante e cervello pigiato dall’acqua; passa il giorno ad ascoltare musica dalle cuffie. Un angelo, diceva Mirco 10 anni fa al Little Heaven.
Pascàl non ha mai bevuto dal biberon e percepisce ke c’è qcsa ke non va. Forse per un paio d giorni manterrà un vago ricordo della mamma, prima ke qsta venga sostituita da una suora tedesca o da una coppia americana, volenterosa e sterile, ke un giorno si sentirà kiedere: “Sì, ma io sono figlio d ki?”. La suora tedesca a qel pto sarà morta, la cappellaneria avrà kiuso da un pezzo e cmqe nessuno potrà risalire a qsta giornata.
A questa bella giornata in etiope.
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