venerdì 11 aprile 2014

Rayfoun: il mondo in quattro mura.




 La nostra settimana libanese ci vede coinvolti in tre diverse attività. La prima realtà di cui vorrei parlarvi è lo shelter di Rayfoun, un paese sulle colline solitamente abitato in estate dalle famiglie benestanti che sfuggono dall’afa della città. A tre anni dall’inizio della guerra in Siria la popolazione è molto cambiata, anche qui infatti è difficile non incontrare donne e uomini siriani. Quelle che fino all’estate scorsa erano scheletri di nuove abitazioni non finite e disabitate ora invece ospitano le numerose famiglie.

Il centro Caritas accoglie numerose migrant workers, ossia lavoratrici provenienti da paesi molto diversi che condividono la sfortuna di storie infelici con il datore di lavoro e ora sono senza passaporto in quanto “sequestrato” dal datore. In Libano, come in altri paesi del medio oriente, per poter migrare e lavorare è necessario avere uno sponsor, ossia qualche cittadino che si prenda la responsabilità e che garantisca un impiego. Tale figura ha un’importanza vitale dal punto di vista giuridico e non solo in quanto dalla sua “benevolenza” dipende la libertà del migrante. Le collaboratrici domestiche sono in continua crescita in tutto il mondo, non di meno qui in Libano dove rappresenta fortemente una questione di status sociale. Nei centri commerciali, nelle macchine, per strada…ovunque è possibile osservare quanto sia diffusa la presenza di una donna straniera nel nucleo famigliare.

Tra le 4 mura di Rayfoun si trova il mondo intero. Filippine, Togolesi, Keniote, Nepalesi e non solo…un numero di persone estremamente variabile che varca il cancello, in modo più o meno volontario, per cercare un aiuto burocratico, ma anche psicologico e sanitario.
molte hanno la mia età, 23 anni, alcune anche più piccole, molte ancora raccontano di avere figli e non manca mai il velo di tristezza dicendoti i nomi e l’età, qualche volta mostrando anche le foto di questi bambini.




Una volta fatte le dovute presentazioni, non tardano molto a raccontare le loro storie. Qualcuna è in Libano da pochi mesi, altre, più fortunate forse, da anni.
Assunte come donne delle pulizie, troppo spesso si sono trovate davanti a famiglie che non le trattavano come esseri umani, obbligandole a pulire la casa più volte al giorno, (le metrature libanesi medie sono circa di 200 mq. Nda), senza pause, talvolta anche senza cibo, facendole dormire sul pavimento dello sgabuzzino o della cucina o, ancora, discriminandole per il colore della pelle. Scappando o venendo cacciate di casa, le lavoratrici perdono i propri documenti in quanto per legge lo sponsor può detenere il passaporto dal momento in cui arrivano in aeroporto. Inizia così per loro un vero e proprio limbo, un tempo indefinito, scandito dall’attesa delle diverse burocrazie in cui vengono ospitate nel centro Caritas, in cui per lo meno hanno accesso a pasti regolari, cure e protezione.

Forse a questo punto sorge spontaneo chiedersi perché sono partite dai loro paesi per andare incontro a tali sfortune. A dispetto di quanto qualcuno possa pensare raramente provengono da condizioni di miseria. Molto più spesso sono donne con un sogno, un’aspirazione. Il desiderio di accumulare qualche soldo in più e potersi così permettere maggiori strumenti per il proprio futuro o quello della propria famiglia, per potersi ripagare gli studi o per pagarli ai figli…insomma desideri che ciascuno di noi ha: indipendenza, autonomia, emancipazione

Un’altra domanda potrebbe essere se non sia possibile informare le persone prima che partano. Esistono agenzie che si occupano di fare da ponte tra la lavoratrice e lo sponsor e sono il primo veicolo di informazioni per queste donne. Molto spesso però tali informazioni sono parziali e non del tutto vere, oppure ciò che le donne firmano nel contratto non viene assolutamente rispettato dal datore, il quale appunto ha la possibilità di fare tutto rimanendo per lo più impunito.
loro stesse pensavano di essere le uniche con questa sfortuna invece, entrate nello shelter, si sono subito accorte di quanto sia comune questo problema.
Nel raccontare, la loro voce è arrabbiata, delusa, malinconica ma nello stesso tempo mai rassegnata. Mentre la mia mente rimane sbigottita da quello che mi pare irreale, mi sorprendo quando alcune donne cambiano tono, iniziando a scherzare, mettendoci un po’ di ironia, qualche risata, come a voler alleggerire la storia che hanno sulle spalle. Mentre tu vorresti abbracciarle e piangere,  loro sorridono e ti insegnano come affrontare le situazioni veramente difficili.


Stefano e la ginnastica mattutina :)



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