Sono due mesi di Moldova, due mesi lontano da casa, due mesi
di una nuova quotidianità che poi mi fa sentire a casa anche qui.
E, inevitabilmente, non riesco a non pensare a tutti quelli che
una casa non ce l’hanno. Allora i miei pensieri si focalizzano sulle facce,
ormai diventate familiari, di un gruppetto di senzatetto che tutti i pomeriggi
aspettano da noi un pasto caldo; meglio se è una zuppa, che con questo freddo
pungente ti riscalda pure un po’. Nella
mia testa li ho soprannominati “la famiglia dei Boschettari”, perché più che la
mancanza di una casa, che anche quella è fondamentale, mi fa più paura pensarli
soli, la notte, senza neanche un viso a cui pensare.
E confesso che a volte ci penso, alla classica domanda che
nasce spontanea su tutti noi quando ci troviamo davanti ad una persona sporca,
coi vestiti bucati e la barba troppo lunga: ma come ha fatto a finire in
strada? Avrà fatto degli sbagli? Più di quanti tutti i giorni ne facciamo noi?
(Che poi: chi giudica a chi giudica?)
La risposta non ce l’ho, e va bene così, magari un giorno saranno loro a raccontarmelo, ma solo perché lo vorranno. Magari non me lo diranno mai, ma per me è lo stesso.
Nel frattempo mi fermo e mi metto a guardare i loro
occhi vispi; negli occhi non c’è sporcizia, non c’è nessun abito bucato o una
barba incolta. C’è solo un uomo. E mentre si avvicina con la mano tesa, non
sono sicura che abbia fame solo di cibo. Mi piacerebbe mettere nel piatto anche
una carezza affettuosa, un abbraccio caldo e un po’ di sogni per il futuro. E’
così bello poter permettersi il lusso di pensare al domani, chissà come se lo
immaginano loro; e se provano paura o rassegnazione, non è proprio giusto: il
futuro deve essere di tutti.
Mentre ha preso il suo piatto e si è seduto a mangiare, però, ho fatto un’altra scoperta: tra me e il Cielo c’è un tetto di mezzo, invece
lui.. Lui è più vicino al Cielo!
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