“sei
sposata”
“quanti
figli hai?”
“quanto
dista roma dall'Italia?”
“ma
da voi ci sono gli street children?”
“davvero
c'è disoccupazione in italia?”
“ci
sono le sirene da voi?”
“ma
anche tuo padre è mzungu(bianco)?”
Queste
sono alcune delle tipiche folli domande che ci vengono fatte da
quando siamo arrivate. E il problema è che è difficile rispondere.
Se fossi in Italia magari riderei al solo sentirle, ma
qui alcune non fanno poi tanto ridere. Però queste domande, e le relative risposte rappresentano un incontro.
Mi sono interrogata spesso sul
senso di cultura intercultura intracultura ma, come dire, finché
non ti trovi nel mezzo a tutta questa roba non capisci fino in fondo. E tutt'ora continuo a chiedermi: cos'è la
cultura? Che forma ha? È come uno zaino di cui ci portiamo il peso
sulle spalle o come un paio di occhiali attraverso i quali guardiamo
il mondo o come un corso d'acqua che cambia continuamente forma ma
viaggia sempre sullo stesso percorso. Certo quest'ultima immagine
sembrerebbe la più adatta all'incontro con le altre culture
(immagino dei corsi d'acqua che si incontrano si mescolano si
ridividono). E' anche vero però che l'acqua è un elemento troppo
libero per paragonarlo ad una cultura che a volte sembra più una
corda.
Ci
provo con tutta te stessa ad essere priva di giudizi ad abbracciare
la cultura che mi ospita con estrema umiltà apertura e voglia di
imparare ma, ogni tanto, non posso fare a meno di arrabbiarmi,
imbarazzarmi, sentirmi frustrata, spiazzata, meravigliata o senza
parole. Quel poco che ho capito da quando sono qui è che devo
togliere i miei occhiali e cambiare modo di vedere le cose. Ogni
volta che mi sembra di aver capito qualcosa, sono costretta a
cambiare direzione di pensiero e ricominciare il ragionamento da
capo.
Ad esempio, una questione che mi ha profondamente spiazzato nonostante la mia
preparazione, e mi fa salire una rabbia folle, è il convivere con
bambini che vivono in strada. Gli street children. La società,
la comunità, il vicino di casa, io stessa e il mondo intero, chiunque dovrebbe avere
il dovere in quanto essere umano di aiutare e prendersi carico di un
bambino che non ha una famiglia e un posto dove stare.
È contro natura per il mio modo di pensare, e invece qui è il quotidiano. E questo vale per gli slum, la gente che vive nelle discariche e molte altre forme di povertà estrema che si trovano qui. E questa povertà qui convive a braccetto con il lusso o comunque con certi stili di vita a là occidentale. Tra questi estremi ci sono io che non riesco a collegarli, non sono capace di capire come possano coesistere. Anche da ciò ho capito veramente quanto la nostra etica sia strettamente collegata alla piccola realtà nella quale viviamo. Molto probabilmente non devo capire, solo accettare questa realtà così com'è, ma anche questa non è cosa da poco.
È contro natura per il mio modo di pensare, e invece qui è il quotidiano. E questo vale per gli slum, la gente che vive nelle discariche e molte altre forme di povertà estrema che si trovano qui. E questa povertà qui convive a braccetto con il lusso o comunque con certi stili di vita a là occidentale. Tra questi estremi ci sono io che non riesco a collegarli, non sono capace di capire come possano coesistere. Anche da ciò ho capito veramente quanto la nostra etica sia strettamente collegata alla piccola realtà nella quale viviamo. Molto probabilmente non devo capire, solo accettare questa realtà così com'è, ma anche questa non è cosa da poco.
Poi
per esempio rimango colpita, non in senso negativo, dalla
apparente inerzia di molti uomini che se ne stato tutto il giorno
fermi sdraiati da qualche parte o a giocare a dama. È strano da vedere
per me che vengo da una società nella quale se non corri sei un
vagabondo, uno scansa fatiche, un poco di buono. Da noi tutto è
scandito da orari: quelli delle lezioni, del treno, del cinema, del
lavoro...
Qui il tempo ha un senso diverso e quando provo a
pianificare qualcosa c'è un imprevisto che fa sballare i miei
piani. E
anche la reazione della gente alle avversità è una cosa che mi
stupisce enormemente. E non sto parlando di fatti gravi, solo di cose
semplici della vita di ogni giorno: l'autobus che prendi fa un
incidente, si incaglia in una delle immense voragini della strada,
viene fermato dalla polizia che fa scendere tutti oppure si ferma in
mezzo al niente tra Malindi e Mombasa e non riparte più (parlo per
esperienza personale...).
Ecco la gente in questo caso che fa?
Niente. Si ferma e aspetta che tutto si risolva. Nessuno urla,
nessuno impreca, nessuno perdere la pazienza. Tutti aspettano che la
situazione si risolva. Perché qui in Africa prima o poi sembra trovarsi una soluzione per tutto. E le attese vuote sembrano non dar fastidio proprio
a nessun mentre a me hanno sempre creato una certa dose di ansia.
In
ultimo, mi meraviglia la città in cui vivo. Mombasa è un luogo
dalle mille facce che mi stupisce in continuazione. Giri l'angolo e
sembra di stare in Medio Oriente, poi nella savana africana, in un
villaggio masai, in un resort extralusso di qualche isola caraibica, di fronte alla peggiore discarica o in India a pregare in un tempio
indu. Qui convivono 42 tribù con altrettante lingue diverse e un
discreto
numero di religioni e usanze religiose diverse, tutte le gradazioni di pelle che si possono immaginare e tanto altro ancora. E tutto ciò avviene in maniera naturale. Vedere queste interazioni ha su di me un effetto molto potente perché ritengo di appartenere ad una cultura generalmente omogenea e omogeneizzante. Lo società in cui vivo richiede la omologazione a valori, tradizioni e interessi comuni e poco differenziati. E l'integrazione è una parola spesso priva di significato concreto o comunque che contiene molti ambigui significati.
numero di religioni e usanze religiose diverse, tutte le gradazioni di pelle che si possono immaginare e tanto altro ancora. E tutto ciò avviene in maniera naturale. Vedere queste interazioni ha su di me un effetto molto potente perché ritengo di appartenere ad una cultura generalmente omogenea e omogeneizzante. Lo società in cui vivo richiede la omologazione a valori, tradizioni e interessi comuni e poco differenziati. E l'integrazione è una parola spesso priva di significato concreto o comunque che contiene molti ambigui significati.
Per
questo mi sento spesso in difetto, come se la mia cultura di
appartenenza non fosse abbastanza allenata all'incontro con questo
mondo e questo immenso agglomerato di culture, apparentemente
schizofrenico ma, in un suo modo bellissimo, dotato di incredibile
armonia. Riassumendo, il rapporto della mia cultura, qualunque forma
essa abbia, è fatto di costanti contraddizioni, momenti bellissimi
di incontro e meraviglia e momenti di forte rabbia e frustrazione.
Sarà questa costante contraddizione che mi rende ogni giorno più affamata di stare qui.
Mari
Sarà questa costante contraddizione che mi rende ogni giorno più affamata di stare qui.
Mari
Nessun commento:
Posta un commento