Ci sarebbero molte, troppe cose da dire se si volesse
descrivere un paese come il Nicaragua.
Ripensando a quello che ho visto e vissuto sulla mia pelle
in questo mese sono giunto alla conclusione che ci siano 3 frasi che possono
dare un’idea, sebbene parziale, di quello che è uno dei paesi più romantici e
tormentati del centro america, una delle ultime fortezze della rivoluzione, in
questo caso quella sandinista.
“Cuánto vale esto?”
Me lo sono sentito chiedere spesso. Molte volte i bambini
con cui lavoravamo si distraevano guardando i miei tatuaggi con due domande ben
fissate in testa: la prima era se fosse un segno del diavolo, sì perché in Nicaragua
è molto forte la credenza in Geova e nella mitologia che lo circonda di cui non
sono conoscitore e che non intendo certo spiegare adesso; l’altra domanda
ancora più frequente è sempre stata “quanto ti sono costati?”.
In un paese in cui un medico guadagna 200 dollari al mese si
può ben immaginare quali siano le difficoltà per la popolazione di classe media
e bassa ad arrivare a fine mese, nel barrio di Nueva Vida e nello specifico nel
centro redes de solidaridad, dove abbiamo lavorato, la retta della scuola è di
3 dollari al mese e molti genitori fanno fatica a pagarla.
Tra le case in lamiera e i rigagnoli di agua negra però si
incontrano quasi sempre sguardi felici e pieni di curiosità per la vita, sguardi
di bambini di età che varia tra i 3 e i 12 anni ma che sembrano averne viste
tante, troppe da poter dimenticare, sguardi di chi spesso ha perso l’innocenza
ma non la gioia di vivere e la speranza, gli sguardi dei bambini di redes.
“Gracias por visitar Nicaragua”
La prima volta me lo sono sentito dire in un bar a Leòn
mentre mi apprestavo con le mie compagne di viaggio a bere una birra, al tavolo a fianco una famiglia
piuttosto numerosa si è girata e ci ha detto a più riprese di essere molto
felice che stessimo visitando il loro paese (non sapevano fossimo volontari).
La cosa che più mi ha colpito ripensandoci nei giorni
seguenti è stata come in effetti dopo le proteste terminate in carneficina
dell’anno scorso praticamente non ci sia stato turismo in Nicaragua. Avrò
visto 20 gringos come me in un mese in 6 località diverse, e questo per un paese
la cui economia va a rotoli, che non ha
piani di riqualificazione dignitosi per i quartieri della capitale se non il
montaggio di centinaia di orrendi alberi finti in metallo che si illuminano la
notte voluti dalla moglie del dittatore che è attualmente al governo, mentre la
gente muore di fame, non è affatto un bene.
Proprio per questo la gente per bene ti ringrazia quando ti
incontra, perché vuole che si sappia che in Nicaragua ci sarà sempre posto per
chi viene rispettando la natura e le persone, con l’obbiettivo di scoprire un
paese tra i più belli che io abbia mai visto.
“Que se rinda tu madre”
Dagli anni '60 per 30 anni è stato il grido del Fronte Sandinista che chiedeva libertà contro il regime di Somoza, uno dei mille
piccoli dittatori insignificanti che sono comunque riusciti a infliggere enorme
dolore e che purtroppo hanno popolato questo pianeta.
Dopo la fine della guerra fredda e altre vicissitudini che
non sta a me raccontare si arrivò al punto in cui Daniel Ortega salì al potere
e come ci insegna la storia fu corrotto a tal punto che ormai, nel 2019, la
grande rivoluzione del proletariato iniziata negli anni '60, si è trasformata in
una dittatura spietata, un cancro in seno al centroamerica, una piaga purulenta
che ha portato alla morte di 400 persone circa l’estate scorsa, solo perché
protestavano PACIFICAMENTE, la UCA (Universidad Centro Americana) ha perso tutti i
fondi statali e le borse di studio essendo stata inquadrato come focolaio
principale di questi moti.
La policìa militar ha sparato indistintamente su uomini, donne e bambini. Sì bambini che non potevano essere curati in ospedale, pena il
licenziamento (a voi capire in che senso) del medico.
Oggi “que se rinda tu madre” è diventato il grido di chi non
tollera più questo governo fantocci
o che altro non è che una cricca della
famiglia Ortega, oggi “que se rinda tu madre” letteralmente “che si arrenda tua
madre” lo leggi scritto sopra i muri nelle periferie, nei barrios, sui muri delle
università, ed è diventato un grido di rabbia e di disperazione, un grido di
guerra, quella che nei prossimi anni potrebbe dover affrontare Daniel Ortega per
le strade di tutto il paese.
Perché se in molti si sono piegati per soldi paura, e potere, in molti altri non si sono ancora arresi.
Alessandro Prato Previde
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