Cara Halat,
avrei voluto salutarti con un abbraccio venerdì e invece ho in mente il tuo viso dolce che si affaccia dalla finestra della stanza nel campo profughi di Sid e mi saluta commossa, fisicamente distante ma emotivamente vicina.
Da quella finestra ringrazi tutti noi cantieristi per essere stati con voi in queste settimane, e io non so cosa replicare. Sono sprovvista di parole. Avevo preparato un biglietto che avrei voluto darti di persona. C’era semplicemente scritto “Thank you for the time spent together. I hope the best for you and your family”. Ma non c’è stato il tempo, né la possibilità.
Di fatto siamo state insieme due pomeriggi. Poca cosa, se si quantifica il tempo; un Dono immenso, se si qualifica il tempo. Ed è proprio con la seconda opzione che scelgo di guardare il tempo trascorso insieme.
Sei stata per me un Dono, un Dono grande, soprattutto per la fiducia che hai saputo darmi. La domanda “What is home?” ci ha accompagnato per tutto il Cantiere e una delle parole con cui mi sento di rispondere è: “intesa”, quell'intesa che c’è stata fin da subito tra me e te, un’intesa che va oltre la lingua che si parla, un’intesa fatta di sguardi e sorrisi che quando c’è ti riporta a “casa”.
Ricordo con affetto uno dei primi giorni al campo di Sid quando sei uscita dal “beauty saloon” con la tua mamma e la tua sorellina per mano. Ti sei avvicinata a me con un sorriso limpido e raggiante e mi hai mostrato le unghie che ti eri appena fatta. Mi sono complimentata con te con un banalissimo e accentuato: “Wooooooow… Wonderful nails” che ti ha fatto ridere tanto e ha fatto scoppiare a ridere anche me.
I giorni seguenti comparivi e scomparivi dalla finestra della stanza tua e della tua numerosa famiglia. Ci guardavi mentre eravamo impegnati a giocare con i bambini nel campo profughi dove vivi da 45 giorni, dopo essere in viaggio da circa un anno, insieme a tua mamma, tuo papà e i tuoi sette fratelli.
Hai osservato quanto bastava finché un pomeriggio ci siamo ritrovate come due amiche su una panchina al parco. Due amiche che hanno voglia di raccontarsi perché è da un po’ che non si vedono, due amiche che hanno voglia di isolarsi da quello che sta attorno perché la cosa a cui tengono di più è proprio quell'amica che hanno davanti e quello che lei ha nel cuore.
Quel giorno non abbiamo parlato di profughi e di viaggio; abbiamo parlato di ragazzi, di cibo, di famiglia, di vestiti e di bellezza. Argomenti più o meno “futili”, eppure li sentivo così indispensabili quel pomeriggio a Sid perché ci hanno permesso di evadere, di andare davvero in un parco e di sentirci “a casa”.
Non so se ci rincontreremo, non so se mangeremo mai quella pizza insieme, forse non saprò mai se tu e la tua famiglia avrete raggiunto la Germania, ma voglio farti una promessa. Ti prometto che custodirò i tuoi sogni e che ne avrò cura. Ti prometto che custodirò il tuo sogno di avere un ragazzo europeo, forse tedesco, alto, muscoloso e con gli occhi azzurri perché è così che adesso tu te lo immagini. Custodirò anche il tuo desiderio di farti qualche ciocca rossa ai capelli perché insieme eravamo d’accordo che sarebbe stata bene sui tuoi capelli neri e ricci. Ti brillavano gli occhi quando mi parlavi di tutto questo e io ero felice di ascoltarti.
I tuoi occhi espressivi si sono poi incupiti quando mi hai confidato: “I am not happy here”. È una frase che stride con la tua giovane età, che stride con tutto quello che ci eravamo dette il giorno prima. Ma è una frase che mi fa tornare alla realtà del campo profughi in cui vivi. Non sai quando partirai, non sai se partirai, non sai se mai arriverai a quella meta che tuo papà ha scelto per voi. È una realtà e una quotidianità faticosa per tutti, ma in particolare per te che scalpiti per avere una vita migliore e non ce la fai più a chiuderti in quella stanza e a guardare fuori da quella finestra.
Ma non voglio fermarmi qui e non voglio che tu ti fermi qui. Continua a sognare, Halat, e abbi cura di te come ragazza e come donna. Io ti prometto che ogni volta che avrai voglia di evadere mi troverai nel parco, su quella panchina.
Ti abbraccio forte!
Martina
Nessun commento:
Posta un commento