Emozioni e Sensazioni di un Cantiere della Solidarietà in Indonesia
Attesa, entusiasmo, gioia, stupore… incoscienza o coraggio? Cinque persone praticamente sconosciute, una casa da lasciare, la propria, seppure per poche settimane. Ci siamo! Ci vediamo, ci parliamo, ci scambiamo le prime impressioni e ansie “Quali vaccini hai fatto?” e ancora “La mia valigia pesa troppo: sono 23 kg, lasciamo qualcosa”. Lasciare per partire o ripartire, lasciare indietro qualcosa e fare posto ad altro. Ci fidiamo, ci affidiamo uno all'altro.
Si parte! Ricordi indelebili… Sguardi tra passeggeri, domande: “Dove andate?” “Bali. Svago, relax, vita mondana, turismo. E voi?” “Nias!” “Dove??!” Posto dimenticato, sperduto (o quasi), per il primo Cantiere della solidarietà in Indonesia. Il tempo in aereo porta con sé il nostro carico di pensieri: una sconosciuta terra tutta da scoprire.
Al nostro arrivo ecco Andrea, la “boss”, la nostra coordinatrice: pantaloni corti e felpa (farà mica freddo? Dove staremo? Dai, forse e’ solo un suo modo di vestire…). Carichiamo i bagagli nel nostro pulmino e via.
Nias ci accoglie con l’odore di salsedine e di smog, con le folate acri dei rifiuti bruciati e l’olezzo nauseante del durian che si vende a bordo strada (e che qui, per qualche strana ragione, trovano gustoso). Il paesaggio verde della foresta, il sole sul mare agitato, Gunung Sitoli con il suo caotico ritmo. Distese di palme, banani, alberi di cacao, papaya e molte altre varietà, cemento, asfalto e sterrato che si districa nella giungla, qua e la’ squarci nel terreno, sali e scendi, buchi, crateri, qualche rattoppo provvisorio con pietre e tronchi, poche decine di km comportano diverse ore di strada.
Eccoci a Wisma Alma, la casa delle suore Alma. Titubanze, incertezze, e timidezza frenano: entriamo in punta di piedi! Ma siamo pronti a cambiare, adattarci, gustare cio’ che e’ nuovo, diverso, vivere questa esperienza con tutti noi stessi. Affrontare ogni esperienza, attività’, incontro, con totale intensità, sperimentare attraverso il nostro corpo, i sensi, il cuore e la mente.Sguardi, saluti, sorrisi… Mani che ti sfiorano e portano la tua alla fronte e poi al cuore, in un gesto di rispetto, mani che, nei giorni successivi, sciolti i timori, diventano strumenti per giocare e comunicare, mani per prendersi per mano, per ballare insieme o unirsi in preghiera.
“What is home?”
In queste settimane spesso risuonava in noi questa domanda. Ce lo siamo chiesti qui, in una realtà totalmente diversa dalla nostra, in Indonesia, su un`isoletta di cui, fino a pochi mesi fa, ignoravamo l'esistenza e che ora, in qualche modo, ha cambiato per sempre la nostra.Casa e’ quando hai qualcuno che ti aspetta. Per noi, casa sono i bambini che ci aspettano e ci dimostrano, nonostante le loro problematiche, quanto sono contenti di vederci.
Casa e’ quando hai qualcuno con cui crescere. E noi siamo cresciuti come amici e come fratelli, in queste settimane.
Casa sono i suoni, le voci e i rumori: le risate di Lestari che ci saltella intorno in maniera sconclusionata, il clacson dei motorini della becak, la sveglia della mattina con un`improbabile canzone indonesiana, il suono delle onde del mare (e l’incessante miagolio di Big Red Boy).
Casa e’ qualcuno che ti vuole bene, ti protegge, ti aiuta. E’ dove puoi essere te stesso, migliorando ogni giorno di più. Difficile sperimentarla qui, nella comunità in cui ci siamo inseriti per poche settimane (qualcuno potrebbe pensare…) eppure una sensazione così naturale, percepita sin dai primi giorni.
Casa sono i profumi e gli odori che accompagnano chi ci vive. Il profumo di caffè (il nasi goreng alle 8 del mattino e lo abbiamo azzardato solo un giorno), l'odore dei vestiti da lavare, il profumo di borotalco dei bambini dopo il mandi, gli insetticidi spruzzati generosamente per proteggersi dalla malaria. Il nostro quotidiano profuma di pioggia e terra bagnata, di aglio e di fritto (e quando assaggi qualsiasi cosa, come dimenticare il peperoncino che ti esplode in bocca a poco a poco?).
In ogni casa si incrociano sguardi e a volte bastano solo questi per intendersi. Come quelli di Endy che guarda con meraviglia le nostre mani colorate di tempera e quelli di Mawar che parlano da soli. Casa, qui, e’ una porta aperta, pronta ad accogliere ma anche a lasciar andare via, perché prendersi cura significa anche questo.
Le case che abbiamo visto sono semplicissime, non rispecchiano proprio la nostra idea di stabilità e comfort: spesso sono strutture di legno e lamiera (o foglie di palma), dove a volte mancano luce e acqua corrente, che si affacciano sulle pochissime strade che collegano l'Isola, la bandiera bianca e rossa che sventola vicina, le tombe dei propri cari e un sorriso gentile e curioso sulla soglia sempre pronto a salutarti. Eppure per queste persone e’ casa. E’ tutto ciò che hanno, e’ il loro mondo.
E allora che cosa si può chiamare casa? Sicuramente casa e’ un tetto sopra la testa, un letto in cui riposare, un tavolo attorno a cui riunirsi per condividere il cibo, una porta da lasciare aperta per accogliere chi sta fuori, una finestra da cui affacciarsi per cominciare a guardare il mondo. Ma casa e` soprattutto il luogo degli affetti e dei ricordi, dove si impara a conoscere e crescere.Casa e’ famiglia: se ci siamo sentiti subito a casa o se siamo stati capaci di fare questo posto casa nostra in così` breve tempo, e’ stato grazie alle dolci premure delle suore, ai bambini che ci cercavano per giocare in ogni momento incuranti della nostra stanchezza chiamandoci con Abang e Kakak, fratello e sorella. E' stato grazie a Tule che passeggiava, quasi ballando, sempre davanti alla veranda, a Iggo e a tutti gli altri che, curiosi, ci chiedevano “Ke mana?”, a Erman che e’ un tuttofare sempre pronto a risolvere ogni problema, a Riski che per una settimana intera ogni giorno ha tentato di mangiare a tavola con noi a colazione, pranzo e cena. Gli occhi scuri dei bimbi, che sembrano scrutarti nell’anima e non potremo mai dimenticare. Sguardi profondi, intensi, di chi sembra aver già vissuto una vita intera anche se ha solo pochi anni. I più forti che si prendono cura dei più deboli, sempre, senza che questi debbano chiedere aiuto. Si aiutano anche tra sconosciuti, senza chiedere nulla in cambio. Dove abbiamo sbagliato noi occidentali per diventare indifferenti come siamo?
I bambini non fanno altro che chiedere qual è il giorno del rientro e l'espressione che utilizzano più spesso e’ “tidak usah pulag”, non e` necessario tornare in Italia, e’ inutile, “Di sini saja”, state qui. Sara’ durissima salutare tutti, al termine della nostra esperienza.
Abbiamo imparato a parlare attraverso gli ultrasuoni, con le mani, con la mente. Gli odori e le abitudini insolite sono diventate la norma e ci si chiede come potremo farne a meno. Abbiamo fatto tante cose e diverse (il tempo e’ volato inesorabilmente) senza dimenticarci di farle con calma e cura, ascoltando, osservando, mettendoci in gioco. Il nostro metterci a servizio lo abbiamo tradotto soprattutto con la presenza con cui siamo stati insieme, prima di tutto.
Abbiamo dormito poco, il sole ha bruciato la nostra pelle, la pioggia ci ha colti spesso di sorpresa e abbiamo ricevuto tanti abbracci inaspettati. In poco tempo noi, i bambini, le educatrici, le Suster, siamo stati in grado di raggiungere un`affiatamento e una vicinanza che mai ci saremmo neppure immaginati. Questo amore è stato un dono per ciascuno di noi. Abbiamo provato a donare qualcosa in più e abbiamo ricevuto molto di più di quello che abbiamo dato. Siamo stati nutriti, aiutati nel momento del bisogno, coccolati, accolti e tra noi abbiamo fatto altrettanto.
Ci siamo scoperti diversi e insieme così simili. Come tante note colorate di un pentagramma che crea una musica bellissima: Banyak not-not, satu lagu. Tutti con lo stesso inesauribile bisogno di amore. E se ti senti a casa, sei capace di esprimerlo, nella cura, nei sorrisi, nei piccoli gesti. Riesci così a sentire tutto l’amore, pienamente, nella gratitudine profonda per tutto quanto hai ricevuto in dono, e a regalare agli altri tutto quello che sei.
Sei teste, sei cuori, questi sono i nostri pensieri, una sola melodia.
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