Domani parto, vado
in Libano e ci starò per un po'. La valigia è pronta, ma l’ho già aperta e
disfatta almeno quattro volte per controllare che tutto sia al proprio posto
(che poi… “tutto” cosa?). Non ho mai imparato a fare le valigie, ho sempre
riempito tutto lo spazio vuoto con vestiti per ogni evenienza e cose che –posso
dirlo tranquillamente- avrei fatto meglio a lasciare a casa. È come se, in
qualche modo, riempire la valigia prima di partire fino a far saltare la
cerniera mi tranquillizzasse. Una sorta di horror vacui della valigia, potrei
definirlo.
L’ultimo viaggio
che ho fatto mi ha costretta a partire con l’essenziale e questo ha evitato la
classica scena di me, seduta sulla valigia in aeroporto, mentre cerco
disperatamente di far congiungere i due lembi della cerniera. Ma lasciare casa
con lo stretto indispensabile mi ha insegnato che si può tornare con mezzo
chilo di sabbia rossa del deserto del Sahara, per esempio, e che la valigia
piena dell’andata è sempre stata solo una rassicurazione della quale avevo
bisogno per me stessa.
Mentre ripiego le
magliette il mio pensiero va a Silvia, Silvia Romano. Non credo di essermi
sentita tanto vicina ad una persona che mai ho conosciuto. Guardo mia mamma che
passa dal corridoio e penso alla mamma di Silvia, a quanto sia difficile per
lei arrivare a fine giornata. Se fosse qui le direi una sola cosa: che di sua
figlia deve essere solamente orgogliosa. Chi ha fatto almeno un viaggio di
volontariato lo sa, per decidere di partire ci vuole coraggio. Non si parte con
l’intento di cambiare il mondo e non si parte tanto per partire; voler
intraprendere un’esperienza di volontariato è una delle cose più serie che si
possa decidere di fare.
E oggi decidere di
non star fermi significa non accettare passivamente tutto il degrado, le
vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica che derivano da
questo continuo subire, in silenzio, senza mai reagire. Oggi decidere di
decidere è l’unico modo per non diventare rane bollite *
* “Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda
nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola,
l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova
piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è
calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia
non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto
sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e
non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la
rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata
immersa direttamente nell'acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa,
sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.” Tratto dal libro “Media e Potere” di Noam Chomsky
Cosa fare quindi?
Avere la determinazione di saltare fuori dall'acqua che si riscalda finché se
ne hanno ancora le forze, prima che sia troppo tardi. Farsi condizionare il
meno possibile dall'odio e dall'indifferenza.
Eppure ci sono
giorni più difficili in cui mi sembra di vivere solo tra rane bollite, rane che
gracidano un odio assordante e sputano rabbia. Giorni in cui mi sembra di
vivere in un mondo al contrario e maledettamente ingiusto, nel quale non si
riflette più neanche prima di pensare, nel quale tutto diventa un caso
politico, prima ancora che umano, nel quale solo una foto sulla prima pagina
dei giornali ci fa aprire per un attimo gli occhi dal nostro sonno
indifferente. Ma possibile che abbiamo bisogno di fotografie che ci sbattano
davanti agli occhi l’orrore umano per smuoverci anche solo per qualche attimo?
Forse è perché ci stiamo abituando al ribrezzo o, meglio ancora, ci stiamo
facendo seppellire da sentimenti di becero individualismo e dispersivo
collettivismo.
Ma forse è proprio
questo il tempo giusto per vivere nel rischio. Ray Bradbury scrisse: “Vivere
nel rischio significa saltare da uno strapiombo e costruirsi le ali mentre si
precipita”. Così noi dobbiamo essere rane che hanno il coraggio si saltare
fuori, anche senza certezze e senza essere sicure di farcela. Tutto questo però
ad un’unica condizione: impegnandosi a “volare”.
Io domani parto e
parto perché non voglio diventare una rana bollita o perlomeno voglio essere
una rana consapevole. Io domani parto perché posso farlo, perché ho la libertà
di spostarmi, di oltrepassare i confini sapendo che nessun abisso inghiottirà
il mio corpo.
Quante volte diamo
tutto per scontato?
Anna Gritti
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