lunedì 3 agosto 2015

Kenya: DAY #2 27-07

La sveglia è alle 7, ma ci svegliamo alle 7 e mezzo. Siamo in ritardissimo sulla tabella di marcia: a quell’ora la colazione (pane, tè e uova sode) è già pronta e tra poco Wolf passerà a prenderci per portarci nel quartiere carcerario. Il sole splende forte e fa meno freddo di ieri.
Ci si muove a piedi, e costeggiando il mercato entriamo all’interno della recinzione che circonda il quartiere: al suo interno sono situate i 3 carceri (quello minorile, di media e di massima sicurezza).
Nella Y.C.T.C. entrano i ragazzi minorenni colpevoli di reati minori, per scontare una pena standard di 4 mesi. Il carcere di media sicurezza è per pene fino a 10 anni, dopodichè c’è la massima sicurezza. In Kenya esiste la pena di morte, ma non è praticata: il presidente attraverso periodiche amnistie converte tutte le sentenze di pena capitale in ergastolo.
Entriamo nel quartiere carcerario seguendo un sentiero che si sviluppa prima intorno ad un’enorme sterpaglia, per poi entrare nel vero e proprio quartiere. Una guardia sorveglia l’ingresso. C’è una specie di cava dove i prigionieri della prigione di media sicurezza stanno spaccando le pietre al sole , e non riesco a non pensare ad Aldo Giovanni e Giacomo.
Le guardie sono gentili, ci sorridono e ci salutano.
Sulla nostra destra, più avanti, troviamo l’orto dove lavorano alcuni ragazzi della Y.C.T.C., sempre supervisionati da una guardia (senza armi).
Arriviamo davanti al portone della Y.C.T.C. ed entriamo accolti dalla guardia dell’ingresso, un gigante buono che ci dà il benvenuto e spende per noi poche ma intense parole. Ci dice di sentirci liberi, che detto da una guardia carceraria fa sempre un certo effetto. Ci dice che il nostro arrivo è una benedizione per il Kenya, come anche l’arrivo di Obama. Portare speranza è una cosa meravigliosa. Ieri ha piovuto per una mezz’oretta, più a lungo del solito: unita alla visita di Obama, quella pioggia per loro ha assunto un significato molto particolare.
Aspettiamo più di mezz’ora davanti alla guardiola, all’interno del cancello. Intorno a noi passano i giovani detenuti, vestiti tutti di blu, ognuno con un compito particolare.
Incontriamo il direttore della Y.C.T.C. che ci dà il benvenuto, e la responsabile delle attività svolte dai ragazzi durante la giornata. Qui inizia il nostro tour tra le strutture della prigione, a partire dalla cucina dove incontriamo 3 ragazzi che stanno cucinando l’ugali per tutti, in quantità industriali. All’ingresso mi hanno ritirato il telefono, ma avrei voluto farvi vedere con quale forza un ragazzo girava quella polenta usando un enorme bastone di legno.
L'ingresso principale della Cafasso Consolation House
L’ingresso principale della Cafasso Consolation House
Poi entriamo in biblioteca e nell’aula computer, dove 2 ragazzi stanno imparando ad usare Office.
Quindi entriamo nei loro dormitori: per intenderci, una camerata stile Full Metal Jacket, con bagni annessi. Niente di eccezionale, ma veramente pulito e ben curato. La struttura può ospitare fino a 100 ragazzi.
Torniamo vicino all’ingresso e attraversiamo un altro cancello, che ci porta in un recinto dove alcuni ragazzi si stanno occupando di mucche, conigli, capre e vitelli. Incontriamo Sister Arachele, missionaria della Consolata che si occupa della Cafasso House. Tutta l’area aldilà del cancello con cui si arriva agli animali sarà destinata ad ospitare anche giovani ragazze: ad oggi, infatti, non esiste carcere minorile femminile. La struttura è già stata ultimata, e a breve le ragazze si trasferiranno qui.
Usciamo dalla Y.C.T.C., riprendo il telefono e ci dirigiamo verso la Cafasso House, passando per il quartiere carcerario dove vivono le guardie con le loro famiglie. Passiamo davanti alle due prigioni di media e massima sicurezza. In giro per tutto il quartiere si incontrano i prigionieri della prima mentre svolgono attività supervisionati dalle guardie. I detenuti in massima sicurezza non possono mai uscire dalla prigione.
Passiamo davanti ad una scuola pubblica primaria, dove studiano un migliaio di bambini. Vestiti di blu anche loro, ci accolgono urlando e accalcandosi alla recinzione. Per loro tutti i bianchi sono cinesi, perchè da lì recentemente devono essere venuti degli operai per qualche lavoro. Sta di fatto che ci urlano “Chinese! Chinese!” mentre noi ci guardiamo perplessi.
Arriviamo alla Cafasso House, che è la struttura dove vengono accolti alcuni ragazzi della Y.C.T.C. che hanno finito il periodo di detenzione di 4 mesi, e che hanno alle spalle una storia familiare particolarmente difficile. La struttura è operativa dal 2005 e da allora ha ospitato più di 200 ragazzi con ottimi risultati di reintegrazione e reinserimento nel contesto lavorativo e sociale.
Entriamo nella struttura e ci offrono dell’acqua (per bianchi) e del succo d’ananas. I ragazzi non sono in giro per la struttura per svolgere le loro attività, quindi li aspettiamo una mezz’oretta chiaccherando con Felix e Wolf, che ci hanno accompagnato fino a qui.
Ed eccoli arrivare.
Ci salutiamo, le prime occhiate sono ambigue, entrambi stiamo tastando il terreno. Noi, dal canto nostro, sappiamo che loro stanno aspettando la nostra visita da mesi, e che stamattina si sono svegliati alle 4 di mattina per prepararsi, pieni di aspettative. Un rapido giro di nomi, e si è pronti per pranzare tutti insieme.
Nel piatto abbiamo riso, fagioli e patate. Come al solito, mangio più veloce di loro.
Ma non più di loro: al prossimo pranzo farò una foto delle loro porzioni, una cosa veramente impressionante. Le nostre porzioni sono di molto inferiori.Tutto molto buono, comunque.
Finito il pranzo ci deliziano con una poesia recitata da loro in gruppo, che ho filmato col telefono e che caricherò tornato in Italia. Uno di loro, William, chiede di potersi esibire ancora e ci recita da solo una sua poesia.
Ora siamo tutti in cerchio, e uno alla volta sia noi che loro ci alziamo e ci presentiamo dicendo chi siamo, cosa ci piace fare e cosa ci aspettiamo dall’esperienza. Anche qui, molti interventi dei ragazzi sono stati davvero toccanti.
Felix mentre ci presenta la Cafasso House
Felix mentre ci presenta la Cafasso House
Ma i ragazzi sono ancora troppo timidi e silenziosi: bisogna giocare per rompere il ghiaccio.
Abbiamo portato due palloni, e ci trasferiamo nel field, un mega campo con le porte per giocare a calcio. Ma il campo è troppo grosso per noi, quindi portano dei birilli e iniziamo la partita. Sono l’unico maschio, quindi Italia-Kenya è cosa impossibile. Mischiamo le squadre e giochiamo senza sosta per quasi tre quarti d’ora. Risultato: il ghiaccio è rotto e il feeling oramai è assodato. Grazie alla partita ho già imparato i loro nomi e, per la cronaca, ho fatto valere il buon nome del calcio italiano.
E pensare che Felix, arrivando al campo, mi diceva che il calcio è semplice perchè non si tratta di tecnica: devi solo cercare di fermare la palla, e di calciarla. Se solo fosse stato un esordiente nei S.S.Martiri..
Dopo la partita siamo stanchi morti, ma dobbiamo andare a visitare la baraccopoli di Kahawa West. Ci accompagnano Mike e Denny, il quale è un esempio vivente di quanto la Cafasso House faccia per i suoi ragazzi: infatti Denny ha completato il suo percorso e ora vive autonomamente.
Entrambi vivono nella baraccopoli, quindi ci affidiamo a loro e li seguiamo tra i vicoli in lamiera fino ad una mensa per anziani costruita da missionari italiani anni prima.
Visitiamo un po’ di case, e Denny ci invita anche nella sua. Parliamoci chiaro:è una camera più piccola di quella di Wolf di cui vi ho parlato, in lamiera e con struttura in legno. Però anche in questo caso lui è felice. Ci mostra con orgoglio la licenza appena conseguita di elettricista, grazie alla quale potrà migliorare la sua condizione, e un giorno magari uscire dalla baraccopoli.
Con Mike usciamo dalla baraccopoli, appena fuori, dove coltiva un campo di sukumawiki (erba tipica locale, ingrediente principale dell’omonimo piatto) che vende a prezzo ribassato agli abitanti della baraccopoli.
Parlano inglese, ma non quello che senti nei telefilm o che parlava la tua professoressa alle superiori. La pronuncia è completamente diversa, e abituarcisi sarà una gran bella sfida.
Ad ogni modo, ho chiaccherato a lungo e senza problemi con Mike (persino di donne) lungo la strada per tornare in parrocchia.
Una volta arrivati, decido accompagnare Marta a cambiare i soldi di tutto il gruppo.
Marta conosce un posto qui vicino, ma Felix non si fida e preferisci accompagnarci lui stesso (sveglio dalle 5 di mattino e in piedi con noi da tutto il giorno) ad una mezz’oretta di distanza, usando un Matatu.
I matatu sono i mezzi di trasporto pubblico, e sono dei pullmini da 12 persone (ufficialmente) guidati in modo a dir poco frenetico da autisti con licenza. Spenderò sicuramente altre parole su questo mezzo di trasporto in un nuovo post, perchè meritano più spazio di quello che riescirei a dare in questo momento.
Arriviamo ad un grande centro commerciale, i cui ingressi sono presidiati dalla polizia.
Mentre Marta fa la coda in banca per cambiare i soldi, io e Felix andiamo in un negozio di telefoni a ricaricare la sim comprata ieri. Tornando a casa, vicino alla parrocchia riesco a farmi attivare internet sul telefono: finalmente posso caricare il blog!
Tornati a casa mangiamo tutti insieme, e il menù è lo stesso del pranzo.
Siamo davvero stanchi, e vogliamo tutti andare a letto. Ma prima, ci raccogliamo tutti insieme per condividere i momenti che più ci hanno colpito della giornata. Domani la sveglia è ancora alle 7.
Steven, nonostante si svegli alle 5 del mattino, rientra sempre più tardi di me.
Non vedo l’ora di domani.

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