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sabato 2 settembre 2017

Georgia: L'incontro con un gruppetto un pò così

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L’incontro con l’altro può essere semplice, difficile, faticoso, soddisfacente, prezioso e a volte perfino fastidioso. Per me l’incontro con l’altro in Georgia è stato un po' di tutto questo e l’ho vissuto in particolare con un gruppetto di ragazzi. Questi erano un po' spavaldi, si sentivano padroni di se e credevano di poter fare ciò che volevano. In effetti durante il campo è stato proprio così…hanno raramente partecipato alle attività e difficilmente si riusciva ad interagirci in modo costruttivo.

Nonostante tutto ciò, un modo per stare con loro alla fine si è trovato, il calcio. Intense lunghe estenuanti partite di calcio sotto un sole cocente e immersi in una umidità olimpionica (difficile). La mattina non avrebbero giocato 10 minuti sotto al sole ma il pomeriggio a calcio, nessun problema! Il calcio è sempre il calcio!

Fin dai primi giorni in cui li abbiamo conosciuti la comunicazione con alcuni di loro è stata difficile, non tanto per la lingua, quanto perché l’uso della parola era spesso accompagnato dal contatto fisico a volte un po' forte (fastidioso). Anche in questo caso però un modo di comunicare con loro alla fine si è trovato, semplici gesti come un “batti un cinque” o un “okay” e qualche sorriso sono stati sufficienti per mostrargli che esistono anche altri modi di relazionarsi.

Siamo quindi riusciti a far fronte tanto alla spavalderia quanto al voler fare ciò che volevano, ridimensionando un po' il loro modo di stare con noi (soddisfacente). Per quanto riguarda il sentirsi padroni di se non c’è stato un modo di stare, bensì di non-stare. Quando a fine campo era giunto il momento di salutarsi, quel gruppetto che fin dall’inizio era sembrato essere il più indifferente verso il volontario, è rimasto fino agli ultimi saluti, qualcuno trattenendo qualche lacrima, qualcun altro protraendosi in lunghissimi abbracci. Chi se lo aspettava?

Da quel momento ho iniziato a pensare che l’incontro con l’altro lascia, più o meno consapevolmente, sempre qualcosa di se e porta a casa qualcosa dell’altro, come uno scambio (prezioso). Nel mio caso porterò con me qualcosa che già in parte avevo ma che è sempre difficile tenere a mente, la consapevolezza che dell’altro non so nulla. Alcuni dei ragazzi hanno situazioni familiari e di vita che ben possono spiegare certi loro comportamenti. Mentre il momento del saluto mi fa pensare che anche alcuni di loro porteranno a casa qualcosa, magari qualcosa che non hanno mai avuto.
Madloba bavshvebi!

Nella foto Dato, uno dei ragazzi...un pò così

martedì 11 agosto 2015

Kenya: DAY #9-12

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Il mio proposito di mantenere quotidianamente aggiornato questo blog è ormai andato in fumo. In questi giorni la tabella di marcia è stata veramente intensa e mi portava a letto veramente stanco, tanto da non permettermi di dedicare tempo alla stesura di alcun articolo.

Io Martina e Chiara durante le attività nei campi
Io Martina e Chiara durante le attività nei campi
Quindi faccio un rapido riassunto di quanto è stato fatto in questi 4 giorni, che ci hanno portato a salutare i ragazzi della Cafasso Boys e Kahawa West per partire alla volta di Mombasa.
Durante il giorno si sono svolte regolarmente le solite attività mattutine nei campi, sempre a rotazione. Ho avuto modo di conoscere meglio i ragazzi intrattenendo con loro conversazioni un po’ più intime del semplice parlare dei propri hobby.
Alcuni di loro si sono aperti profondamente, dandomi modo di verificare il grado di confidenza raggiunto. C’è chi addirittura si è buttato raccontandomi il motivo per cui è avvenuto l’arresto. Sono convinto che questi dialoghi siano serviti tanto a loro quanto a me.
Loro hanno potuto confrontarsi con qualcuno che non facesse parte del solito staff di persone che si occupa del counseling, in momenti più aperti ed informali. Durante il lavoro, insegnandomi a fare braccialetti, bevendo il chai assieme.
Io ho potuto toccare con mano il loro disagio, il loro malcontento, la loro frustrazione. La grandissima parte di loro si trova lì per aver tentato di rubare soldi, per garantirsi la sopravvivenza. Allo stesso tempo però notavo in loro una speranza, un desiderio di cambiamento, la ricerca di un’opportunità.
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Visita ad un centro orfani di Kahawa West
Questi confronti mi hanno sicuramente solcato l’anima: storie tristi, ma storie di speranza.
L’ultimo giorno con loro è stato molto intenso, attraverso lacrime e grandi sorrisi.

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Per pranzo è stata organizzata una grande grigliata, in cui si sono uniti a noi anche alcuni ex-Cafasso boys che hanno terminato il loro percorso di reinserimento sociale (tra cui anche Denny, di cui abbiamo visitato la casa nei nostri primi giorni qui).
15 kg di carne di capra hanno accompagnato il solito riso, ugali e sukumawiki.
Durante la mattina mentre i ragazzi erano impagnati nelle attività, noi ci siamo chiusi in cucina per aiutare a preparare il tutto. Abbiamo tagliato una quantità tale di cipolle, pomodori e carote da perdere il fiato.
Dopodichè ho aiutato i ragazzi a preparare la brace con cui cuocere la carne alla griglia.
Nonostante qualche difficoltà nel gestire la cosa, soprattutto dal punto di vista igienico (abbiamo dovuto insistere perchè la carne venisse coperta da tovaglie e non lasciata alla mercè delle mosche), il pranzo è stato servito in tavola.
Dopo pranzo è arrivata l’ora del momento dei saluti.
Ci siamo riuniti della stanza da pranzo e i Cafasso boys più anziani (compresi gli ex) ci hanno presentato una poesia. Poi ci siamo riuniti in cerchio, e chi voleva è intervenuto condividendo le proprie considerazioni sulle due settimane passate insieme.
I ragazzi ci hanno ringraziato per il tempo speso assieme a loro, e invitati a ritornare. Dopodichè ha preso la parola Felix, dicendoci che oramai facciamo parte della famiglia e chiunque di noi volesse tornare, sarebbe sicuramente il benvenuto.
I piki-piki. Una sorta di taxi a due ruote con cui siamo andati alla Cafasso House l'ultimo giorno
I piki-piki. Una sorta di taxi a due ruote con cui siamo andati alla Cafasso House l’ultimo giorno


Un ultimo ballo insieme, e poi abbiamo dovuto scappare. In serata ci aspettavano a Korogocho per un’ultima preghiera insieme. Fretta poi rivelatasi infondata, dato che appena prima di partire padre Maurizio chiama la Marta dicendo che andare a Korogocho non è sicuro, dato che la sera prima ci sono stati 3 omicidi.
Il piano è saltato, e abbiamo avuto più tempo per preparare il tutto per la partenza. La mattina dopo, infatti, partiva da Nairobi il nostro pullman per Mombasa.

Grazie Cafasso House, grazie Kahawa West.
E che sia un arrivederci.

Giacomo

giovedì 6 agosto 2015

Kenya: DAY #8 02-08

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Vengo svegliato dalla voce di John che puntale, alle 6, viene a svegliarci. La vita a Kibiko si è già svegliata da un pezzo, e all’appello manchiamo solo noi.
Pioviggina, e tutti assonnati ci rechiamo alla main house per fare colazione. Insieme al solito chai, possiamo finalmente mangiare il pane preparato dai bambini, veramente ottimo.
I bambini di Kibiko sono già tutti svegli, ed ognuno è già impegnato nelle proprie attività. Ci raduniamo e li salutiamo tutti.
Intanto il Matatu è già arrivato e saliamo a bordo, direzione Korogocho. Ma prima facciamo tappa a prendere Angelo, che si unirà a noi in questa giornata. Arriviamo a casa di padre Maurizio, appena fuori da Korogocho. Anche lì ci viene offerto tè e caffè, che accettiamo volentieri. Durante la notte ha piovuto, e la temperatura non è delle migliori.
Tutti insieme ci incamminiamo verso Korogocho, guidati da padre Maurizio. Oltrepassata la baraccopoli, arriviamo al cuore dello slam: l’enorme discarica la che rende tristemente famosa. Durante la giornata non riesco a fare foto perchè tirare fuori il telefono qui dicono essere pericoloso.
Quasi 10 km di discarica a cielo aperto, in cui vengono riversati tutti i rifiuti dell’interà città di Nairobi.
Marta, Angelo e Maurizio ci avevano avvertiti: nessuna parola avrebbe potuto spiegare l’impatto visivo (e olfattivo) che si ha guardando quell’enorme distesa di rifiuti. Pensare che intere generazioni sono nate, cresciute e morte in mezzo al quel tanfo e a quel degrado, lascia tutto il gruppo con un grosso nodo sulla gola.
Arriviamo alla parrocchia gestita dai comboniani, situata proprio a ridosso della discarica.
Incontriamo Kevin, che ci saluta e ci porta alla biblioteca dove lavora. Qui vengono accolti oltre 1000 bambini ogni giorno, e si svolge un accurato lavoro di ricerca e aggiornamento dei libri di testo.
Assistiamo alla messa, anche qui molto animata e soprattutto molto sentita, celebrata da Padre Maurizio sotto un tetto fatto di lamiere.
Anche qui, verso la fine della celebrazione Marta interviene presentandoci alla comunità.
Finita la messa ci troviamo in un’aula insieme ad un gruppo di giovani della comunità, veramente ben organizzato, con cui sviluppiamo una discussione veramente utile ed interessante.
Padre Maurizio detta il topic: “Qual è la maggiore difficoltà che riscontrate dove vivete?”
Interveniamo un po’ tutti, e la cosa diventà in più tratti molto toccante e profonda.
Finito l’incontro, lo stesso gruppo ha organizzato per noi il pranzo: chapati, sukumawiki e piselli. Fino ad ora, i chapati più buoni e gustosi mai provati in Kenya.
Dopo pranzo ci rechiamo tutti insieme alla discarica, per vedere e toccare con mano cosa realmente sia quel mostro urbano che circonda Korogocho. Intorno alla discarica gira tutta l’economia della baraccopoli: infatti tra l’immondizia ci sono persone che passano le giornate a cercare qualcosa da poter riutilizzare o vendere nel mercato locale.
Proprio davanti alla discarica, si trova l’altro centro Nakupenda Kuishi, un grosso spazio dove ogni giorno tranne la domenica vengono accolti centinaia di bambini e viene data loro un’istruzione di base e cure mediche. Da qui, i casi più difficili vengono portati a Kibiko.
E’ lo stesso personale del centro che trova i ragazzi di strada e li invita a frequentare il progetto.
Torniamo a piedi a casa di padre Maurizio, e li ci salutiamo.
Due ragazzi di Korogocho, amici di Marta, si offrono di accompagnarci fino a Kahawa West con il matatu.
Ci dividiamo in due gruppi, e con me ci sono Chiara, Noemi, Francesca, Alice e uno dei due ragazzi. Durante il tragitto il motore del mezzo si surriscalda, e inizia a produrre un denso fumo nero. Scendiamo, e ne aspettiamo un altro. Tutta esperienza.
Invitiamo a cena i due ragazzi e dividiamo il pasto con loro. Dopo cena io con Alice, Marta e i due ragazzi andiamo al pub per bere una birra. Si unisce a noi anche Wolfram.
Questo week-end mi ha distrutto, ma è stata un’autentica lezione di vita che mai dimenticherò.
Korogocho sicuramente ha lasciato in me un segno forte, indelebile. L’odore di quel posto ti entra nel naso, nei vestiti, nella pelle, per non uscirne mai più.

Kenya: DAY #7 01-08

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La sveglia è alle 5 del mattino, perchè alle 6 e mezzo un Matatu ci passa a prendere davanti alla parrocchia dove siamo ospitati per portarci a Kibiko.
Negli zaini prepariamo il materiale da lasciare ai bambini del centro e il necessario per passare la notte lì.
Il contro di riabilitazione Napenda Kuishi Home, a Kibiko
Il contro di riabilitazione Napenda Kuishi Home, a Kibiko
Durante il viaggio mi abbandono al sonno, nonostante la musica a palla presente all’interno del mezzo. Facciamo una tappa intermedia a casa di Angelo, un cooperante di Caritas che vive a Nairobi da 4 anni insieme alla moglie e alla figlia.
Lì incontriamo Maurizio, il padre comboniano che dirige l’intero progetto Napenda Kuishi (in lingua kiswahili “Voglio vivere, mi piace vivere”), che si occupa dei bambini e dei ragazzi di strada che vivono all’interno di Korogocho, una delle oltre 200 baraccopoli esistenti a Nairobi.
Dei 4 milioni di abitanti che conta la capitale, 2,5 milioni vivono negli slums in meno del 5% del territorio della città. Il progetto comprende una scuola informale con sede proprio a Korogocho, e un centro di riabilitazione che accoglie una ventina di ragazzi l’anno.
Padre Maurizio ci spiega la sua storia e di come abbia accettato l’incarico di direttore del progetto da appena 3 mesi. Dei ragazzi presenti alla Napenda Kuishi Home in Kibiko almeno l’80% sono state vittime di abusi sessuali, e la quasi totalità di loro ha fatto uso di alcool e/o sostanze stupefacenti.
20150801_103854Proprio per questo, chiede a tutti di fare attenzione al modo di approcciarsi a questi ragazzi, soprattutto fisicamente. Chiede un’attenzione particolare soprattutto a me, l’unico maschio del gruppo. Questa introduzione sarà veramente utile e ci permetterà di affrontare l’esperienza con i giusti metodi e con più serenità.
Ad ogni modo, dopo le mille domande poste a padre Maurizio ci avviamo verso Kibiko tutti insieme. Anche Angelo ci accompagna.
Il centro dista circa 40 km da Nairobi, e durante il viaggio per la prima volta sto assieme a Marta nei posti davanti del Matatu.
Appena arrivati a Kibiko lo stupore è immediato: la location scelta per questo centro è semplicemente perfetta. Nel bel mezzo delle Ngong Hills, la pace regna sovrana. Intorno agli stabili si stendono campi di sukumawiki, girasoli, patate, zucchine e altro ancora. Visitiamo la cappella dove si svolgono le preghiere e ci accompagnano alle nostre stanze.
Neanche a dirlo, dormo in una camera da solo.
Il campo dove abbiamo piantato le zucchine insieme ai bambini
Il campo dove abbiamo piantato le zucchine insieme ai bambini
Ci portano nella baracca dove tengono le galline, più di 200, le cui uova sfamano i ragazzi e vengono addirittura vendute a privati esterni.
Ci raggruppiamo nella main house e Maurizio ci presenta John, il responsabile dei ragazzi. John ci spiega le attività che si svolgono e ci dà il benvenuto molto calorosamente offrendoci del buonissimo chai. Il sole picchia forte, e siamo praticamente in montagna. Quando il sole ci abbandona, la felpa pesante è obbligatoria.
Come prima attività aiutiamo i ragazzi coi lavori nei campi. In particolare zappiamo, concimiamo e piantiamo in un’appezzamento di terra delle zucchine.
Questo il nostro primo contatto con i ragazzi, e le canzoni imparate alla Cafasso House ci aiutano a rompere il ghiaccio.
Non nascondo che gli avvertimenti di padre Maurizio oltre a darmi molta consapevolezza, in non poche situazioni sono riusciti a farmi sentire comunque a disagio, come penso sia normale che sia.
Mantenere il sorriso comunque vada, è la sfida più grande. Perchè guardandoli quei bambini così piccoli, il solo pensare a quello che hanno passato prima di essere lì non fa venire affatto voglia di sorridere, anzi.
Ma siamo qui per stare con loro, aiutarli, e dargli una speranza. Quindi cantiamo, ci presentiamo, giochiamo. Philipp, uno dei più estroversi, mi sfida ad una gara di velocità. Lui è a piedi nudi, io con le scarpe da ginnastica. Inutile parlarvi di come mi abbia praticamente lasciato sul posto.
Martina aiuta ad impastare il pane
Martina aiuta ad impastare il pane
Prima di pranzo, io Alice e Francesca aiutiamo i bambini a scegliere e dividere da un sacco i fagioli buoni e quelli non buoni. Dopo 10 minuti di smistamento, chiedo a Sheriff quanti fagioli ancora dobbiamo controllare. La sua risposta mi lascia perplesso: “Contare il cibo è una brutta cosa.”
Noi mangiamo nella main house, mentre loro nel salone. Per pranzo ci sono riso e fagioli.
Subito dopo i bambini preparano il pane, e li aiutiamo ad impastarlo.
Dopo pranzo John ci porta a fare una passeggiata insieme ai bambini. Durante il tragitto ci fermiamo a comprare delle banane per tutti quanti. Spiegare come le banane mangiate fino ad ora in Italia sapessero di plastica rispetto a queste è difficile, perchè come si dice “provare per credere”.
Dopo la passeggiata facciamo una partita di calcio tutti assieme nel campetto del centro. QUANTO CORRONO! Durante la partita Chiara riceve una pallonata dritta nell’occhio e rimane in panchina il resto del tempo. Fortunatamente nulla di grave, ma rimane la sua preoccupazione di poter uscire in tutte le foto del cantiere con l’occhio nero.
La partita dura tantissimo e il mio corpo inizia ad accusare indiscutibili segni di stanchezza. Giocare una partita di calcio al giorno contro dei kenyoti è semplicemente deleterio.
Loro ne escono brillanti, io come un sacchetto dell’umido.
La passeggiata coi bambini
La passeggiata coi bambini
Dopo la partita mi voglio, anzi mi devo lavare. Lo dico a John che mi porta un secchio con dell’acqua bollente e un catino con dell’acqua fredda. Li mischio insieme fino ad ottenere acqua tiepida e mi lavo a pezzi con molta soddisfazione.
Finita la toilette, John mi invita ad unirsi a lui e altri 3 ragazzi per una partita a freccette. Durante la prima partita rischio anche di vincere, nelle altre due perdo clamorosamente.
E’ ora di cena, e stavolta mangiamo insieme a loro. Ugali, sukumawiki e carne. Fingo di non aver mai mangiato con le mani, e chiedo ai miei vicini di tavola di insegnarmi per rompere il ghiaccio.
Il mio mangiare usando le mani scatena un’ilarità esagerata, e la cena trascorre serena. Le loro dosi sono come quelle dei ragazzi più grandi della Cafasso House, e la cosa mi lascia sbigottito.
Simon!
Simon!
Dopo cena, ci si ritrova tutti nel salone per la serata. Inizia tutto con John che porta due tamburi, creati con delle i barattoloni di vernice in plastica e della pelle di capra tirata. Si suonano usando le bacchette, e John chiede a tutti chi vuole partecipare ad una gara di percussioni.
Io partecipo, e del gruppo si uniscono anche Alice e Francesca. Ci sono altri 3 bambini che accettano la sfida.
Ognuno fa il suo ritmo, e per ultimo il bambino più timido lascia tutti a bocca aperta! Davvero un artista, gli faccio i complimenti e lui nonostante rimanga quasi impassibile (è davvero timidissimo!) sembra apprezzare moltissimo la cosa.
Dopo la gara, finita con un pareggio, è l’ora delle esibizioni. Per noi i bambini hanno preparato qualcosa di veramente incredibile. La prima performance è uno spettacolo di danza di più di 10 minuti, truccati mascherati e travestiti. Apprezziamo davvero tanto e facciamo tantissimi applausi.
Dopo tocca a noi, e proponiamo loro il bance del “Pollo Giovanni”. Ridono come matti.
Dopodichè è l’ora del loro spettacolo acrobatico. Sono stati fatti dei video della serata e spero di riuscire a farveli vedere, perchè spiegarlo a parole è davvero impossibile. Questi bambini letteralmente si arrampicavano tra di loro fino a creare piramidi umane di 4 piani, e altre evoluzioni spettacolari.
La serata è vicina al termine, ma prima presentiamo loro il materiale portato da casa.
Non so quanti di voi che leggono questo blog abbiano contribuito regalandoci penne, pastelli, pennarelli, carta, forbici, scotch, palloni.. Ma voglio che chi di voi ha contribuito sappia che le facce dei bambini durante la consegna dei regali rimarrà per sempre impressa nella memoria a fuoco caldo. Se la gratitudine avesse un volto, se la felicità avesse un suo sorriso, sono sicuro che quello sarebbe il loro.
La serata è finita, preghiera tutti insieme e poi salutiamo tutti bambini.
Prendiamo un tè caldo nella main house tra di noi, e andiamo a letto. La sveglia è alle 6, perchè domani lo stesso Matatu di stamane ci porterà a Korogocho, dove assisteremo alla messa.

lunedì 3 agosto 2015

Kenya: DAY #6 31-07

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Jane, la cuoca della parrocchia in cui siamo ospitati, questa mattina ci ha preparato una sorpresa. Per colazione oltre al solito tè abbiamo potuto assaggiare per la prima volta i Maandazi, delle specie di frittelle, e i Samosa, degli involtini di carne e cipolla.
Tutto molto buono, ed è così che troviamo la carica giusta per affrontare la dura giornata che ci aspetta.
Il saluto ai bambini della scuola elementare di Kamiti
Il saluto ai bambini della scuola elementare di Kamiti
Come al solito andiamo alla Cafasso House, e ci dividiamo in gruppi per le attività mattutine. Durante il tragito incontriamo di nuovo i bambini della scuola elementare che ci danno dei cinesi.
Io e Noemi siamo ancora al carbone con Little John e Samuel, ed iniziamo a lavorare esattamente come ieri. Questa volta però prestiamo più attenzione all’impasto, che ieri conteneva troppa terra e quindi faceva faticare a rimanere compatto.
Oggi invece riusciamo ad ottenere dei salsicciotti di carbone come si deve, e Felix quando passa ci fa i complimenti e ci dice che stiamo diventando professionisti. Felix viene a trovarci insieme ad un nuovo ragazzo che si unirà alla famiglia della Cafasso House. Anche lui come tutti arriva qui dopo aver scontato i 4 mesi alla Y.C.T.C..
Il nuovo ragazzo si chiama anche lui John, e questo fa nascere una divertente discussione su come chiamare i 3 John presenti nella casa. Scopro da Meshack, il migliore amico di Little John, che in realtà a lui questo
Big John
Big John
soprannome non va molto a genio. Lui e Meshack sono i più piccoli del gruppo, sia in età che in statura, e questa cosa a loro pesa molto.
Chiedo a Little John come vuole essere chiamato, e mi dice che il suo vero nome è Ngioroghe.
Ci riuniamo per il chai break, e Wolf presenta a tutti il nuovo arrivato. John è molto timido, non parla e si presenta a tutti dicendo solo il suo nome e la tribù di provenienza.
Più tardi scopriamo dai ragazzi che è normale, e che tutti i nuovi arrivati non parlano per le prime due settimane. Si può anche comprenderli, arrivando comunque da una prigione e dovendosi inserire in un contesto completamente nuovo come quello della Cafasso House.
Dopo la pausa ripassiamo insieme entrambe le canzoni imparate ieri, Camminerò e Jesus asante sana. Poi è l’ora dell’attività, e oggi per loro abbiamo portato tanti fili per fargli fare gli scoobydou. Ognuno di noi fa vedere il procedimento ad un paio di loro, e a parte qualche eccezione imparano tutti in fretta e l’attività sembra piacergli molto.
Per pranzo si unisce a noi anche Kevin. Nel piatto troviamo riso e fagioli, da condire a piacere con sale e peperoncino.
Subito dopo il pranzo ci prepariamo e usciamo da Kamiti insieme a Kevin, che ci accompegnerà a Nairobi Town. Incontriamo sulla strada un Matatu che si ferma e ci saliamo sopra.
Dopo un’oretta e mezza arriviamo a Nairobi, in pieno centro città.
Dentro al Matatu!
Dentro al Matatu!
La folla di gente che cammina per i marciapiedi è davvero spaventosa, e devi praticamente farti trascinare. Siamo un gruppo abbastanza numeroso, quindi siamo costretti a fermarci più volte per aspettarci tutti.
La prima tappa è in una specie di centro commerciale, dopo visitiamo due negozi di souvenir mentre aspettiamo Marta che con Kevin è andata a cambiare dei soldi.
Dopodichè partiamo di nuovo e passiamo di fronte alla Corte Suprema, dove si svolgono i processi. Tutti i ragazzi che passano dalla Y.C.T.C. sono passati anche da qui, e immaginarli entrare come imputati mi fa davvero strano.
Poco dopo siamo al centro congressi. La maestosità e la ricchezza di questo posto fa davvero strano, anche dopo soli pochi giorni a Kahawa West. Si tratta di un palazzo di 29 piani, con un ascensore centrale che permette di salire in cima alla modica cifra di 400 scellini (4€).
L’ascensore è velocissimo, e ci porta in cima davvero in poco tempo.
Una volta arrivati sul tetto, lo spettacolo è davvero meraviglioso.
Panoramica dal tetto del centro congressi
Panoramica dal tetto del centro congressi
Scendiamo a ci rechiamo a Uhuru Park, il parco principale della città. Ci prendiamo una bibita e riposiamo un attimo. Una comitiva di keniani in gita vuole fare una foto con noi, come se fossimo un’attrazione turistica.
Il centro congressi di Nairobi
Il centro congressi di Nairobi
Ci rechiamo alla cattedrale, e poi alle 18 e 30 siamo già affamatissimi. Prendiamo posto in un chicken and fries in cui ci saziamo con pollo e patatine fritte a volontà.
La sveglia domani è alle 5, quindi accelleriamo i tempi e cerchiamo subito un matatu che ci riporti a Kahawa West. Il viaggio di ritorno è particolarmente movimentato, con scorciatoie improvvisate su strade sterrate e sorpassi che non stanno nè in cielo nè in terra.
Ma in Kenya o ti muovi coi matatu o non ti muovi proprio, e l’esperienza tutto sommato risulta decisamente divertente.
Arrivati a casa dobbiamo preparare gli zaini e il materiale per il week-end che ci aspetta.
Andremo a trovare un centro di riabilitazione per bambini vittime di abusi a Kibiko, a circa 300 metri sul livello del mare rispetto a Nairobi. Praticamente in montagna.
Passeremo la giornata con loro e dormiremo lì, per poi partire la mattina presto alla volta di Korogocho per visitare la baraccopoli più grande di Nairobi insieme a Kevin.
Non potrò portare il computer con me, quindi questo week-end non potrò scrivere il post. Recupererò la domenica sera tornato a casa.
Questa notte dormo da solo, perchè anche il prete se n’è andato.
Sarà un week-end impegnativo e soprattutto toccante.
Mi mancheranno i Cafasso Boys.

Kenya: DAY #5 30-07

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Nella camera dove dormo ora ci sono 4 persone, e del prete arrivato ieri sera non so davvero nulla. Quando mi sveglio trovo Bekele sveglio a sua volta che messaggia al telefono. Mi dice che oggi vuole venire con noi a visitare la Cafasso House, e gli dico che la partenza oggi è fissata per le 8.15.
Oggi come attività vogliamo preparare insieme ai Cafasso boys le tagliatelle col sugo. Quindi dopo una veloce colazione ci prepariamo e partiamo alla volta del mercato, dove compriamo gli ingredienti per preparare la pasta. Prendiamo 5 kg di farina, 10 cipolle e 80 pomodori (non li pesano, li contano). Carichiamo gli zaini ed entriamo a Kamiti, il quartiere carcerario.
Neomi e Little John preparano l'impasto per il carbone.
Neomi e Little John preparano l’impasto per il carbone.
Arrivati alla Cafasso House, siamo in ritardo con le tempistiche. Per preparare al meglio l’impasto, far bollire tutta l’acqua e tagliare le tagliatelle ci serve tanto tempo, e siamo in ritardo sulla tabella di marcia. Le attività del mattino però non si possono saltare, quindi come al solito ci dividiamo in gruppi.
Oggi c’è il cambio turno, e dalle mucche passo al carbone insieme a Noemi. Con noi ci sono Little John e Samuel, che velocemente ci spiegano il da farsi. In una capanna c’è un grosso mucchio di carbone comprato al mercato. Da quel carbone si ricava la cenere attraverso l’uso di un setaccio, e si riempie la carriola. Si aggiunge un po’ di terra e dell’acqua, e dopo bisogna mischiare il tutto in un impasto omogeneo.
Questo impasto, poi, viene modellato mediante l’uso di una macchina in cui si spinge la brodaglia attraverso un canale per creare dei salsicciotti di carbone. Questi vengono poi messi a seccare su una rete, per essere poi usati in cucina allo stesso modo in cui noi usiamo la carbonella.
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Mentre Noemi aiuta Samuel con questa macchina, io e Little John prepariamo l’impasto successivo. Setacciando il carbone, parlo con John del clima kenyota e lo confrontiamo con quello italiano. Per loro è il periodo più freddo dell’anno, e io sono in maglietta e pantaloni corti. Lui indossa un cappello di lana.
Ad ogni modo alla fine dell’attività ci raduniamo tutti per bere il chai, e iniziamo a preparare l’impasto delle tagliatelle. Diamo ad ognuno di loro una piccola parte dell’impasto, per poi unirlo tutto insieme successivamente. Hanno una forza impressionante e grazie a loro riusciamo ad ottenere un ottimo impasto, abbastanza omogeneo.
Patricia, la cuoca della Cafasso House, che prepara la carbonella per fa bollire l'acqua.
Patricia, la cuoca della Cafasso House, che prepara la carbonella per fa bollire l’acqua.
Dopodichè ci dividiamo i compiti e mentre qualcuno stende la pasta, altri la tagliano con il coltello per dare la forma delle tagliatelle, e altri ancora la ammucchiano in nidi per riporla sui vassoi.
Durante le attività della mattina Marta e Martina avevano intanto tagliato i pomodori e le cipolle e preparato il sugo.
L’acqua per la pasta fa fatica a bollire, ma il tempo scarseggia e riusciamo comunque a cuocerle. 4 kg di tagliatelle al sugo sono servite in tavola, e si uniscono a noi anche due guardie della prigione di media sicurezza. Alcuni di loro mischiano la pasta con l’avocado.
Dei 4 kg non avanza niente, e siamo tutti quanti strapieni, tanto da cambiare l’attività del pomeriggio. In origine dovevamo farli giocare a scalpi, e invece decidiamo di insegnare loro una canzone.
Scegliamo Camminerò, scriviamo il testo su dei foglietti e loro si impegnano moltissimo per impararla. Accompagno le prove con la chitarra, e il risultato finale è molto soddisfacente. Anche dopo le prove, loro continuano a canticchiarla mentre fanno altro, e questo ci fa molto piacere.
Ma anche loro vogliono insegnarci una canzone, ed impariamo Jesus asante sana, una canzone a due voci in cui tutti quanti cantano la voce principale ed Ezechiele fa la voce bassa.
Quel ragazzo ha un’estensione vocale incredibile, e anche qui il risultato è più che soddisfacente.
Usciamo all’aperto per imparare alcuni balli tipici, e per una buona mezz’ora balliamo e cantiamo con loro. I ritmi sono davvero molto coinvolgenti e, a parte qualche eccezione, loro sono tutti molto bravi.
Finiti i balli, salutiamo i ragazzi e ci dirigiamo verso una casa per orfani gestita dalla ONG Papa Giovanni XXIII, dove incontriamo Simone, un ragazzo italiano che vive lì da 4 anni.
Ci spiega cosa fanno lì, le attività e ci fa fare un tour della casa. Ci riuniamo tutti nel campo da calcio per altri balli e canti tipici. L’energia e il sorriso di quei bambini sono una cosa davvero incredibile.
Il foglietto preparato per me dai ragazzi, per farmi imparare la canzone.
Il foglietto preparato per me dai ragazzi, per farmi imparare la canzone.
Torniamo a casa e per cena c’è ugali con sukumawiki e carne. Con noi c’è anche Wolf, che questa sera dovrà stare in parrocchia per una riunione. Si unisce a noi anche Kevin che nei prossimi giorni ci porterà a Korogocho, la baraccopoli più grande di Nairobi.
Kevin mi insegna come si mangia l’ugali in Kenya con le mani, e la cena finisce con una discussione davvero profonda che tocca tanti argomenti, durante la quale a molti di noi compreso Kevin si gonfiano gli occhi.
Kevin è nato e cresciuto a Korogocho, e la sua storia è ricca di aneddoti e di un modo di affrontare la vita che ci lascia spaesati e perplessi. Parla inglese molto bene, rispetto a molti altri la cui pronuncia risulta a volte davvero incomprensibile.
Concludiamo il confronto promettendoci di continuare in un altro momento, e ci prepariamo per la nostra prima uscita serale a Kahawa West. Kevin e Morgan ci portano in una specie di pub, dove finalmente proviamo la Tusker, una birra prodotta in Kenya. Si balla, si beve, si mangia, si scherza e si ride.
Abbiamo un tavolo esattamente sotto una grossissima cassa che pompa musica a volume altissimo, e parlare tra di noi è difficilissimo.
20150730_213906Usciamo dal locale perchè alle 22:45 il watchman libera i cani da guardia.
Bekele è andato via e Steven pure, quindi questa notte in camera saremo solo io e il prete, di cui ancora non ho capito il nome. Quando rientro lo trovo ancora sveglio, e iniziamo a parlare delle nostre giornate.
Gli chiedo se è mai stato in Italia, e mi spiega che per i kenyoti ottenere la Visa per poter entrare in Italia è davvero difficile, ma che spera di riuscirci al più presto. Vuole visitare Roma e il Vaticano, e mi fa tantissime domande su Piazza San Pietro e su come funzionano le celebrazioni tenute dal papa.
Gli rispondo per quanto possibile, e dopo una buona mezz’ora di dialogo ci diamo la buonanotte.
Sono davvero stanchissimo, e arrivo alla fine di questo post davvero stremato.
Domani pomeriggio andremo a Nairobi town.
Io e Morgan!

Kenya: DAY #4 29-07

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Mi sveglio un po’ più in botta del solito, probabilmente la stanchezza inizia a prendere il sopravvento. Dopo la colazione ci prepariamo e andiamo alla Cafasso House, questa volta con del materiale per un’attività che svolgeremo nel pomeriggio.
Io mentre carico la carriola di letame a Samuel.
Io mentre carico la carriola di letame a Samuel.
Ma la prima parte della mattina è dedicata al lavoro, e ci dividiamo ancora negli stessi gruppi di ieri. Stavolta con noi alle mucche c’è Tam, che ci fa lavorare molto più di Ezechiele ed Enoc.
Ma ad un certo punto mi allontano dal gruppo per aiutare Samuel e Andrew a trasportare il letame dalla baracca delle mucche ad alcuni campi, usando delle carriole.
Andrew mi dà i suoi stivali, e io mi trovo letteralmente nella merda fino al collo.
Facciamo un po’ a turni, c’è chi carica le carriole col letame e chi lo trasporta fino al campo. L’odore che mi si attacca addosso mi accompagnerà per tutta la giornata, ma il tempo passa in fretta tra sorrisi e canzoni. Do anche da mangiare alle mucche il cibo precedentemente tagliato.
Alle 10 e mezza torniamo alla casa per il chai, e subito dopo iniziamo un attività che i ragazzi ci hanno molto richiesto: vogliono insegnarci a fare i braccialetti!
Loro sono molto bravi, e ognuno di noi ha un “maestro” personale che gli spiega passo passo il procedimento. Dopo qualche difficoltà iniziale, riusciamo tutti a capire come funziona e iniziamo a lavorare coi fili colorati che abbiamo portato dall’Italia.
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Dopo un’oretta ci fermiamo e andiamo in cappella tutti insieme, per la preghiera. Quest’ultima è in swahili ma fortunatamente è accompagnata da numerosi canti, che rendono il momento molto bello e particolare. Dopo la preghiera arriva l’ora del pranzo, e mangiamo gidheri, un piatto composto da fagioli, mais e patate. Il tutto condito a piacere da un ottimo peperoncino locale.
Dopo pranzo continuiamo per un po’ i nostri braccialetti, ma poi li mettiamo ancora in pausa per iniziare l’attività che abbiamo preparato per i ragazzi. Abbiamo portato con noi dei pezzi di tela su cui dovranno disegnare l’animale che vorrebbero essere. L’idea a loro piace molto e
Io e Little John durante l'attività di disegno.
Io e Little John durante l’attività di disegno.
quindi si mettono all’opera. Ognuno di noi segue un ragazzo e lo aiuta con le tempere ed il disegno.
Io seguo Little John, chiamato così perché alla Cafasso House ci sono due John e lui è il più basso dei due.
John decide di disegnare un elefante. Mi chiede se è possibile avere un modello, e io cerco un immagine col telefono e gliela mostro. Prende il lavoro molto sul serio, e rimane concentratissimo per tutto il tempo. L’attenzione che tutti i ragazzi dedicano ad ogni cosa che proponiamo loro è quasi disarmante, e non smette mai di stupirci.
Prima disegnano la sagoma dell’animale con la matita, e poi lo colorano con le tempere. Little John è molto bravo, e disegna un elefante con delle proprozioni molto reali. Sembra davvero orgoglioso e soddisfatto del suo lavoro, e il suo viso si riempie di gioia. Mi ringrazia per essere stato con lui, e io gli faccio i complimenti per l’ottimo lavoro.
Il primo allenamento del Cafasso Team!
Il primo allenamento del Cafasso Team!
Finita l’attività, ce n’è subito un’altra: ieri dopo la partita mi avevano chiesto di fare loro da allenatore e di allenarli come squadra di calcio. Allora ci rechiamo tutti al campo e io e Francesca, che ha giocato a calcio, facciamo loro da allenatori per un’oretta.
Anche qui, la facilità nel gestirli e la loro attenzione a tutto quello che diciamo continua a sembrarci incredibile, e il nostro primo allenamento finisce tra mille sorrisi e con la loro richiesta di un bis.
Torniamo alla Cafasso House per prendere le nostre cose e li salutiamo. Lasciamo lì i braccialetti per continuare domani. Quando torno incontro Felix e gli chiedo se gli è piaciuta l’attività che abbiamo fatto fare ai ragazzi e se i disegni sono di suo gradimento. Mi risponde che è stata un’ottima attività, perchè dal tipo di animale scelto dai ragazzi si possono scoprire molte cose sulla loro personalità. Ci fa anche qualche esempio, e noi ascoltiamo molto interessati e constatiamo quanto di vero ci sia nelle sue parole.
Al ritorno sono distrutto. Ci fermiamo in un baracchino fuori dalla parrocchia per comprare due bottiglie di bibite da bere tutti insieme: siamo in calo di zuccheri.
Io, Chiara e Francesca incontriamo Padre Alex e ci fermiamo a parlare con lui fino all’ora di cena. La conversazione assume la forma di una divertentissima lezione di inglese per Francesca, e a noi si unisce anche Bekele, il seminarista che da ieri dorme nella mia stanza insieme a Steve.
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Per pranzo ci sono i chapati con piselli e carote. Sono affamatissimo e spazzolo il mio piatto con gusto. Non rimaniamo in cucina come al solito perchè siamo davvero tanto stanchi.
Nella camera delle ragazze riguardiamo per foto che Marta ci ha fatto durante la giornata, facendoci delle grasse risate.
Mentre scrivo questo post, Bekele già dorme. Steve è appena arrivato con un nuovo compagno di stanza. Di lui non so nulla, mi ha solo detto che è un prete. Domani lo conoscerò meglio.
Domani faremo le tagliatelle al sugo con i ragazzi della Cafasso House.

Kenya: DAY #3 28-07

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Dopo aver scritto il solito post, ho avuto un incontro ravvicinato con una zanzara grossissima all’interno della zanzariera in cui dormo. L’ho addirittura fotografata, mentre cercavo di capire il da farsi. Il tutto è finito con un brutale assassinio della stessa utilizzano il cuscino. Steve ogni mattina si sveglia alle 5 per aprire tutte le porte della parrocchia, siccome la prima messa è ogni giorno alle 6. Questa mattina ha fatto particolarmente casino, svegliandomi. Nonostante questo il sonno è stato piacevole e ristoratore, e la stanchezza del giorno prima è già passata. Marta mi sveglia alle 7, e sono pronto in pochi minuti. Vado in cucina per la colazione ma non trovo nessuno, dato che le ragazze sono ancora in camera. Ne approfitto per rileggere e controllare quanto ho scritto la notte precedente, e mi rendo conto di quanto possa essere utile un diario per conservare al meglio le proprie emozioni e i propri ricordi. Dopo colazione ci prepariamo per recarci alla Cafasso House, dove ci aspettano i ragazzi per le attività. Appena arrivati ci dividiamo in 3 gruppi. Il primo aiuterà alcuni ragazzi a rimuovere le erbacce dal grande orto che circonda la casa, il secondo starà con altri Cafasso boys a lavorare con il carbone, per creare delle specie di salsicciotti di carbone che usano per cucinare. Non sono stato in questi gruppi, per cui non posso ancora spiegarvi bene in cosa consiste quest’attività.
Io e Francesca che tagliamo le piante di mais per le mucche.
Io e Francesca che tagliamo le piante di mais per le mucche.
Il mio gruppo, il terzo, si occupava degli animali. Di fianco all’orto c’è uno stabile con 2 mucche, 2 vitelli e 2 capre. Il nostro compito è quello di tagliuzzare erbacce e spighe di mais per darle da mangiare agli animali. Questo avviene tramite una macchina, in cui da un lato si spinge dentro la spiga e dall’altro una lama azionata da una ruota sminuzza il tutto. In gruppo con me c’è Francesca, e insieme riusciamo a conoscere meglio alcuni ragazzi. Assieme a noi ci sono Ezechiele e Enoc. Ci insegnano una canzone in kiswahili, mentre continuano incessantemente a sminuzzare mais. Girare quella ruota è davvero faticoso, e loro lo fanno con una facilità disarmante. Io e Francesca aiutiamo per quanto possibile e il tempo passato insieme è davvero piacevole. Alle 11, sono finite le attività e andiamo tutti in casa per bere il Chai, un buonissimo tè col latte. Viene a trovarci Angelo, che vive qui in Kenya da due anni con la moglie e la figlia appena nata.Provo ad insegnare loro a suonare i cucchiai, ma con scarsi risultati. Solo Big John e Duke riescono nell’impresa. Ma il ritmo ormai è nell’aria, e portano un bongo e si dà il via alle danze.Questi ragazzi ballano tutti in un modo straordinario, hanno davvero il ritmo nel sangue. A pranzo la cuoca ha preparato i Chapati, praticamente delle piadine, accompagnate da un legume non ancora identificato e delle cipolle. Ne mangio ben due piatti, e la cuoca ne è ben contenta. Come al solito le porzioni dei Cafasso Boys sono spropositate. Dopo pranzo ci rechiamo alla Y.C.T.C. per una partita di calcio tra i Cafasso Boys e i giovani detenuti della Y.C.T.C.. I ragazzi della Cafasso si salutano con le guardie del carcere minorile che li ha ospitati per 4 mesi. Ridono e scherzano, il clima è talmente disteso e sereno da sembrare surreale. Ci rechiamo verso il campo da calcio all’interno della prigione, e incontriamo i detenuti in divisa blu inginocchiati in file ben ordinate, sotto la sorveglianza delle guardie.
Io con alcuni Cafasso boys mentre ci dirigiamo alla Y.C.T.C.
Io con Enoc, Duke, Andrew e John mentre ci dirigiamo alla Y.C.T.C.
Il Cafasso Team!
Il Cafasso Team!
Con il nostro arrivo c’è il rompete le righe, e tutti insieme andiamo al campo. Tutto è organizzato al meglio per il match: ogni squadra ha la sua divisa con maglietta e pantaloncino, e i ragazzi della Y.C.T.C. hanno addirittura tutti le scarpe uguali da calcio, con i tacchetti. Questa cosa mi spaventa parecchio, siccome io farò parte del Cafasso Team. Le mie paure si rivelano fondate all’inizio della partita, quando mi accorgo di come il nostro calcio sia veramente molto tecnico rispetto al loro, basato quasi completamente sulla fisicità. Io non reggo il confronto con i loro contrasti, e la maggiorparte delle entrate sono ben oltre il limite del regolamento. Ma il tutto risulta davvero molto divertente e nonostante il Y.C.T.C. team ci abbia battuto 5 a 1 (con qualche goal fantasma) i sorrisi non mancano. Quanto corrono! Io ho il fiatone e loro sembrano avere ancora benzina per un’altra partita. Finita la partita salutiamo i ragazzi della Y.C.T.C. e torniamo alla Cafasso House, prendiamo le nostre cose, salutiamo i Cafasso boys e torniamo verso la parrocchia. Sulla strada ci fermiamo a comprare delle ciabatte da tenere alla Cafasso House per non sporcare all’interno con le scarpe. Marta, Francesca e Valentina continuano le loro compere al mercato mentre io con Alice, Chiara, Martina e Noemi torniamo nelle nostre stanze. Uso questo tempo libero per fare il bucato, e lavare le scarpe di tela che ho stupidamente scelto per questa giornata, non sapendo di dover stare in mezzo alle mucche.
Alcuni giovani detenuti della Y.C.T.C.
Alcuni giovani detenuti della Y.C.T.C.
Per cena la cuoca ci fa una sorpresa: pasta col ragù! Una delle migliori paste cucinate da locali che io abbia mai provato all’estero. Ci rifocilliamo e durante il pranzo ci scambiamo le impressioni sulla giornata, e programmiamo cosa fare domani. Io, Martina, Noemi e Valentina giochiamo a monopoli, mentre le altre si dedicano a scala 40. Durante la partita arriva Steve e mi dà due notizie: la prima è che da giovedì a domenica non ci sarà, perchè sarà a trovare la sua famiglia. Invita me e tutto il gruppo a unirsi a lui, ma purtroppo i nostri impegni ci costringono a declinare l’invito. La seconda notizia è che stanotte si unirà in stanza un’altra persona: è Bekele, un seminarista etiope ospite della parrocchia. Prima di mettermi al computer passo una buona mezz’ora a parlare con lui. E’ molto gentile ed una persona davvero interessante. Torna Steve e insieme mi invitano alla messa delle 6. Ci scambiamo la buonanotte. E anche oggi è finita. Quant’è bello il Kenya.