Vengo svegliato dalla voce di John che puntale, alle 6, viene a svegliarci. La vita a Kibiko si è già svegliata da un pezzo, e all’appello manchiamo solo noi.
Pioviggina, e tutti assonnati ci rechiamo alla main house per fare colazione. Insieme al solito chai, possiamo finalmente mangiare il pane preparato dai bambini, veramente ottimo.
I bambini di Kibiko sono già tutti svegli, ed ognuno è già impegnato nelle proprie attività. Ci raduniamo e li salutiamo tutti.
Intanto il Matatu è già arrivato e saliamo a bordo, direzione Korogocho. Ma prima facciamo tappa a prendere Angelo, che si unirà a noi in questa giornata. Arriviamo a casa di padre Maurizio, appena fuori da Korogocho. Anche lì ci viene offerto tè e caffè, che accettiamo volentieri. Durante la notte ha piovuto, e la temperatura non è delle migliori.
Tutti insieme ci incamminiamo verso Korogocho, guidati da padre Maurizio. Oltrepassata la baraccopoli, arriviamo al cuore dello slam: l’enorme discarica la che rende tristemente famosa. Durante la giornata non riesco a fare foto perchè tirare fuori il telefono qui dicono essere pericoloso.
Quasi 10 km di discarica a cielo aperto, in cui vengono riversati tutti i rifiuti dell’interà città di Nairobi.
Marta, Angelo e Maurizio ci avevano avvertiti: nessuna parola avrebbe potuto spiegare l’impatto visivo (e olfattivo) che si ha guardando quell’enorme distesa di rifiuti. Pensare che intere generazioni sono nate, cresciute e morte in mezzo al quel tanfo e a quel degrado, lascia tutto il gruppo con un grosso nodo sulla gola.
Arriviamo alla parrocchia gestita dai comboniani, situata proprio a ridosso della discarica.
Incontriamo Kevin, che ci saluta e ci porta alla biblioteca dove lavora. Qui vengono accolti oltre 1000 bambini ogni giorno, e si svolge un accurato lavoro di ricerca e aggiornamento dei libri di testo.
Assistiamo alla messa, anche qui molto animata e soprattutto molto sentita, celebrata da Padre Maurizio sotto un tetto fatto di lamiere.
Anche qui, verso la fine della celebrazione Marta interviene presentandoci alla comunità.
Finita la messa ci troviamo in un’aula insieme ad un gruppo di giovani della comunità, veramente ben organizzato, con cui sviluppiamo una discussione veramente utile ed interessante.
Padre Maurizio detta il topic: “Qual è la maggiore difficoltà che riscontrate dove vivete?”
Interveniamo un po’ tutti, e la cosa diventà in più tratti molto toccante e profonda.
Finito l’incontro, lo stesso gruppo ha organizzato per noi il pranzo: chapati, sukumawiki e piselli. Fino ad ora, i chapati più buoni e gustosi mai provati in Kenya.
Dopo pranzo ci rechiamo tutti insieme alla discarica, per vedere e toccare con mano cosa realmente sia quel mostro urbano che circonda Korogocho. Intorno alla discarica gira tutta l’economia della baraccopoli: infatti tra l’immondizia ci sono persone che passano le giornate a cercare qualcosa da poter riutilizzare o vendere nel mercato locale.
Proprio davanti alla discarica, si trova l’altro centro Nakupenda Kuishi, un grosso spazio dove ogni giorno tranne la domenica vengono accolti centinaia di bambini e viene data loro un’istruzione di base e cure mediche. Da qui, i casi più difficili vengono portati a Kibiko.
E’ lo stesso personale del centro che trova i ragazzi di strada e li invita a frequentare il progetto.
Torniamo a piedi a casa di padre Maurizio, e li ci salutiamo.
Due ragazzi di Korogocho, amici di Marta, si offrono di accompagnarci fino a Kahawa West con il matatu.
Ci dividiamo in due gruppi, e con me ci sono Chiara, Noemi, Francesca, Alice e uno dei due ragazzi. Durante il tragitto il motore del mezzo si surriscalda, e inizia a produrre un denso fumo nero. Scendiamo, e ne aspettiamo un altro. Tutta esperienza.
Invitiamo a cena i due ragazzi e dividiamo il pasto con loro. Dopo cena io con Alice, Marta e i due ragazzi andiamo al pub per bere una birra. Si unisce a noi anche Wolfram.
Questo week-end mi ha distrutto, ma è stata un’autentica lezione di vita che mai dimenticherò.
Korogocho sicuramente ha lasciato in me un segno forte, indelebile. L’odore di quel posto ti entra nel naso, nei vestiti, nella pelle, per non uscirne mai più.
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