lunedì 24 agosto 2015

NICARAGUA: CINQUE TARTARUGHE

Non sono capace. Questo è stato il mio primo pensiero quando ho messo piede nell’aula di El Guis in cui lavorerò tutte le mattine di questa settimana.
Sere e Bea appoggeranno rispettivamente l’insegnante della classe di secondo grado e ciclo unico, mentre io avrò a che fare con cinque bambini di età compresa tra i sei e i dieci anni con differenti disabilità mentali. Gioco decisamente fuori casa: mi mancano competenze ed esperienza nel campo. Capisco a fatica lo spagnolo e lo parlo con ancora maggiori difficoltà. Anche il loro linguaggio del corpo è differente dal mio. Così come la consequenzialità nei ragionamenti o nelle azioni.

Entro in aula e subito mi corre incontro un bambino magrissimo. A vederlo mi dà l’idea di avere sei anni appena compiuti. Prima che possa pensare a come approcciarmi nella maniera migliore, avvolge i miei fianchi con quelle braccine piccolissime e mi appoggia la testa sulla pancia. Ha gli occhi chiusi e sorride. Questo linguaggio lo capisco: significa fiducia e affetto. Lo stringo forte anche io e gli sorrido presentandomi. Si chiama Dorian.
Tranquillizzata da queste modalità di contatto famigliari, mi avvicino ad un altro bambino.
Josuè. Ha i tratti somatici tipici di chi ha un ritardo, anche se non saprei dire a quale tipo di sindrome possano essere associati.
Mi presento sorridente e gli chiedo il suo nome. Non dice una parola e continua a fissare un punto nel vuoto, come se non mi avesse sentita. Mi ha sentita invece, perché di rimando mi tira una sberla sul braccio. Questo non lo capisco: è frutto di un meccanismo mentale diverso dal mio e da quello delle altre persone. Dovrò lavorarci.
Per quanto ne so ora, statisticamente, ho il 50% delle probabilità di ricevere un abbraccio.
Poi c’è Andres. Non mi parla, ma ne è capace. Non vuole essere avvicinato, non desidera alcun contatto e il semplice toccargli la testa lo fa scappare. Per tutto il resto della giornata si tiene a distanza da me.
Milagros è sicuramente affetta da qualche forma di autismo, altro non so di preciso. Lo si capisce dai segni dei morsi che ha sui polsi. Non comunica in maniera normale e quando si innervosisce ricomincia a tormentarsi le braccia con i denti. Il dolore fisico, soprattutto se autoinflitto, mi turba particolarmente. Da sempre.
Questa sua tendenza mi mette estremamente a disagio nel rapporto con lei. Non so come avvicinarla e temo di poterla mettere in condizione di non sentirsi bene e di ricominciare a mordersi. Scelgo di essere cauta e di osservarla attentamente, almeno all’inizio.
Infine Isidro. Per quanto mi sforzi, non riesco proprio a trovare uno schema nei suoi comportamenti. E’ un totale mistero.
La mattinata trascorre tranquilla e io cerco semplicemente di aprire la mente e cogliere quanti più dettagli possibili. Mi rendo utile come posso, cercando di alleggerire il lavoro della “profesora” e di aiutarla a preparare la lezione di matematica per i giorni seguenti.
L’argomento sarà il numero cinque. Su questo almeno sono ferrata. E il mio compito in quest’ottica, sarà quello di disegnare delle tartarughe che poi i bambini potranno contare. Chi conosce bene me e i miei omini stilizzati o ha avuto la sfortuna di avermi come compagna di squadra a taboo, saprà che anche questo non è decisamente il mio campo da gioco. Il risultato, però, è sorprendentemente soddisfacente.


Non riesco a fare a meno di pensare che, se si affinano i sensi e ci si concentra mente e cuore su qualcosa, qualsiasi limite sia superabile. Tipo quello che separa una tartaruga che sembra una tartaruga, da una tartaruga che sembra un dinosauro o qualche animale inesistente. O quello che separa un bambino che non ha alcuna speranza di imparare a leggere o scrivere, da un bambino che conosce il numero cinque.

Cla

1 commento:

  1. ogni volta che vi leggo mi emoziono, siete grandi! quest'esperienza sarà indimenticabile

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