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domenica 10 settembre 2017

Cara Georgia...ti ho incontrata veramente!!

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Cara georgia,

Ormai sono passate più di due settimane da quando ti ho salutato. Il giorno in cui sono partita per questa avventura non sapevo cosa aspettarmi, chi avrei incontrato? Ora che sono tornata so di aver incontrato te nel volto di ogni persona che ha incrociato il mio cammino! Ti ho trovato nel saluto di Omar l'ultimo giorno al centro, nel grazie delle persone a cui abbiamo portato il pasto, nei palazzi fatiscenti, nella tua meravigliosa campagna con tramonti unici, nell'accoglienza di Padre Misha... un insieme di emozioni, a volte contrastanti, sono scaturite da questo incontro con te. Avevo paura, con il passare del tempo, di dimenticarmi ciò che ho provato e, invece, a distanza di giorni ripensando ad ogni momento di quelle giornate, sento le stesse emozioni. 


Cara Georgia sicuramente mi hai insegnato tanto: la bellezza della semplicità, il valore della dignità di chi vive con poco, il sorriso che non manca mai sul volto di bambini cresciuti in situazioni di difficoltà e molte altre sfumature di emozioni. 
Ho trovato te anche nell'incontro con i miei compagni di viaggio, prima semplici conoscenti e poi Amici. Georgia ci hai unito, ci hai fatto vivere un'esperienza vera, ci hai cambiato sicuramente. Per questo posso solo condividere due pensieri: prima di tutto un immenso grazie perché sono cresciuta dopo questo viaggio, mi hai donato un nuovo modo di leggere la quotidianità cercando di cogliere sempre nel negativo le piccole cose che ci danno gioia. In secondo luogo, ti prometto che la distanza non ci separerà, tutto quello che ho condiviso con te rimarrà per sempre nel mio cuore e probabilmente anche nella memoria dei bambini e delle persone incontrate. 

Spero a presto,

Valentina

sabato 2 settembre 2017

Georgia: L'incontro con un gruppetto un pò così

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L’incontro con l’altro può essere semplice, difficile, faticoso, soddisfacente, prezioso e a volte perfino fastidioso. Per me l’incontro con l’altro in Georgia è stato un po' di tutto questo e l’ho vissuto in particolare con un gruppetto di ragazzi. Questi erano un po' spavaldi, si sentivano padroni di se e credevano di poter fare ciò che volevano. In effetti durante il campo è stato proprio così…hanno raramente partecipato alle attività e difficilmente si riusciva ad interagirci in modo costruttivo.

Nonostante tutto ciò, un modo per stare con loro alla fine si è trovato, il calcio. Intense lunghe estenuanti partite di calcio sotto un sole cocente e immersi in una umidità olimpionica (difficile). La mattina non avrebbero giocato 10 minuti sotto al sole ma il pomeriggio a calcio, nessun problema! Il calcio è sempre il calcio!

Fin dai primi giorni in cui li abbiamo conosciuti la comunicazione con alcuni di loro è stata difficile, non tanto per la lingua, quanto perché l’uso della parola era spesso accompagnato dal contatto fisico a volte un po' forte (fastidioso). Anche in questo caso però un modo di comunicare con loro alla fine si è trovato, semplici gesti come un “batti un cinque” o un “okay” e qualche sorriso sono stati sufficienti per mostrargli che esistono anche altri modi di relazionarsi.

Siamo quindi riusciti a far fronte tanto alla spavalderia quanto al voler fare ciò che volevano, ridimensionando un po' il loro modo di stare con noi (soddisfacente). Per quanto riguarda il sentirsi padroni di se non c’è stato un modo di stare, bensì di non-stare. Quando a fine campo era giunto il momento di salutarsi, quel gruppetto che fin dall’inizio era sembrato essere il più indifferente verso il volontario, è rimasto fino agli ultimi saluti, qualcuno trattenendo qualche lacrima, qualcun altro protraendosi in lunghissimi abbracci. Chi se lo aspettava?

Da quel momento ho iniziato a pensare che l’incontro con l’altro lascia, più o meno consapevolmente, sempre qualcosa di se e porta a casa qualcosa dell’altro, come uno scambio (prezioso). Nel mio caso porterò con me qualcosa che già in parte avevo ma che è sempre difficile tenere a mente, la consapevolezza che dell’altro non so nulla. Alcuni dei ragazzi hanno situazioni familiari e di vita che ben possono spiegare certi loro comportamenti. Mentre il momento del saluto mi fa pensare che anche alcuni di loro porteranno a casa qualcosa, magari qualcosa che non hanno mai avuto.
Madloba bavshvebi!

Nella foto Dato, uno dei ragazzi...un pò così

martedì 8 agosto 2017

Khachapuri, khincali, bavshvebo...ma è solo questa la Georgia?

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Quando Giuseppe ci ha proposto di accompagnarlo a portare il pasto caldo in 18 abitazioni di Kutaisi, abbiamo accolto l'idea con entusiasmo. Il pensiero di toccare con mano una nuova realtà ha acceso da subito la nostra curiosità.




Abbiamo così caricato la jeep con pasti caldi e pane. Pronti a partire!

Quando abbiamo varcato la soglia della prima abitazione, ci siamo sentite colpite da un'ondata di sensazioni ed emozioni contrastanti: c'era la voglia di rendersi utili, ma anche il timore di entrare in quelle case; il piacere di chiacchierare con le famiglie e, allo stesso tempo, la fatica di stare in stanze così "pesanti".
Forse può sembrare forte ciò che stiamo dicendo, ma l'impatto è stato con una realtà che ci eravamo immaginata molto diversa.
Case senza bagni, buie, odori molto forti, sporcizia, cavi del gas intrecciati a cavi della corrente, scale pericolanti ed ascensori fatiscenti... Sono solo piccoli dettagli che però non bastano a descrivere quella che è la condizione di vita di una grande parte della popolazione di Kutaisi, città di circa 200.000 abitanti.




Ma ciò che ci è rimasto di questo servizio non è solo la precarietà delle condiziooni di vita in cui le famiglie vivono, ma qualcosa di più profondo. La semplicità con cui ci hanno accolto, il sorriso sui loro volto e quei "kargad tsandebodet" ("grazie per essere passati proprio da me") con cui ci hanno salutato.

L'umiltà di farsi aiutare di certo non gli manca e si tengono ben stretta la loro dignità, che nemmeno la povertà riesce a portargli via.

Graziee!!




Marta&Vale



lunedì 29 agosto 2016

Georgia: l'abbraccio di una terra sconosciuta

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"Non parto per cambiare il mondo, parto per cambiare me stesso": questa la frase scritta sulla maglia che Giacomo indossava il giorno in cui siamo arrivate in Georgia. Mi ha colpito, non tanto la frase in sé quanto il fatto che quello era esattamente il motivo per cui ero partita io.

Non sono capace di descrivere le sensazioni, ma oggi ho riletto per intero, tutto d'un fiato, il mio "diario di viaggio". E mentre i miei occhi scorrevano veloci sopra le righe scritte quelle sere in Georgia appena prima di addormentarmi sfinita, nella mia mente ricompariva il sorriso enorme di mama Misha nel momento in cui aveva trovato le caramelle anche per me nonostante le mie allergie; e sentivo di nuovo il calore e l'entusiasmo degli "animatorebi" di Vale la prima sera, quando ci hanno sommerso di stelle filanti e coriandoli scintillanti; provavo ancora una volta quella tenerezza infinita che ti può dare solo il sorriso di un bimbo che ti prende per mano e ti mostra il suo mondo, che non ti eri mai accorta di quanto fosse bello.



Tutte queste emozioni mi hanno travolta come un'orda di ragazzetti scapestrati (ovviamente capeggiati dal seminarista Beqa!!) che cercano di catturarti a "Bulldozer": è inevitabile che ci riescano!! Beh, era decisamente il giorno giusto per scrivere un post... Per fermare sullo schermo l'espressione stupita e divertita di mama Zurab quando gli urlavi "gavigeee!!", il sorriso di mama Darius e Merabi mentre cantavano con i bambini, la gentilezza di Tamazi.
E scrivendo mi rendo conto davvero di quanto queste tre settimane mi abbiano arricchito. Ho fatto fatica in questo cantiere, tanta fatica. E ho scoperto che voglio costruire la mia vita con fatica. Poi alla fine la fatica si dimentica, ma i frutti rimangono.
Ho portato a casa tanto, e sono convinta che tutto questo cambierà qualcosa nella mia vita quotidiana, magari quando non mi innervosirò di fronte alle domande invadenti di mia nonna o quando deciderò di non girarmi dall'altra parte, di non essere ignava.
Non posso dimenticare Lily, la mia "nonna georgiana" per eccellenza, che ci ha aperto le porte della sua casa insegnando a me e a Ilaria che non serve parlare la stessa lingua per capirsi.



Porto nel cuore gli occhi buoni di Mate-Mowgli, che spuntano vivaci sotto il suo casco di capelli neri. Sorrido mentre penso a Maka, alla risata spontanea di Nino e a quella contagiosa di Toke e Shota. Ricorderò sempre lo sguardo furbo e divertito di Martin mentre prepara uno dei suoi scherzi, le lezioni di cultura georgiana di Shota "maximus" e la dolcezza di Tamta e Paolo. Non riesco a non pensare alla follia di quello che è stato il mio branco-famiglia per tre settimane: Jessica, Franci, Liz, Sara, Ila, Katia, Elena, e Giuditta e Giacomo, le nostre due fantastiche guide.




Ho incontrato centinaia di volti, ognuno particolare e unico. 
Sì, sono partita per cambiare me stessa, non per cambiare il mondo. Per essere spugna e assorbire quanto più mi riusciva di una terra che non conoscevo e che non mi conosceva, ma che mi ha accolta tra le sue braccia. 
Una spugna non può prosciugare il mare: ci sono cose che non capivo, che non capisco e che non capirò mai. E di questo sono grata.


Terra insegnami l'umiltà 
come i fiori che sono modesti al loro sbocciare
Terra insegnami il rinnovamento 
come il seme che nasce a primavera 
Terra insegnami a ricordare la gentilezza 
come i campi aridi che trasudano per la pioggia

(tratto dalla preghiera UTE "Terra insegnami")

Didi madloba Sakartvelo
Claudia


Gavige: ho capito
Didi madloba: grazie mille
Sakartvelo: Georgia 

martedì 16 agosto 2016

Georgia: Atto Primo. Intermezzo: "I mille e uno usi di una mappa"

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Tanti sono gli usi di una mappa: una mappa può guidare, segnalare pericoli, dare sicurezza, far scoprire.
Ma l'uso più prezioso di una mappa è quello di far perdere il viaggiatore. A tutti è successo almeno una volta.
Perdersi porta a dover scegliere ai bivi, a conoscere realtà inaspettate, ad adattarsi in situazioni spinose.
In fondo perdersi porta a ritrovarsi. Noi per prime abbiamo seguito una rotta ben precisa per volare in questa terra sconosciuta chiamata Georgia.
Abbiamo seguito un cammino, una linea retta, che ci ha fatto trovare esattamente nelle stesse coordinate di una carta geografica.
E poi.. Ci siamo perse! Ogni passo deve cambiare direzione per seguire il flusso di questa terra, ogni gesto deve superare un ostacolo più o meno alto, ogni corsa verso un obiettivo trova terra difficile da modellare.
Perderci ci sta facendo reinventare noi stesse, ci porta a trovare nuove strade e, perché no, a modificare la nostra meta finale.
Spesso le mappe portano a un tesoro: noi siamo ancora molto lontane, ma siamo certe che la strada che insieme stiamo creando sia una delle migliori possibili.

Georgia's Angels

P.S. a Vale c'è stata una caccia al tesoro che ha coinvolto tutti il villaggio.

P.S.S: questo post è stato scritto mille anni fa ma eravamo così occupate a far ridere i polli che abbiamo aspettato fino ad adesso. 




lunedì 15 agosto 2016

"Galline in fuga" atto I - "le avventure dell'Albergatore nella ridente Vale"

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# Rispettando le tempistiche georgiane, anche le cantieriste della Georgia scrivono il loro primo post#



Dopo la lunga vacanza ad Istanbul (che è proprio volata!), gli angeli della Georgia sono approdate in quel di Vale, un piccolo villaggio nel sud della Georgia vicinissimo al confine con la Turchia (tranquilli, non abbiamo sconfinato e nemmeno fatto foto). Il suddetto villaggio è governato da un simpatico Signor Albergatore, conosciuto dai più come Mama Misha (MAMAOOOOOOO!!!!): come rappresentante dell’accoglienza e ospitalità georgiana, quando siamo arrivate in aeroporto ci ha calorosamente stritolato in un abbraccio e portate a Vale. Qui abbiamo subito la nostra trasformazione: da Angeli della Georgia a Galline in fuga.

Il Signor Albergatore ci ha ospitate nella sua dimora mettendoci a disposizione tutto il pavimento che c’era, il gigantesco frigorifero e tutte le dispense della cucina, le quali sono state prontamente riempite dalle care nonne georgiane che ci hanno sfamato; questo è solo un assaggio dell’ospitalità georgiana che comprende: vino, aglio, coriandoli e brillantini che ti rimangono nei capelli per giorni, corni in terracotta da bere tutto d’un fiato e la travolgente Maka che non dimenticheremo facilmente.

Ma cosa ci fanno 8 angeli trasformate in galline in quel di Vale? Semplice, fanno ridere i polli. 80, per la precisione. Ecco il numero dei bambini che ci hanno assalito durante tutta la settimana, tra un Bulldozer e una bandiera doppia, una staffetta con le spugne di Misha e una serie di laboratori che Giovanni Muciaccia levati, abbiamo trascorso un’intensa settimana superando degnamente la barriera linguistica.

Stapilosperi (il colore della carota) e Vardisperi (il colore della rosa) erano le due parole più gettonate per descrivere qualsiasi verbo, azione e reazione. Ci bastava unirle ai gesti giusti per raggruppare una 70ina di scalpitanti bambini che non si sono ancora accorti che non siamo georgiani e quindi non parliamo la loro stessa lingua.

Se volete sapere cosa abbiamo fatto in questo Cantiere, aspettate il prossimo atto.