lunedì 29 agosto 2016

Georgia: l'abbraccio di una terra sconosciuta

"Non parto per cambiare il mondo, parto per cambiare me stesso": questa la frase scritta sulla maglia che Giacomo indossava il giorno in cui siamo arrivate in Georgia. Mi ha colpito, non tanto la frase in sé quanto il fatto che quello era esattamente il motivo per cui ero partita io.

Non sono capace di descrivere le sensazioni, ma oggi ho riletto per intero, tutto d'un fiato, il mio "diario di viaggio". E mentre i miei occhi scorrevano veloci sopra le righe scritte quelle sere in Georgia appena prima di addormentarmi sfinita, nella mia mente ricompariva il sorriso enorme di mama Misha nel momento in cui aveva trovato le caramelle anche per me nonostante le mie allergie; e sentivo di nuovo il calore e l'entusiasmo degli "animatorebi" di Vale la prima sera, quando ci hanno sommerso di stelle filanti e coriandoli scintillanti; provavo ancora una volta quella tenerezza infinita che ti può dare solo il sorriso di un bimbo che ti prende per mano e ti mostra il suo mondo, che non ti eri mai accorta di quanto fosse bello.



Tutte queste emozioni mi hanno travolta come un'orda di ragazzetti scapestrati (ovviamente capeggiati dal seminarista Beqa!!) che cercano di catturarti a "Bulldozer": è inevitabile che ci riescano!! Beh, era decisamente il giorno giusto per scrivere un post... Per fermare sullo schermo l'espressione stupita e divertita di mama Zurab quando gli urlavi "gavigeee!!", il sorriso di mama Darius e Merabi mentre cantavano con i bambini, la gentilezza di Tamazi.
E scrivendo mi rendo conto davvero di quanto queste tre settimane mi abbiano arricchito. Ho fatto fatica in questo cantiere, tanta fatica. E ho scoperto che voglio costruire la mia vita con fatica. Poi alla fine la fatica si dimentica, ma i frutti rimangono.
Ho portato a casa tanto, e sono convinta che tutto questo cambierà qualcosa nella mia vita quotidiana, magari quando non mi innervosirò di fronte alle domande invadenti di mia nonna o quando deciderò di non girarmi dall'altra parte, di non essere ignava.
Non posso dimenticare Lily, la mia "nonna georgiana" per eccellenza, che ci ha aperto le porte della sua casa insegnando a me e a Ilaria che non serve parlare la stessa lingua per capirsi.



Porto nel cuore gli occhi buoni di Mate-Mowgli, che spuntano vivaci sotto il suo casco di capelli neri. Sorrido mentre penso a Maka, alla risata spontanea di Nino e a quella contagiosa di Toke e Shota. Ricorderò sempre lo sguardo furbo e divertito di Martin mentre prepara uno dei suoi scherzi, le lezioni di cultura georgiana di Shota "maximus" e la dolcezza di Tamta e Paolo. Non riesco a non pensare alla follia di quello che è stato il mio branco-famiglia per tre settimane: Jessica, Franci, Liz, Sara, Ila, Katia, Elena, e Giuditta e Giacomo, le nostre due fantastiche guide.




Ho incontrato centinaia di volti, ognuno particolare e unico. 
Sì, sono partita per cambiare me stessa, non per cambiare il mondo. Per essere spugna e assorbire quanto più mi riusciva di una terra che non conoscevo e che non mi conosceva, ma che mi ha accolta tra le sue braccia. 
Una spugna non può prosciugare il mare: ci sono cose che non capivo, che non capisco e che non capirò mai. E di questo sono grata.


Terra insegnami l'umiltà 
come i fiori che sono modesti al loro sbocciare
Terra insegnami il rinnovamento 
come il seme che nasce a primavera 
Terra insegnami a ricordare la gentilezza 
come i campi aridi che trasudano per la pioggia

(tratto dalla preghiera UTE "Terra insegnami")

Didi madloba Sakartvelo
Claudia


Gavige: ho capito
Didi madloba: grazie mille
Sakartvelo: Georgia 

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