venerdì 5 agosto 2016

Kenya,Nairobi : "Polvere"

Polvere. Polvere rossa. Polvere rossa nelle scarpe, nei calzini, perfino nelle mutande.

 Piantando e zappando nella shamba[1] è questa la sensazione. Ogni singolo colpo ben assestato nel terreno solleva polvere, una polvere così fine che permea ogni singola membrana del corpo. Quando si termina il lavoro nella shamba non si è più un muzungu[2] bianco, pallido e pulito ma nero, sporco, sudato e, se non si sta attenti, scottato.

 Polvere nel naso, nelle orecchie, sotto le unghie, sulle labbra, negli occhi. Una polvere strana, fin troppo volatile per essere semplice polvere di terra rossa d’Africa.
Scavo, sollevo terra per ore; ad ogni zappata mi riempio di polvere, ad ogni zappata rimuovo plastica. Bottiglie, pettini, copertoni, tubetti di dentifricio, tappi, confezioni, questo è quello che si trova scavando nella shamba.

“Gian, perché c’è così tanta plastica in questo terreno?” domando al mio coordinatore.
“Vedi”, risponde lui, “qui, prima di esserci un orto, c’era una discarica. Tutto quello che non è stato bruciato è rimasto nel terreno. La polvere che solleviamo zappando è tutta cenere”.

Il terreno di Nairobi è contaminato, non c’è differenziata, non ci sono cestini, la spazzatura prodotta viene gettata per strada, nei fiumi, nei campi liberi. Camminando si calpestano strati e strati di rifiuti, abbandonati sui margini delle strade tra bancarelle, mercatini, matatu[3] e piki – piki[4]. Ogni giovedì e sabato le “mama” setacciano la spazzatura raccolta in cerca di plastica da poter rivendere; il resto, per chi può permetterselo, viene raccolto e portato nell'enorme discarica a cielo aperto di Korogocho. Nelle maggiori delle ipotesi viene però bruciata lì dove viene accantonata, ai margini delle strade e nei campi.

“Rose, perché qui a Cafasso[5] bruciate tutti quei rifiuti? Non c’è altra soluzione?” chiedo alla housemother durante uno dei miei turni in cucina.
“Qui non possiamo fare altrimenti. All’interno di Kamiti non passa la “raccolta”, siamo obbligati a bruciarli per non esserne sommersi fino al collo. La raccolta passa solo in alcuni quartieri e solo per chi può permetterselo” risponde lei con tono sommesso.

Quanti di noi hanno immaginato la Notte di San Lorenzo in spiaggia, sdraiati a guardare le stelle, sperando di strappare un bacio proprio a quella ragazza distesa affianco a noi, scaldati da quel falò di legno di pino scoppiettante?

Qui, in Kenya, a Nairobi, tutte le notti sono illuminate e scaldate da falò, ma non siamo in spiaggia, non è legno di pino. Siamo in centro città, nei quartieri periferici, negli slums[6], e ciò che brucia è plastica.



Filippo Villa





[1] Shamba: terreno agricolo coltivabile.
[2] Muzungu: termine utilizzato per descrivere l’uomo bianco. Letteralmente: “qualcosa di diverso, di non comprensibile”.
[3] Matatu: minivan che fungono da mezzo di trasporto pubblico.
[4] Piki-piki: moto utilizzate come mezzo di trasporto pubblico.
[5] Cafasso: Halfway House. Continua la rieducazione dei ragazzi che hanno scontato una pena di 4 mesi nel YCTC, uno dei carceri presenti nel quartiere di Kamiti e dove si svolge la nostra attività di volontariato.
[6] Slums: baraccopoli.

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