Parto, volo, arrivo, non dormo, vado in bagno, mi sciacquo,
mangio, spiego, non capiscono, non dormo, vado in bagno, parto, mi siedo,
guardo il paesaggio fuori dalla finestra … la terra rossa, i banani, i colori
abbinati in modo assurdo, il disordine, il casino, i sorrisi sulle facce
stanche, le mani piene di calli, i piedi nudi su terreni rocciosi, le lamiere
usate come muri, i ponteggi di legno, la musica assordante su ogni mezzo
pubblico, dove sono finiti?
Non ci sono.
Sono partito per curiosità, desideravo comprendere, vedere
dal vivo l’Africa, un continente che sentiamo spesso nominare ma che in pochi
hanno veramente visto, salvo per le splendide aeree di villeggiatura che offre.
Cercavo risposte ai tanti interrogativi che fin da bambino mi rimbalzavano in
testa. In queste tre settimane le ho cercate in ogni parola, in ogni discorso,
in ogni sguardo delle persone che ho incontrato. Quali sono?
Non ci sono.
Le domande che mi ponevo erano innumerevoli, dai temi molto
variegati. Come vivono? Che lingua usano? Perché i paesi africani sono così
instabili? Come si fa ad abbandonare un bambino al suo destino? Perché sono
così credenti? Come fanno a sopravvivere a queste condizioni? Perché c’è questo
scarto così ampio tra poveri e ricchi? Perché
nascono gli slums? Come mai così tanta testardaggine? Per quale motivo, pur
essendo poveri, quando entri a casa loro ti offrono tutte quello che hanno,
sacrificando la loro cena? Come fanno a scocciarsi se non accetti quello che ti
offrono? Educano alla leadership, ma dove sono i loro leader?
Ho passato solo 3 settimane a Nairobi e potrebbe sembrare
normale che non abbia trovato quello che volevo più di tutto. Eppure quando
cerco le risposte nei miei coordinatori, che vivono in Kenya ormai quasi da un anno,
non le trovo; quando chiedo a Don Maurizio, padre comboniano da due anni a
Korogocho, non le trovo; quando interrogo Simone, membro dell’associazione Papa
Giovanni XXIII, da cinque anni a Kahawa West, non le trovo.
Nairobi è indecifrabile, indescrivibile, ineffabile. Ogni
giorno c’è qualcosa di nuovo che prima non c’era. Camminando per Kahawa c’è
sempre qualcosa che ti stupisce, che non ti aspetti.
“Gian, ma ha
piovuto per caso stanotte?”
“No,
perché?”
“Non vedi
questo fiume che attraversa la strada? Sono sicuro che ieri non c’era”
“Vero, hai
ragione, si sarà rotta qualche tubatura”
“Mama”,
chiese Gian ad una commerciante con i piedi immersi in una pozza piena d’acqua,
“ma questo ruscello?”
“Si è rotta
la fogna”, rispose lei, “qualcuno la aggiusterà”.
Sono tornato
da una settimana ma tutto quello che ho visto è ancora vivo e lucido nella mia
mente. Funziona più o meno come le interrogazioni a scuola: ti alzi, vai alla
cattedra, hai studiato ma non tutto nel dettaglio, la professoressa ti pone
delle domande, rispondi male, lei ti coregge davanti a tutti, prendi un brutto
voto. Non si sa per quale arcano motivo, ma le correzioni date davanti a tutta
classe, con te come capro espiatorio, te le ricordi per sempre. Ecco io sono
l’alunno e Nairobi è la professoressa bastarda.
Ho imparato
tanto, tantissimo in questa vacanza, ma non riesco ad accettare passivamente la
situazione senza farmi domande. Queste rimangono nella mia testa e non escono e
mi perseguitano. Nairobi, il Kenya, mi manca. Mi mancano la terra rossa, i
banani, i colori abbinati in modo assurdo, il disordine, il casino, i sorrisi
sulle facce stanche, le mani piene di calli, i piedi nudi su terreni rocciosi,
le lamiere usate come muri, i ponteggi di legno, la musica assordante su ogni
mezzo pubblico. Mi mancano i ragazzi di Cafasso, soprattutto George. Mi mancano
Giorgia, Anna, Federica, Stefano, Margherita, Dana, Gianluca, Irene.
Mi manca
stare e vivere a Nairobi, interrogandomi su tutto e su tutti, scoprendo sempre
quel qualcosa di diverso che apre a nuove prospettive e che portano a loro
volta a nuove domande. Questo per me è il Mal D’Africa, questa voglia
irrefrenabile di tornare e di non andarsene più, di cambiare completamente
vita. La motivazione che mi porterebbe a prendere questa decisione è la
necessità di avere risposte, che non arriveranno mai, ma la speranza, come si
dice, è l’ultima a morire. Ho promesso ai ragazzi, ma soprattutto a me stesso
che ritornerò; cascasse il mondo, lo farò.
Filippo
Io tuo nonno, cerco di capirti e quando ti ho rivisto al ritorno ho capito che qualche cosa manca, ma io penso che in tutti i paesi ci sono motivi e situazioni che spingono a chiedersi perchè. Non sarà purtroppo l'ultimo il terremoto di Amatrice, perchè proprio lì e perchè proprio di notte quando la gente è a letto? Caro Filippo per me l'unico modo per darsi risposte è impegnarsi al massimo dove siamo per poter offrire poi il nostro contributo a darci risposte a domande che probabilmente non avranno mai risposte o peggio ne daranno molte magari tra loro contrastanti. Nonno Ermanno
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