mercoledì 24 agosto 2016

Kenya, Nairobi : Il Mio Mal d'Africa

Parto, volo, arrivo, non dormo, vado in bagno, mi sciacquo, mangio, spiego, non capiscono, non dormo, vado in bagno, parto, mi siedo, guardo il paesaggio fuori dalla finestra … la terra rossa, i banani, i colori abbinati in modo assurdo, il disordine, il casino, i sorrisi sulle facce stanche, le mani piene di calli, i piedi nudi su terreni rocciosi, le lamiere usate come muri, i ponteggi di legno, la musica assordante su ogni mezzo pubblico, dove sono finiti?

Non ci sono.

Sono partito per curiosità, desideravo comprendere, vedere dal vivo l’Africa, un continente che sentiamo spesso nominare ma che in pochi hanno veramente visto, salvo per le splendide aeree di villeggiatura che offre. Cercavo risposte ai tanti interrogativi che fin da bambino mi rimbalzavano in testa. In queste tre settimane le ho cercate in ogni parola, in ogni discorso, in ogni sguardo delle persone che ho incontrato. Quali sono?

Non ci sono.

Le domande che mi ponevo erano innumerevoli, dai temi molto variegati. Come vivono? Che lingua usano? Perché i paesi africani sono così instabili? Come si fa ad abbandonare un bambino al suo destino? Perché sono così credenti? Come fanno a sopravvivere a queste condizioni? Perché c’è questo scarto così ampio tra poveri e ricchi?  Perché nascono gli slums? Come mai così tanta testardaggine? Per quale motivo, pur essendo poveri, quando entri a casa loro ti offrono tutte quello che hanno, sacrificando la loro cena? Come fanno a scocciarsi se non accetti quello che ti offrono? Educano alla leadership, ma dove sono i loro leader?

Ho passato solo 3 settimane a Nairobi e potrebbe sembrare normale che non abbia trovato quello che volevo più di tutto. Eppure quando cerco le risposte nei miei coordinatori, che vivono in Kenya ormai quasi da un anno, non le trovo; quando chiedo a Don Maurizio, padre comboniano da due anni a Korogocho, non le trovo; quando interrogo Simone, membro dell’associazione Papa Giovanni XXIII, da cinque anni a Kahawa West, non le trovo.

Nairobi è indecifrabile, indescrivibile, ineffabile. Ogni giorno c’è qualcosa di nuovo che prima non c’era. Camminando per Kahawa c’è sempre qualcosa che ti stupisce, che non ti aspetti.


“Gian, ma ha piovuto per caso stanotte?”
“No, perché?”
“Non vedi questo fiume che attraversa la strada? Sono sicuro che ieri non c’era”
“Vero, hai ragione, si sarà rotta qualche tubatura”
“Mama”, chiese Gian ad una commerciante con i piedi immersi in una pozza piena d’acqua, “ma questo ruscello?”
“Si è rotta la fogna”, rispose lei, “qualcuno la aggiusterà”.

Sono tornato da una settimana ma tutto quello che ho visto è ancora vivo e lucido nella mia mente. Funziona più o meno come le interrogazioni a scuola: ti alzi, vai alla cattedra, hai studiato ma non tutto nel dettaglio, la professoressa ti pone delle domande, rispondi male, lei ti coregge davanti a tutti, prendi un brutto voto. Non si sa per quale arcano motivo, ma le correzioni date davanti a tutta classe, con te come capro espiatorio, te le ricordi per sempre. Ecco io sono l’alunno e Nairobi è la professoressa bastarda.



Ho imparato tanto, tantissimo in questa vacanza, ma non riesco ad accettare passivamente la situazione senza farmi domande. Queste rimangono nella mia testa e non escono e mi perseguitano. Nairobi, il Kenya, mi manca. Mi mancano la terra rossa, i banani, i colori abbinati in modo assurdo, il disordine, il casino, i sorrisi sulle facce stanche, le mani piene di calli, i piedi nudi su terreni rocciosi, le lamiere usate come muri, i ponteggi di legno, la musica assordante su ogni mezzo pubblico. Mi mancano i ragazzi di Cafasso, soprattutto George. Mi mancano Giorgia, Anna, Federica, Stefano, Margherita, Dana, Gianluca, Irene.

Mi manca stare e vivere a Nairobi, interrogandomi su tutto e su tutti, scoprendo sempre quel qualcosa di diverso che apre a nuove prospettive e che portano a loro volta a nuove domande. Questo per me è il Mal D’Africa, questa voglia irrefrenabile di tornare e di non andarsene più, di cambiare completamente vita. La motivazione che mi porterebbe a prendere questa decisione è la necessità di avere risposte, che non arriveranno mai, ma la speranza, come si dice, è l’ultima a morire. Ho promesso ai ragazzi, ma soprattutto a me stesso che ritornerò; cascasse il mondo, lo farò.



Filippo




1 commento:

  1. Io tuo nonno, cerco di capirti e quando ti ho rivisto al ritorno ho capito che qualche cosa manca, ma io penso che in tutti i paesi ci sono motivi e situazioni che spingono a chiedersi perchè. Non sarà purtroppo l'ultimo il terremoto di Amatrice, perchè proprio lì e perchè proprio di notte quando la gente è a letto? Caro Filippo per me l'unico modo per darsi risposte è impegnarsi al massimo dove siamo per poter offrire poi il nostro contributo a darci risposte a domande che probabilmente non avranno mai risposte o peggio ne daranno molte magari tra loro contrastanti. Nonno Ermanno

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