martedì 30 agosto 2016

Kenya, Mombasa: Lettera all'Africa


Cara Africa, 

sono passati ormai parecchi giorni dal mio ritorno qui in Italia, ma il pensiero corre così tante volte a te, che mi sembra di avere dimenticato lì qualche pezzo di cuore e mente. 
Hai presente quando si dice “un incontro che ti ha cambiato la vita”? Ecco, questo è capitato a me nel conoscerti. Non che prima non avessi mai sentito parlare di te: lezioni di geografia a scuola, testimonianze di volontari o di semplici viaggiatori avevano fatto sì che dentro di me si formasse una idea del tuo continente non molto distante dalla realtà che ho visto. Ma come potevo immaginarmi quanto mi avrebbero conquistato quei bambini, che nel vederci ci correvano incontro urlando “wazungu” (“bianchi” per la lingua locale), dandoci quel poco che avevano e sfoderando il loro sorriso migliore? Come potevo pensare alle emozioni provate nel vedere per la prima volta tanta povertà e nel comprendere quello che i miei nonni fin da piccola hanno provato a raccontarmi della loro infanzia? Come potevo immaginare la rabbia che mi ha assalito, quando ho visitato villaggi in cui l’acqua è considerata la ricchezza e il bene maggiore? Chi mi avrebbe potuto spiegare quella gioia che la domenica trasudava da ogni strada sterrata, nell’incedere di ogni uomo, donna, bambino, nel loro abito migliore, verso la propria Chiesa e il proprio Dio?
Nessuno poteva immaginare tutto questo. Perché io di te, Africa, sapevo tante cose, ma non le avevo mai vissute sulla mia pelle. È per questo che sono partita con l’idea di aiutare, di dare, di trasmettere, di insegnare. Ma la vera sorpresa è stata quella di scoprire che ogni giorno erano le persone incontrate che mi aiutavano, insegnavano, trasmettevano. 

Come al rientro da ogni esperienza significativa, ho pensato per giorni ad un oggetto che potesse rappresentare e ricordarmi questo viaggio nel tuo continente. Un abito colorato? Un portachiavi di perline? Un bracciale regalato dai bambini? Niente di tutto questo era in grado di restituirmi la complessità e grandezza del nostro incontro. Poi i miei occhi si sono posati su quel paio di scarpe indossate in quei giorni e che prima della partenza avevo deciso di eliminare al ritorno, in quanto ormai troppo usurate. Grazie a loro, avevo sorvolato metà mondo, toccato per la prima volta un nuovo continente, attraversato la melma degli slums, giocato le partite di pallone più divertenti della mia vita, calpestato quella terra rossa così bella ma anche spezzata dal caldo e dalla siccità. Non avevo più dubbi: loro serbavano traccia di tutto questo e non c’era niente di più ricco a cui potevo attaccarmi per far sì che questi ricordi diventassero vita di ogni giorno. Sono le esperienze che viviamo, le terre che tocchiamo, i passi che facciamo verso le persone, verso terre sconosciute, fuori dal nostro io, che ci rendono persone più ricche e meno chiuse nel “bozzolo” che siamo, persone più “umane”.

Per questo ti ringrazio, Africa, per essere stata una terra che mi è rimasta negli occhi e nel cuore. Per avermi insegnato che l’importante è esserci e non “fare”. Per avermi aiutata a togliere il tanto “superfluo”, in cui la mia vita iniziava a galleggiare. Per avermi insegnato che il segreto per un una vita felice è il fare spazio quando gli spazi sono già pieni, è il condividere il poco che abbiamo, è saper vedere il sole dove sembra che le tenebre avvolgano ogni cosa. 
Tornerò da te, prima o poi. È una promessa. Nel frattempo, anche se è poco, continuerò a parlare di tutto ciò che mi hai insegnato e a portare nel cuore, custodendolo come qualcosa di prezioso, ogni sorriso, ogni persona, ogni volto incontrato.

Un grazie infinito, 

Elena


1 commento:

  1. " il vero viaggio di scoperta non è vedere nuovi mondi ma cambiare occhi" (Marcel Proust)... E brava Michi!

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