Sono tornata dalla Moldova da ormai due settimane e ho pensato a lungo se valesse la pena scrivere ancora qualcosa su questo blog.
Tanti altri prima di me hanno parlato del Mal di Moldova, dell'importanza e della difficoltà di tornare, di tutte le domande che ci siamo posti e a cui è impossibile trovare risposta e della volontà di non lasciare che quest'esperienza diventi solo un'altra fotografia incorniciata. Tutte cose che condivido.
Stamattina ho però (ri)trovato un mio vecchio diario e la data mi ha fatto sorridere: novembre 2006, i miei quattordici anni. Mi sono seduta a leggere dei sogni, desideri e pensieri che avevo allora e sono rimasta piacevolmente scioccata nel vedere che molti non sono cambiati.
Cos'è cambiato allora?
A quei quattordici anni se ne sono aggiunti altri dieci di esperienze che, sebbene mi abbiano lasciato me stessa, mi hanno insegnato lezioni di vita, ma non so ancora del tutto come mi abbiano modificato.
Uno di questi momenti è la Moldova.
A chi me lo chiede provo a raccontare, ma la Moldova è fatta di paesaggi e cieli stellati, persone e momenti che sono difficili da descrivere a parole. Giuro che mi sforzo di raccontare con ordine quello che ho visto, ma mi rendo conto che il flusso di coscienza rimane lo stile più adatto. James Joyce sarebbe fiero di me!
Qualche giorno fa, allora, ho provato a fare un esperimento per vedere di spiegarmi meglio. Ho mostrato a F. queste due fotografie:
"Sono le docce e lo spogliatoio di Hîncești", le ho spiegato, "ma sono soprattutto il simbolo di quello che sono stati questi venti giorni."
Nel mio diario ho scritto più volte dell'esperienza traumatica che è stato entrarvici la sera alle nove, stremata, per lavare via il sudore, la stanchezza e la fatica della giornata passata tra bambini, internat e riunioni infinite per programmare il giorno seguente.
Ne ho descritto l'odore di uovo marcio e il freddo che entrava nelle ossa se al mattino non c'era stato abbastanza sole; eppure non ho dimenticato di annotare le canzoni stonate cantate con Irene nella cabina di fianco: metodi casalinghi per ignorare la puzza, il freddo e chissà quali bisci([1]) striscianti intorno a noi. Ho riportato anche i discorsi a cuore aperto con Silvietta e le risate con Anna e Martinî, gli sfoghi di e con Giulia e tutti quegli altri momenti che ho vissuto tra quelle assi di legno.
Il tempo, si sa, aiuta a dimenticare il lato negativo di tutto e già ripenso con nostalgica tenerezza all'acqua viscida della Moldova.
Quello che allora penso di aver imparato nei miei quasi quattordici anni più dieci di esperienza è che si può imparare col tempo a diventare persone che vogliono trovare ovunque almeno un dettaglio positivo.
O almeno, ho capito che voglio provare ad esserlo.
Riguardando la foto, quindi, si può vedere la doccia infernale di Hîncești per quella che è fisicamente: quattro assi di legno con un po' di paglia, da cui sgorga un'acqua puzzolente e fredda.
Oppure si può vederla per quello che rappresenta: un lusso, qualcosa di più del catino che ci era stato preventivato. Soprattutto, un capolavoro di ingegneria del parinte([2]) Eugeniu.
Cercherò di dimenticare la betoniera antiestetica piazzata in mezzo al cortile dietro la chiesa, il freddo e gli insetti; vorrò ricordare piuttosto il gesto del prete che, per ringraziarci e accoglierci al meglio, ha preso due canne dell'acqua, qualche asse di legno, della paglia, una vecchia coperta, dei soffioni e un bidone dell'acqua blu, li ha assemblati con ingegno e ha creato per noi una doccia in cui lavarci a sera sulle note di una canzone.
Questa:
Silvia (la sciura Brambilla [3])
[2] prete ortodosso
[3] come verrò ricordata dai moldavi grazie al nome sulla tazza
Nessun commento:
Posta un commento