Il momento centrale della
giornata ad Hîncești con i bambini è la scenetta.
Ogni giorno, per dieci minuti, i
bambini seguono le avventure di Robin Hood e del suo amico Pappagallo che
cercano di tornare a casa loro (con la barchetta di Sconfinati, ovvio!) come dei moderni Ulisse. Oggi, quasi per caso,
ci siamo trovate ad interpretare degli alieni. Quasi, perché siamo state noi a
pensare a questa scenetta insieme ad alcuni dei volontari moldavi. Volevamo
avere un ruolo anche noi in questo piccolo momento completamente in lingua aliena.
Siamo a tre ore di volo da casa,
ad un’ora di fuso e ogni giorno iniziamo a capire qualche parola di più, ma è
comunque stancante non riuscire a parlare con i bambini e con gli altri
volontari così come siamo sempre stati abituati. Qua la lingua che ci troviamo
a parlare è uno strano linguaggio, misto di italiano, rumeno, francese,
spagnolo, inglese, sorrisi e parole inventate perché la i gutturale non siamo
capaci di pronunciarla (tranne Martina, che ne va fiera!).
E come Chişinău, anche qui è un
mare di contraddizioni e di situazioni aliene.
Robin Hood (Igor) e il Pappagallo (Valeria) |
Vediamo ogni giorno circa
sessanta bambini attenti e vogliosi di giocare e cantare con noi, ma sono
bambini con le ciabattine rotte e le manine sporche. Non sono i bambini neri
degli spot sociali, ma questo non vuol dire che valgano meno. Anzi, sono così
simili a noi da lasciarmi quasi senza fiato: la bambina con gli occhioni grandi
e i capelli castani potrebbe essere mia cugina. E ci assomiglia anche. Non ho
le parole per spiegare il mare di sentimenti ambivalenti che mi riempiono il
cuore e la pancia quando mi soffermo ad osservare questi paperottoli che giocano tra di loro; non penso sia un male perché,
anche se amo scrivere, a volte è bene che certe cose non vengano elaborate
subito. Mi piace che sedimentino un attimo e che mi lascino un punto
interrogativo in testa. Sono però convinta che una mattina, tra un mesetto o
due, mi alzerò e ripenserò ad Ana Maria o a Marius o a uno qualunque degli
altri bambini che ho incontrato e saprò esattamente raccontare cosa ho provato.
Per ora posso solo mettere giù a parole qualche impressione.
Quello che forse colpisce di più
di questo Paese, o forse è meglio dire di questa città e di questi microbi che
vediamo ogni giorno, non è la povertà, ma la solitudine. Tra i bambini –i
nostri bambini- abbiamo chi tutti i pomeriggi viene a bussare alla finestra
della scuola dove siamo ospitate perché è un’attività più divertente del vagare
a caso e chi, a poco più di quattro anni, è già stato abbandonato dai genitori
e vive in orfanotrofio, o Internat,
come si chiama qui. E ci sono tanti altri bambini con tante altre storie che
non conosciamo e a cui non possiamo fare domande. Ma forse non è un male,
perché così non possiamo fare altro che trattarli come bambini.
Gli alieni e i protagonisti nel backstage |
Sono bambini speciali che hanno
un mondo da scoprire e uno dentro di loro. Ci siamo affezionate in brevissimo
tempo e per questo motivo abbiamo voluto prendere parte noi di persona alla
scenetta e in essa dare spazio alle nostre difficoltà; abbiamo cercato di fare
in modo che anche loro potessero intuire che, pur non riuscendo a comunicare
con loro, l’amicizia va al di là di tutto, anche del portale spaziotemporale
che porta Robin Hood a conoscere gli alieni.
È una storia semplice e la
metafora forse lo è ancora di più, ma questa scena è la nostra vita quotidiana.
Nella scenetta, Robin Hood parla con l’unico alieno che può parlare la sua
lingua, Francesco, e decidono di aiutarsi a vicenda: Robin riparerà il razzo
con l’aiuto dei bambini e gli alieni gli daranno la barca per tornare a casa.
Succede così anche tutti i pomeriggi durante le riunioni che facciamo nella
mensa della scuola. All’inizio non ci capiamo con i moldavi, andiamo a tentoni,
facciamo una serie improponibile di segnali per capirci e alla fine Anna, Tania
(la responsabile di Diaconia che parla italiano come io non parlerò mai il
rumeno) e Francesco ci confermano se abbiamo capito o no. È stancante, a volte
frustrante, ma cerco di ricordarmi che in tutte le relazioni ci vuole pazienza perché l’amore è fatto di gioia, ma anche di
noia, canta Finardi.
L’incontro tra Robin Hood e gli
alieni è stato quindi il nostro modo un po’ contorto per ringraziare i moldavi,
volontari e bambini, perché tutti loro ci aiutano a dare un senso a questo
cantiere –o tabara, come si chiama qui- e ce lo rendono più colorato.
-Ce-i cu voi? -Io ho paura! |
Ci saranno ancora momenti di
difficoltà, costumi da preparare fino a notte, incomprensioni e docce fredde,
tanto più che sabato saluteremo la maggior parte dei moldavi, ne incontreremo
di nuovi e ci sposteremo ad Ucrainca, dove avremo nuovi bambini, nuove storie
da (non) scoprire e nuova stanchezza da accumulare. Sono convinta, però, che
quando sarò nel mio comodo letto meneghino e riavrò la mia amata doccia, tutto
questo mi mancherà e vorrò cercare di nuovo il portale spaziotemporale che
Giulia ha costruito con alluminio, hula hop e la precisione che solo
un’ingegnere possiede.
Il portale spaziotemporale! A onor del vero, hanno partecipato alla sua realizzazione: Chiara, Silvia E. e Valeriu |
Silvia (la Sciura Brambilla)
P.S. Questo post è stato scritto
giovedì 4 a Hîncești ed è stato pubblicato oggi a Ucrainca, a dimostrazione del
fatto che passiamo così tanto tempo tra noi a fare e a fare gruppo, che
pubblicare un post diventa una questione di giorni! ;)
P.P.S. Il post è stato pubblicato
a Chişinău per problemi tecnici.
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