Di dialogo interreligioso se ne sente parlare un sacco di questi tempi: un passo dei cristiani verso il mondo arabo che si avvicina sempre di più all'Europa fino a farne parte con il continuo gettito di migranti. Un passo obbligato er favorire quell'integrazione necessaria a un quieto vivere per tutte le comunità... ma qui? Se davvero l'1% dei cristiani presenti in Marocco (praticamente tutti stranieri, dall'Africa Subsahariana o Europei o ancora Americani) facesse questo passo, a cosa servirebbe? Quale impronta lascerebbe nella terra sottile che ricopre l'Atlante?
Ma poi scopri che a gennaio di quest'anno, a Marrakech, gran parte del mondo Mussulmano si è ritrovato a parlare di minoranze religiose nei Paesi Islamici, coinvolgendo anche esponenti delle Chiese Cristiane e che l'incontro è stato promosso anche da Fratelli Mussulmani, uno fra i movimenti più radicali come lettura del Corano.
Da quell'incontro ne è uscita una forte condanna a tutti i fondamentalismi e la scelta, che sembra ovvia, ma non è assolutamente banale, di ripensare l'educazione religiosa dei bambini ed eliminare da essa ogni elemento che possa ricondurre all'odio e alla violenza nei confronti di chi non professa la stessa religione. Una revisione reale dei programmi e dei testi scolastici dunque, immediatamente rattificata da Muhammad IV, re del Marocco, che il 6 di febbraio, a una settimana dalla chiusura del grande incontro, ha chiesto al Ministero della Cultura la revisione dei testi scolastici per tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Un esigenza del tempo, di un mondo che è sempre più globo, anche qui in Nord Africa, a Midelt per esempio, piccola nuova provincia del Medio Atlante dove il Muezin canta per convocare i fedeli alla prima preghiera, mentre la campana del Monastero di Notre Dame de l'Atlas richiama i monaci per il mattutino.
Possiamo far passare il dialogo interreligioso come un'esigenza esclusivamente legata al tempo? Forse è qualcosa in più... è quella chiamata continua dell'uomo verso l'altro, quell'alienarsi fino ad arrivare ad essere l'altro, anche se è irraggiungibile, ma ad esso avvicinarsi il più possibile. Non è solo un mettersi nei panni dell'altro (o "To be in his shoes" come dicono gli inglesi, perchè le scarpe di qualcun altro ci stanno sempre un po' scomode), ma è l'accoglere l'altro in tutta la sua differenza e alterità, consci che non saremo mai lo stesso, ma che possiamo avvicinarci. Il modo migliore per farlo qui in Marocco ci è sembrato il condividere la festa, condividere il pranzo di ferragosto (senza salamelle, ma ce ne siam fatti una ragione) e il cous cous del venerdì, benedicendo insieme la tavola, da una parte " Il Dio di Abramo, di Isacco e di Mosè benedica tutto quello che c'è", dall'altra "Hamdulillah", "Sia lode a Dio", che se non sapevate quale recitavamo in Italiano e quale in Arabo non capivate chi le aveva dette!
"Inaugureremo insieme giornate di luce ancora più lunghe e sogneremo ancora e sempre una primavera dell'anima. Solo i pessimisti disperano nella bontà divina." Ahmed Toufiq, Ministro degli Affari Islamici del Marocco, nel porgere gli auguri di Natale a Vincent Landel, Arcivescovo di Rabat.
Così vicini, insieme, ma diversi, altri. Belli!
Davide Manzo
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