giovedì 25 agosto 2016
Kenya, Nairobi: Ritratto africano
Driiiiiiin Driiiin. La mia sveglia suona. Respiro piano, leggermente tramortita dal suono stridulo. Apro gli occhi e cerco di mettere a fuoco, li sbatto un paio di volte. Trovo giusto giusto un po' di forza per issarmi sulla schiena e... Niente: sono nel mio letto, a Bergamo. Non a Cafasso, la mia, la nostra amata Cafasso. Mi ci abituerò mai di nuovo?
Prima di partire, molti ragazzi hanno tentato di avvertirci: "La parte più dura sarà tornare in Italia!"... Ed effettivamente tornare é stato traumatico. Tuttavia, forse, c'é una cosa ancora più dolcemente triste: la certezza di aver lasciato all'Africa il permesso di rubare il nostro cuore e di modellare le nostre menti. Tornerò mai come prima?
Non credo.
Questa é stata la mia terza esperienza in Africa. Le prime due sono state più turistiche, le ho vissute con la famiglia. Esse mi hanno fatto scoprire ed innamorare di questo continente, dei suoi paesaggi da sogno, delle sue tradizioni. Questa volta, però, a farmi perdere definitivamente la testa non é stata una vallata degna di una cartolina od un prodotto dai mille colori, questa volta sono state le persone.
Ho scelto di andare a Nairobi proprio perché volevo avere la possibilità di un confronto diretto con ragazzi della mia età. La scommessa si preannunciava ardua da vincere, ne ero consapevole. I primi giorni sono stati una vera sfida: la realtà africana è completamente diversa dalla nostra. Da ragazza muzungu dovevo stare attenta e soppesare ogni parola per non dare impressioni sbagliate. Da parte loro, i ragazzi non hanno mai condiviso apertamente la loro storia: ogni tanto lasciavano trapelare qualche informazione, ma spesso erano frasi enigmatiche le cui conclusioni erano lasciate ingiustamente a noi... Oppure cambiavano storia in base a chi avevano davanti, rendendo quasi impossibile scoprire la verità. Tuttavia, superate le difficoltà iniziali, alcuni di loro sono usciti dal guscio, soprattutto i più grandi. Il lavoro nella shamba è stato un mezzo fondamentale per aiutare la comunicazione. Penso che le prime volte dialogare fosse più una scusa per strappare qualche minuto in più di pausa, ma successivamente gli argomenti si sono fatti interessanti e partecipati sinceramente. Il sistema scolastico italiano è stato uno degli argomenti più gettonati in queste settimane. Ogni autoctono era interessato al suo funzionamento: dagli universitari in visita a Cafasso, ai ragazzi del YCTC da cui andavamo a giocare due volte a settimana. A rendere la comunicazione più leggera ci pensano le discussioni legate alle relazioni con il gentil sesso, che risate! Nel caso qualcuno fosse curioso, i ragazzi del posto preferiscono sussurrare “Wewe” all’orecchio della vittima, abbracciandola. Secondo loro (ed in particolare Kamau) è un metodo di gran lunga più efficace di quello italiano.
Queste discussioni, assieme ai loro racconti ed alle risate sguaiate sono ancora vividi nella mente, ma ciò che mi resterà impresso per più tempo saranno i loro volti, i piccoli gesti quotidiani e il differente modo di porsi alla vita. Forse e principalmente per questa ragione ho deciso di “raccontare” il mio cantiere attraverso i ritratti dei ragazzi con cui ho condiviso tre settimane fantastiche. La speranza è di riuscire, un giorno, a tornare Kenya per incontrarli ancora.
L’Africa non colpisce subito, ti avvolge pian piano, ti entra dentro, ti lascia perplesso e affascinato al tempo stesso, non la comprenderai mai, ti farà arrabbiare, ma vorrai sempre tornare e ogni volta sarà come la prima.
Asanteni sana, ci rivedremo presto.
Federica, detta Muthoni.
alle
20:04
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Bellissimo racconto di una bella esperienza.... fortunata te! Spero tu possa tornarci
RispondiEliminaBello. Un pezzo d'Africa in parole. Chissà. Fa venire voglia di partire. E magari un giorno ce la faremo..
RispondiEliminaOgni esperienza è dono quando la condividiamo. Grazie
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