23/08/2016
Mi piacciono
i temporali. Ti colgono sempre alla sprovvista. Quando sei in giro in bici e
sicuramente non hai con te l’ombrello, quando sei immerso nello studio e
sobbalzi al rimbombare del primo tuono. Sono una sorpresa, qualcosa che scuote
lo scorrere lineare della giornata.
Un po’ meno
piacevole se il temporale pensa bene di farti visita quando sei rinchiuso in un
aereo della Turkish Airlines a 10.000 metri di altezza. Sapere di essere
intrappolati in una lattina volante che rimbalza tra i lampi non è particolarmente
rassicurante. Ben che meno se nel frattempo tenti di mandar giù un boccone di
pasta senza sporcarti i pantaloni, senza rovesciare il bicchiere d’acqua sulle
gambe del vicino in preda al panico e senza insultare il ragazzo israeliano
conosciuto in aeroporto che ride come un pazzo godendosi lo spettacolo che stai
offrendo. È stato circa così il volo di ieri da Istanbul a Malpensa, di ritorno
dal Cantiere in Libano.
Fortunatamente
sopra l’Italia il meteo ha deciso di graziare i nostri stomaci sballottati.
Seduta di fianco a me c’è Shelma, una delle mie compagne di
viaggio. Guardiamo il groviglio di brillanti lucine che innervano le terre
lombarde. Sembra di vedere il pavimento di casa l’8 dicembre, quando spargi le
lanternine luccicanti per il salotto prima di addobbare l’albero di Natale.
C’è pace. Tutto ha senso.
Shelma mi
guarda e mi chiede se sono pronta. “Sì dai, ormai il tempo è tranquillo,
dobbiamo solo atterrare”. Ce la posso fare senza vomitare! “No… intendevo se
sei pronta alla quotidianità”.
Tutto un
altro paio di maniche. Non sei mai pronto a tornare. Almeno non io. Dopo un
viaggio non mi sento mai abbastanza preparata per immergermi di nuovo nella
marea della vita di tutti i giorni.
È semplice
perdersi nel luccichio.
Però questa volta è diverso. Un viaggio di volontariato non
è una vacanza come un’altra. Non posso permettere che rimanga solo un bel
ricordo, non voglio che diventi un altro bel quadretto da appendere tra gli
altri sulla parete. Non lo può diventare, mi ha lasciato troppo, non è
racchiudibile in una cornice di plastica blu.
È l’idea, è l’ispirazione per cambiare la disposizione delle
foto già appese. È un’esperienza di senso, la rivoluzione per trovare un ordine
nuovo. Per portare un po’ di Libano nella mia vita. Per cambiare strada.
Non sarà semplice raccontare tutto. Incontri, odori,
relazioni, soddisfazioni, paure e tanti, tanti interrogativi. Ma non li voglio
lasciare senza risposta. E non voglio tenere per me ciò che il Paese dei cedri
mi ha lasciato.
Perché alla quotidianità di prima non sono pronta. Voglio
costruirne una nuova.
Claudia
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