Nella classe del kinder della scuola 'Padre Luis Diez', a sud di
Cochabamba, gli occhioni di K. si aprono grandissimi sotto la cuffia
rosa che la rende inconfondibile. Ha cinque anni, sgranocchia caramelle e un
giorno, in un orecchio, mi racconta la storia del suo ‘hermanito’ preferito. Un
fratellino piccolissimo e ‘muy lindo’ che le piaceva tanto. Però succede che un giorno la mamma
gli fa il bagnetto e lui smette di respirare. Mentre mi sussurra con voce roca il
suo segreto gli enormi occhi di K. rimangono asciutti.
Probabilmente, tra i
bambini che vedo intenti a colorare la mappa della loro Bolivia di rosso giallo e verde,
K. non è la sola ad aver visto morire un
fratellino.
Tra quattro pareti di fango, a oltre 4000 metri
di altitudine, il volto sofferente di M.
è incorniciato in lunghe trecce
nere. La casa in cui vive con la sua famiglia non è altro che un puntino, perso
nell’altopiano di Vacas, sulle Ande. Immaginavo di vedere montagne piene di
neve, invece qui tutto è giallo. L’erba è di un giallo abbagliante, si stende
su spazi giganteschi facendosi strada sempre più, al progressivo ritirarsi dell’acqua
della laguna. M. ha la SLA e prima di vederla sentiamo le sue grida di dolore. Lei
urla che qualcuno la sta picchiando. Vicino a lei, curvo sul bastone, c’è il nonno. Seduta sopra una
coperta M. è magrissima e sporca. Sorride quando vede che è arrivata la hermana italiana con il pacco di alimenti per lei.
Per chi vive in una casa di fango è
difficile avere cura e rispetto per la disabilità. La mamma di M., racconta hermana
Cherubina,era malata della stessa
malattia ed è morta qualche tempo fa. Probabilmente di fame.
Alla Feria del Pescado di Villa Tunari, nel cuore del Chapare
amazzonico, le piccole mani della
bambina chiedono, di tavolo in
tavolo, qualche avanzo di cibo da mettere in una borsa colorata. Lei appartiene
a un popolo indigeno che da sempre abita questa regione, da sempre abituato a
vivere della raccolta di ciò che si trova nella foresta. Ora nella foresta del
Chapare si impiantano colture e si costruiscono strade. Le comunità indigene si
trasformano - sembra che molte stiano scomparendo - e la ‘raccolta’ diventa ricerca di elemosina.
Nella Casa del Migrante di Cochabamba, che per tre settimane ha ospitato noi ‘cantieristi’
italiani, le parole di L. scorrono veloci come l'acqua di un torrente. Davanti a un mate de coca e a una straniera curiosa L.
racconta di fratelli e cugini che ora vivono in Colombia e in Brasile, in
Spagna e in Svizzera. Racconta delle donne di cui è stato innamorato e degli
amici che se ne sono andati. Il suo passato e la sua famiglia. Sparsi per
il mondo, eppure per una sera tutti riuniti nella cascata di parole che lui, di passaggio a
Cochabamba, riversa in una tazza di mate ormai vuota.
Queste sono alcune delle
cartoline che porto via con me, a cantiere ormai terminato. All’aeroporto di
Sao Paulo mi trovo a sfogliarle con la mente, ad occhi chiusi, in attesa che passino le nove ore di scalo, interminabilmente più lunghe e lente
rispetto alle tre settimane vissute – e che ora sembrano come volate via - a Cochabamba. Solo
adesso, per davvero, mi rendo conto che tornare è più difficile che partire. Sono partita senza sapere perché, torno piena di
domande, di immagini e di parole incise nel cervello e nel cuore.
E poi c’è la storia dell’imbuto. Una sera un prete ci ha
svelato questo segreto. Il segreto è che qui, in Bolivia, i legami con le
persone si intessono seguendo lo stesso movimento che fa l’acqua dentro un imbuto. Prima di arrivare al punto, prima di
entrare davvero in sintonia, di confluire in uno stesso percorso, è necessario
girarsi intorno, uno rispetto all’altro. Essere disposti a parlarsi e ascoltarsi. Soprattutto
essere disposti a dedicare all’altro un
tempo che non possiamo quantificare o prevedere prima. In Bolivia, ci dice
padre Sergio, nel momento in cui decidiamo di entrare nella casa di qualcuno,
non possiamo pretendere di decidere anche quanto tempo vi trascorreremo.
Io in Bolivia ci sono 'entrata' tre settimane fa, con tanta voglia di imparare e senza troppe pretese. Torno ora con tante
cartoline nella valigia.
E so già che non mi basteranno.
Franci
Non penso di poter trovare parole adatte ad esprimere ciò che...
RispondiEliminaPosso dirti che provo tanta ammirazione nei vostri confronti, voi tutti umani non costruiti in catena di montaggio. Se esiste un Dio qualunque, vi ringrazia